giovedì 22 febbraio 2018

MARTIRE DELLA VERITÀ (di Piero Nicola)


«Raguardami Pietro vergine e martire, che col sangue suo die' lume nelle tenebre delle molte eresie; che tanto l'ebbe in odio, che se ne dispose a lassarvi la vita. E, mentre che visse, l'exercizio suo non er'altro che orare, predicare, disputare con gli eretici e confessare, annunziando la verità e dilatando la fede senza veruno timore. Ché non tanto ch'egli la confessasse nella vita sua, ma infine a l'ultimo della vita. Unde, nella extremità della morte, venendoli meno la voce e lo 'nchiostro, avendo ricevuto il colpo, egli intinse il dito nel sangue suo: non ha carta questo glorioso martire, e però s'inchina e scrive in terra confessando la fede, cioè il Credo in Deum. El cuore suo ardeva nella fornace della mia carità, e però non allentò e' passi voltando il capo adietro sapendo che doveva morire (però che, prima che egli morisse, gli revelai la morte sua), ma come vero cavaliere, senza timore servile, egli esce fuore in sul campo della bactaglia.»
  Sono queste parole di Dio, nella rivelazione privata che Egli fece a Santa Caterina da Siena (1347-1380), la quale dettò quanto aveva appreso a chi scrisse il Libro della Divina Dottrina o Dialogo della Divina Provvidenza.
  Il Pietro che il Signore ricorda - insieme ad altri santi difensori della fede come Tommaso d'Aquino, Francesco e Domenico - alla grande suora domenicana Caterina, nacque a Verona all'inizio del '200 in una famiglia di eretici. Sin da fanciullo, testimoniò il credo cattolico ai suoi congiunti, che sperarono invano in un suo ripensamento. Andato a Bologna per frequentare l'Università, entrò nell'Ordine Domenicano, il cui Fondatore era ancora vivo. Dal 1232 Pietro divenne inviato pontificio a Milano, dove fondò le Società della Fede e le Confraternite Mariane per la difesa della dottrina contro gli eretici. Sarà priore ad Asti e poi a Piacenza, sempre predicando per confutare e condannare l'errore dei catari. Eserciterà il suo apostolato a Firenze, a Roma, nelle Marche e nella Romagna. Nel 1251 fu nominato priore a Como e inquisitore pontificio a Milano. Il dovere compiuto nell'esigere il rispetto e l'applicazione dei decreti papali, e il successo della sua predicazione accompagnata da miracoli, gli attirarono la feroce avversione dei ghibellini e dei catari. Nella domenica delle Palme del 1252, predisse dal pulpito la propria uccisione per mano degli eretici, rivelando bensì che li avrebbe combattuti più da morto che da vivo.
  Le sette di Milano e di altre città lombarde decisero di inviare due sicari per sopprimere Pietro da Verona. Essi lo raggiunsero il 6 aprile mentre era in viaggio da Como a Milano. Si conoscono i nomi degli incaricati dell'omicidio: Pietro da Balsamo detto Carino e Albertino Porro da Lentate. Quest'ultimo si ravvide per tempo e non prese parte all'assassinio. Il Carino spaccò la testa del martire con una roncola e lo colpì nel petto con un coltellaccio.
  Il corpo di Pietro, trasportato a Milano, ebbe esequie grandiose e fu sepolto presso il convento di S. Eustorgio. Quel giorno avvennero diversi miracoli. Il frate eretico Daniele da Giussano, che aveva contribuito a ordire la trama omicida, e lo stesso Carino si convertirono; in seguito entrarono essi stessi nell'Ordine Domenicano. Il 9 marzo 1253, Innocenzo IV canonizzò Pietro da Verona e ne istituì la festa il 29 aprile.
  Il culto di questo religioso, che si immolò per l'integrità della fede, si diffuse in tutto il mondo. Molte città lo elessero loro protettore. Celebri artisti quali il Beato Angelico e il Tiziano lo raffigurarono per la venerazione dei fedeli. Le sue reliquie, racchiuse nel monumento sepolcrale dovuto a Giovanni Balduccio da Pisa, si trovano nella Cappella Portinari intitolata al Santo, la quale è compresa nella basilica di Sant'Eustorgio.

  Nel Libro della Divina Dottrina procurato dalla Compatrona d'Italia, al punto della virtù dell'obbedienza il Signore tratta degli ordini monastici, detti "navicelle", e mostra la bellezza delle loro regole stabilite dai fondatori «che erano facti tempio di Spirito Sancto.» Tutti, a partire da Benedetto, diedero un particolare indirizzo sorretto dalla carità, e «la navicella del padre tuo Domenico, dilecto figliuolo mio, egli l'ordinò con ordine perfecto, ché volse che attendessero solo a l'onore di me e salute de l'anime col lume della scienzia [...] per più proprio suo obiecto prese il lume della scienzia, per stirpare gli errori che a quello tempo erano levati. Egli prese l'officio del Verbo, unigenito mio Figliuolo. Drictamente nel mondo pareva uno apostolo: con tanta verità e lume seminava la parola mia, levando la tenebre e donando la luce. Egli fu uno lume, che Io porsi al mondo col mezzo di Maria, messo nel Corpo mistico della sancta Chiesa come stirpatore de l'eresie.»
  «... nel principio suo [l'ordine] era uno fiore: anco c'erano uomini di grande perfectione: parevano uno sancto Pavolo, con tanto lume che a l'occhio loro non si parava tenebre d'errore che non si dissolvesse.
  «Raguarda il glorioso Tommaso [...] Questi che fu una luce ardentissima, che rende lume ne l'ordine suo e del Corpo mistico della sancta Chiesa, spegnendo le tenebre de l'eresia.»
  Dopodiché, nessuno può mettere in dubbio la divina condanna dell'errore e il dovere di confutare e contrastare gli eretici, avvelenatori di anime. Ma il Concilio Vaticano II, in particolare nella Dichiarazione Nostra Aetate, dichiara:
  «Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell'uomo: la natura dell'uomo, il senso e il fine della vita, il bene e il peccato, l'origine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l'ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo.»
  Nessuna incertezza sulla falsità dell'osservazione, poiché la dottrina cattolica risponde con chiarezza a tali "enigmi", a differenza delle altre religioni, sprovviste dell'unica Verità tratta dal sacro Deposito.
  Lo stesso documento prosegue, andando di male in peggio: «La Chiesa cattolica [...] considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano [perciò con errore] da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.»
  Così non può essere la «Chiesa cattolica»: essa combatte ogni errore e non commette la falsità obbrobriosa di considerare rispettabile e riflettente la verità una dottrina che è guasta.
  «La Chiesa esecra [...] qualsiasi discriminazione tra gli uomini [...] per motivi di [...] religione.»
  Siffatta condanna, insieme alla professione di laicismo della Dichiarazione Dignitatis Humanae: «Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società,» rigetta l'inimicizia voluta, per principio, dal Signore nei confronti delle eresie e dei rimanenti culti estranei alla Sposa di Cristo.
  Ora, dopo la conciliare negazione (inequivocabile) della necessaria difesa dagli eretici, dopo la conciliare messa al bando della predicazione intesa a distruggere con la Verità gli errori diffusi dalle dottrine erronee, è stupefacente come, nel 1970, Paolo VI, a cinque anni dal suo aver approvato il Concilio (mai da lui smentito in alcuna sua parte), abbia fatto dottore della Chiesa Santa Caterina da Siena. Invero, le contraddizioni di Paolo VI ebbero a fioccare in vari modi. In questo caso però, appare scandaloso l'aver ignorato il santo insegnamento sull'eresia (del resto, ben definito nella Rivelazione), palesemente esposto nel Dialogo della Divina Provvidenza. In altri termini, Paolo VI non poté onorare il sapere teologico di Caterina, senza smentirsi riguardo a certa teologia sostenuta dal Concilio. Tuttavia egli non la emendò, non si ricredette.
  «Caterina ritornava a Siena [...] per proseguire il suo colloquio con l'Eterno, dettando il meraviglioso Dialogo della Divina Provvidenza, frutto del suo continuo insegnamento attraverso le lettere e di tutte le sue esperienze mistiche; il Dialogo è il vero "libro" di Caterina.» Enciclopedia Cattolica, vol. III, col. 1154.

Piero Nicola

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