mercoledì 15 marzo 2017

Una “contro storia” d'Italia

Giampaolo Pansa, autore della voluminosa, talora romanzata e intimista, tuttavia appassionante Contro storia d'Italia, pubblicata in Milano dalla Biblioteca storica del Giornale, si chiede, ora fingendo una fondata ansietà ora riconoscendo l'inesistenza di una destra pericolosa: “Nell'Italia del Duemila può presentarsi l'avventura autoritaria di un nuovo Benito Mussolini?”
La taciuta ma trasparente finalità del saggio, infatti, è avvertire gli svagati e rilassati connazionali del non del tutto remoto pericolo di una ripetizione (in chiave libertaria ovvero sodomitica) della (sognata) rivoluzione social-comunista e della (improbabile) controrivoluzione di sano stampo reazionario. Pericoli remoti, che lo sguardo impietoso di Pansa intravede nelle oscure passioni, che si agitano nei disagi e nei malumori, in atto nelle cantine della giovanile effervescenza.
Pansa legge il futuro, oggi non incombente, nella tesi, secondo cui Mussolini destò – nei c. d. ben pensanti - la convinzione che il fascismo avrebbe allontanato dagli italiani “la paura di finire dentro qualche sparatoria”. Timore, che – in anni segnati dalla sanguinaria ma applaudita rivoluzione sovietica – sembrava ed era non priva di serio fondamento.
L'irragionevole, violenta effervescenza giovanile, oggi in atto nell'area della sinistra non confutata e tanto meno repressa dalla miopia al potere, ci aiuta a capire le lontane (e purtroppo non irripetibili) cause della catastrofica e rigettata insorgenza dei socialisti estremi contro l'Italia, festante a Vittorio Veneto, ma afflitta da una scivolosa crisi politica.
Al proposito Pansa rammenta la spensante/incapacitante miopia dei politicanti socialisti, incapaci di vedere la progettata soluzione totalitaria, in direzione della quale marciavano gli inflessibili e imperterriti comunisti: “Nell'estate del 1919, il Partito socialista ordinò in molte province italiane uno sciopero generale in difesa della Russia sovietica e della Repubblica comunista di Ungheria, quella di Béla Kun, un esperimento assurdo, che stava già tirando le cuoia”.
L'allarme destato dagli ammiratori della rivoluzione russa incrementò il consenso attribuito dai moderati italiani al partito nazionale fascista. Gli italiani che votarono in occasione del plebiscito, che si svolse il 24 marzo del 1929, attribuirono al partito fascista addirittura il 98,4 per cento dei voti. Tale consenso era motivata dal desiderio di vedere stabilita la tranquillità nell'ordine. Pansa fa dire a un personaggio del suo racconto che molti italiani erano convinti che, grazie ai fascisti, “in Italia è tornato un po' di ordine e questo ci aiuterà a vivere senza la paura di finire dentro qualche sparatoria”. (Attesa purtroppo delusa dalla controversa vicenda del fascismo italiano).
Secondo Pansa, nondimeno, la controrivoluzione fascista era un falso e inaccettabile rimedio al male, minacciato (con parole e atti esemplari) dai promotori della rivoluzione comunista. E al proposito l'autore cita (a sostegno della sua opinione) l'affermazione di un immaginario giornalista del quotidiano Il Popolo d'Italia”, il quale confessava di “aver visto da vicino quale nido di vipere fosse il vertice del fascismo”. Vipere (ma questo Pansa stenta a riconoscerlo) generate e nutrite dall'allarme destato dalle notizie sanguinarie, in arrivo dalla Russia sovietica.
Pansa rammenta infine la motivazione del consenso prestato ai fascisti dai meno abbienti e fa dire a un indigente, protagonista del suo romanzo, che, per merito di Mussolini, “in Italia è tornato un po' di ordine e questo ci aiuterà a vivere senza la paura di finire dentro qualche sparatoria”.
Purtroppo il governo fascista, dopo un periodo di incontestabili successi, non poté (o non volle) resistere alla devastante suggestione, emanata dalla surreale destra germanica, intorno al mito del sangue e alla catastrofica fantasticheria di partecipare – vittoriosamente - alla seconda guerra mondiale.
Non si può escludere tuttavia la tesi, non del tutto romanzesca, che contempla la sollecitazione, rivolta a Mussolini dagli anglo-francesi, di intervenire nel conflitto, al fine di condividere (e in ultima analisi di attenuare e frenare) l'allora vincente e furente azione della Germania nazista. Una esortazione azzardata e infelice, che ha esposto l'Italia al vento della guerra catastrofica, causa dell'irreversibile declassamento della nostra nazione e del tramonto del nostro prestigio.


Piero Vassallo

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