giovedì 31 marzo 2016

Considerazioni sulla dissoluzione

L'Italia non è solo l'ultima colonia di ha vinto la Seconda Guerra Mondiale, ma l’unica a essere colonia anche di chi l’ha persa e questo a ormai più di settanta anni di distanza.
 Massimo Viglione


 Contro la sconsolata e quasi perfetta assenza di organizzazioni politiche fedeli alla tradizione, e di fronte al vuoto desolante e squillante, da cui ha origine la metamorfosi libertina della destra nazionale, la affollata scolastica d'ispirazione tradizionalista da' segni ostinati di una sorprendente vitalità, che (forse) prepara il risveglio degli elettori dal coma liberal-libertino, in cui l'Italia è discesa attratta da illusorie vie d'uscita dalla cultura della sinistra atea e dalla perfetta non cultura di Berlusconi e Fini.
 Contro i muratori della desolazione agisce instancabilmente l'editore Marco Solfanelli, che in questi giorni propone una robusta antologia di saggi e articoli di Massimo Viglione (Considerazioni sulla dissoluzione), autorevole interprete di una strategia finalizzata a sottrarre il tradizionalismo cattolico dalla suggestione democristiana, iscritta “nel 25 aprile, festa del mitra e delle foibe”, e dalla oscura mitologia disunitaria.
 Viglione afferma che la cultura della destra politica deve aggiornarsi ovvero comprendere che il nemico della Cristianità e dell'ordine civile non è più a Mosca ma a Washington, capitale della finanza mondialista e fomite dell'eversione. Prodotto squisitamente americano è infatti l'insanabile deficit della politica democristiana: “una destra vera, cioè cattolica e tradizionale, antitetica alla dissoluzione rivoluzionaria, non è mai esistita in questa repubblica”
 Visto l'incombente pericolo del sincretismo religioso, promosso e applaudito dall'ostilità occidentale alla tradizione e alla storia degli italiani, Viglione, respinta la suggestione liberale insieme con le estenuanti mitologie antirisorgimentali, sostiene energicamente che “l'unita politica [della nazione italiana] è un valore che non può essere messo in discussione, pena la distruzione economica de Paese e – quello che nessuno dice – l'invasione del territorio peninsulare e la più completa umiliazione della nostra civiltà e società”.
 Ora il modello politico, che Viglione propone agli italiani refrattari al radical chic, esclude il vano e impotente nostalgismo mentre assume quale modello l'amor di patria, oggi vivente come antidoto al falso ecumenismo e al meticciato culturale.
 Si esce dal velleitarismo onirico per contemplare e (possibilmente imitare) la legislazione della civilissima e refrattaria Ungheria, che contempla, fra l'altro, il cristianesimo come religione base del popolo ungherese, la protezione della vita del feto sin dal concepimento, la promozione della famiglia costituita da un uomo e una donna.
 L'attuazione in Ungheria di un disegno politico conforme alla tradizione civile dei cattolici destituisce il nominalismo della destra libertina, rappresentata dalla starlette Mara Carfagna, diventata fiera sostenitrice dei diritti dei pederasti, “forse consigliata dal suo amico Italo Bocchino”.
 La luce insana del libertinismo, infatti, si diffonde a macchia d'olio nelle magioni degli eversori e dei pornografi di destra.
 In Italia lo chic abbaglia le corte vedute delle arrampicatrici, che partecipano alle serate eleganti nella villa di Arcore o nella surreale residenza del révenant Gianfranco Fini.
 Lo stile di vita libertino, che ha per base la folla delle mignotte politicanti e/o rampanti e per vertice una senescente oligarchia di erotomani affranti e smidollati, contagia le sedi della destra italiana, abbassandole al livello del lupanare elegante.
 L'avversario della tradizione italiana non è più solo a sinistra ma ovunque. Scrive Viglione “Esiste un partito del tutto trasversale, che è di fatto la testa d'ariete del mondo omosessualista, abortista, immigrazionista italiano che fa da sponda alla Rivoluzione mondialista, sinarchica e sovversiva in atto a livello planetario”.
 Il deserto occidentale suggerisce e quasi costringe a cercare aiuto nell'oriente della politica: “Forse Putin è un po' cattivo e pericoloso, pensa la gente, ma davvero ha tutte le colpe? E soprattutto davvero stavolta i buoni siamo noi? Davvero l'Occidente è giustificato a quintuplicare le forze d'attacco al confine della Russia, tradendo per altro tutti gli accordi internazionali degli anni Novanta?”
 Contro Putin, l'Occidente, “il peggiore dei mondi possibili”, che alza le bandiere dell'eutanasia, dell'usura, del libertinismo, della sodomia, del nudismo, dell'ecumenismo d'accatto “è davvero giustificato a quintuplicare le forze d'attacco al confine della Russia, tradendo peraltro tutti gli accordi internazionali degli anni Novanta?”
 Viglione osa alzare lo sguardo sulle pie cause della decadenza occidentale e di conseguenza afferma che “è innegabilmente evidente che l'attuale crisi ha le sue radici anche (non solo) nello spirito di innovazione buonista partito dal Concilio Vaticano II e accresciutosi senza fine nei decenni post-conciliari”.
 La crisi della Cristianità, infatti, ha origine dalla smania di avvicinare la fede al delirio agonico in atto nella mente dei moderni, una frenesia che ultimamente è insorta, con ingiustificato rigore, contro l'ordine dei francescani dell'Immacolata, avanguardia della pietà vivente oltre l'infelice e disastrosa avventura della teologia progressista. Al proposito, Viglione rammenta la follia che sconvolge i cattolici intossicati dalla ciancia dei nuovi teologi, ad esempio “le suore americane che predicano aborto, libero amore, libera omosessualità, sacerdozio femminile”.
 A proposito del delirio imperversante nella mente dei teologi post conciliari, Viglione rammenta che il cardinale Oscar Maradiaga, in un saggio intitolato Parlare di Dio nel mondo, ha scritto che “la Rivoluzione francese, ed essa soltanto, occupa il posto di rivoluzione autenticamente umana”.
 Il delirio clericale è ridicolizzato e sconfitto dal rumore delle sue parole d'ordine. Squilli l'inutilità dei quali fu rammentata dal cardinale Ercole Consalvi a Napoleone, che minacciava la imminente distruzione della Chiesa cattolica.
 La discendente cometa del bonapartismo testimonia l'inutilità della guerra contro la Chiesa cattolica e giustifica la fedeltà irriducibile dei fedeli che osano sognare il paradiso in terra, “il mondo dei doveri, il mondo del Decalogo dettato da Dio per la salvezza degli eletti”.

Piero Vassallo


lunedì 28 marzo 2016

La misericordia non vedente ma ultracogitante

Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini.
Matteo, XV, 26

 Alla squalificata e disapprovata minoranza degli italiani disorganici/refrattari e pertanto silenziati dai buonisti di ogni risma, la società di stampo liberale, massonico e urinario occulta o proibisce la vista del desolante spettacolo dei compatrioti (giovani disoccupati o anziani in umiliante attesa della ritardata pensione) talora costretti all'accattonaggio e/o al vagabondaggio.
 Gli infelici italiani, che hanno abitazione in automobili fuori uso e/o in recipienti di cartone, costituiscono la minoranza visibile del vasto e censurato popolo dei disoccupati, dei sotto occupati, dei meno agiati, degli umiliati, degli affamati e degli assiderati dalla maledetta economia europea, governata dagli strozzini di scuola liberale.
 Keep smile! L'ideologia occidentale, che informa ed esalta i gongolanti eletti dalle democrazie europee, è il motore del pauperismo in circolazione sfrenata e insolente contro le fasce deboli e indifese della popolazione.
 Purtroppo nessuno osa proporre l'uscita dell'Italia dalla pugnalante dama di Norimberga, attiva sotto la cadaverica figura dell'Europa, unita contro i popoli in ginocchioni davanti al divino marchese, profeta della virtù oggi al potere nell'Occidente democratico & liberista.
 Mentre la strutturale ferocia degli islamici lancia segnali allarmanti – ad esempio i recenti   massacri degli ignari belgi e delle pacifiche famiglie cristiane, che a Lahore festeggiavano la Santa Pasqua - la parodia europea della misericordia offre ristorazione, pernottamento in albergo e denaro alla collaudata refrattarietà degli (esigenti, impazienti e mai soddisfatti) immigrati fedeli alla religione del falso profeta Maometto.
 Il pensiero di Leopold von Sacher-Masoch è il motore del vasto partito ecumenico/progressista, al potere nell'Italia infettata e degradata dalla goduria americana.
 Degli italiani poveri ed invisibili, infatti, la contraffatta, inquinata, deviata e capovolta misericordia dei politici gaudenti non si cura. Solamente i soccorritori cattolici conoscono la vastità del margine in cui si aggirano le povertà generate dall'ideologia liberale al potere. 
 Dal loro canto i distributori di pie minestre allontanano lo sguardo dei cattolici dal minaccioso incombere dei lupi islamici, avanzanti sotto il vello delle pecore disarmate e bisognose d'affetto ecumenico.
 Gli allarmi lanciati dai lettori disincantati (e insultati) del Corano cadono nel vuoto magicamente scavato dallo sguardo della bontà accecata e castrata dalle manfrine eterodosse, messe in scena dal machiavellismo soggiacente alla  vera dottrina di Maometto. Sceneggiate approvate e applaudite dalla conclamata cecità del pubblico democratico e dal delirio teologico degli spettatori clericali.
  Lo stordimento della Cristianità post-conciliare, il furore denatalista, la dissoluzione della filosofia, il divorzio dell'economia dalla ragionevole prosperità,  e  la discesa della cultura tradizionalista nel parolaio qualunquista e/o borgataro, sospingono la civiltà occidentale in direzione della discesa senza ritorno. 

 Solo uno scatto dell'orgoglio cattolico può allontanare l'Europa della baldoria ecumenica indirizzata al naufragio in una tirannide di stampo islamico.

Piero Vassallo

sabato 26 marzo 2016

La teologia soggiacente al miracolo di Cana

 Scrive Agostino: c'è da meravigliarsi che Gesù vada alle nozze in quella casa, lui che è venuto a nozze in questo mondo? Se non fosse venuto a nozze non avrebbe qui la sposa a cui un giorno offrirà il suo sangue. Il Verbo è lo Sposo la carne umana è la sposa e tutti e due sono un solo Figlio di Dio. Il miracolo di Cana è solo la prima parte dell'altro pranzo di nozze dell'ultima Cena, ove Gesù trasformerà il vino in sangue per sposare tutta l'umanità sulla Croce della redenzione.
Padre Eugenio Cavallari degli agostiniani

Non è missione cristiana risolvere il problema economico-sociale, quello della distribuzione dei beni della terra, perché ciò che redime il povero dalla sua povertà, redime il ricco dalla sua ricchezza.
 Miguel de Unamuno


 Letterato di polso e teologo per collaudata adesione alla scuola tradizionista, Rodolfo Vivaldi ha nutrito, nel giro di alcuni anni, un infaticabile desiderio di scoprire la verità, che soggiace al racconto giovanneo delle nozze di Cana.
 Frutto della annosa/faticosa ricerca e della sagace riflessione di Vivaldi, un fedele che si dichiara “scampato alle molteplici crisi e perfino al Vaticano II”, è l'avvincente volume, pubblicato in questi giorni dall'instancabile Marco Solfanelli, editore refrattario, attivo nell'area, in cui si verifica la fioritura e la continua espansione, di circoli animati dall'insofferenza verso il nichilismo gongolante sulle ceneri dell'illusione rivoluzionaria.
 L'opera di Vivaldi è una esposizione scorretta dei “pensieri di un petit chrétien in seria difficoltà nel marasma di opinioni, asserzioni, prese ufficiali di posizione l'una in contrasto con l'altra”.
 In ultima analisi l'autore aderisce all'insorgenza dei cattolici irriducibili al modernismo di ritorno sotto i peli esausti del buonismo, “mentalità laica, totalmente egemone nella attuale epoca” che è purtroppo scivolata nei testi del Vaticano secondo e nel pensiero dei successori di Giovanni XXIII.
 Vivaldi coniuga una autentica conoscenza della Scrittura con l'umiltà “di un povero cristiano, pieno di dubbi e di incertezze”, che osa tuttavia proporre la sua immaginosa riflessione su un episodio del Vangelo di Giovanni – la mutazione dell'acqua in vino - che desta forti emozioni e ardui problemi.
 La soluzione dell'enigma è l'accertamento dell'intenzione di tutti i miracoli narrati dagli evangelisti, “che senza eccezione, si collocano in un'atmosfera di infelicità umana, che solo la Fede, ottenuta attraverso la Parola di Gesù, riesce a riscattare”.
 All'ardito commento del Vangelo fanno da contrappunto le riflessioni di un immaginario cardinale, il quale estende la sua incendiaria misericordia ai calunniati gatti, “creature di Dio da rispettare e amare, anche se accompagnavano le orde barbariche del temuto Attila, della cui crudeltà non erano certo responsabili”.
 Il cardinale confessa inoltre la nostalgia destata dal lontano ricordo del parroco “cui era legato da profondo affetto e riconoscenza”, un uomo di Chiesa, che aveva previsto il futuro rovesciamento della cultura laicista nella porno-necrofilia, oggi galoppante fra le fumose righe dei testi radical chic intorno all'aborto e all'eutanasia (cui l'avanguardia profetica, squillante nel surreale Belgio, condanna i malati gravi e i bambini giudicati imperfetti).
 La tesi che audacemente Vivaldi propone infine ai suoi lettori costituisce il superamento dell'opinione di Mircea Eliade (e dei teologi orizzontali), secondo i quali i riti cristiani sarebbero intesi a ripristinare la primitiva innocenza. La fede cristiana annuncia, invece, una straordinaria novità: “Cristo, ubbidiente a sua Madre, opera una trasformazione non solo dell'acqua in vino, ma del rapporto uomo/Dio che si identifica in una globale relazione familiare”.
 La lettura dell'opera di Vivaldi è pertanto consigliato ai cattolici estenuati dal bla bla dei predicatori allineati con il pensiero agonizzante nei desolati padiglioni, nei quali agonizza l'insorgenza comunista e nell'illuminato obitorio della democrazia occidentale.


Piero Vassallo

venerdì 25 marzo 2016

IL POMPIERE BERGOGLIO APPICCA IL FUOCO (di Piero Nicola)

Veramente il posto che occupa sarebbe quello del guerriero, del condottiero che serve il Signore. L'autentico vicario di Cristo, tenuto a imitare il Maestro e Fondatore della Chiesa, avrebbe il precipuo dovere di seguirne le orme combattendo. Infatti Gesù non fece che combattere, sia pure con la parola e col sacrificio, contro i nemici della verità: il demonio, i farisei, i sacerdoti, gli scribi, ecc.
  Ma l'occupante della Cattedra petrina, il pacifico Bergoglio, ignorante del Vangelo e profanatore della Misericordia, dovrebbe almeno assolvere il compito di pompiere. Naturalmente, un pompiere che spegne gli incendi dell'errore e dello scandalo. Sempre agendo come Cristo mostrò e comandò che si dovesse fare. Viceversa, la fellonia bergogliana è integrale. La sua enorme negligenza lascia che le eresie divampino bruciando legioni di anime, che l'empietà e il nichilismo infiammino democraticamente i cervelli.
  Ma il suo delitto di omissione è diretto contro lo Spirito Santo, giustificando il fallo con un fermo insegnamento, per altro già da un pezzo consolidato.
  Dunque negligere non gli basta: porta carichi di legname e autobotti di nafta ai roghi e ai forni dove si liquefa la dottrina cattolica. Predispone egli stesso convegni di appestanti inceneritori di dogmi. Parlando, sprizza scintille sulfuree, profumate come si usa per mascherare le cose immonde. Per non smentirsi, ha acceso micce baciando piedi femminili e piedi maomettani, al rito contaminato della Coena Domini. Lo spregio gettato sul simbolo del Redentore che lava i piedi agli Apostoli è un oltraggio apocalittico.
  E non è lui che si è appropriato della meschina quanto reproba trovata per la quale le azioni possono contraddire la ragione fissata, la Rivelazione e, superando il Verbo di Dio, possono valere di più? Non è lui, un responsabile dell'asserita prevalenza della prassi sulla norma, a dispetto dell'errore dottrinale? Con ciò si smentisce Cristo che afferma comandamenti, ossia leggi da osservare senza discussione! Perché questa è la pura sostanza di risoluzioni come quelle avutesi al sinodo dei vescovi sulla famiglia, di cui aspettiamo il commento del Bergoglio senza la minima trepidazione, certi della sua miseranda coerenza.
  A Bruxelles, capitale fra le più babeliche (200.000 abitanti maomettani), di Venerdì Santo e nel fresco lutto della strage islamica, hanno cantato il paganeggiante e massonico Inno alla gioia, dei religiosamente confusi Schiller e Beethoven. Nella Place de la Bourse, i giovani scrivono "pace", "amore" coi gessetti; migliaia di cuoricini adulti, spesso esibizionisti, sicuramente democratici, depongono mazzi di fiori, pupazzi, biglietti. Si tengono "veglie pagane" (Corriere della Sera) con cantanti rap, chitarre rock, corali professioniste. Il tutto ripreso dalle mondiali televisioni.
  E il pompiere antitetico alla verità di cronaca, di storia e di dottrina cattolica, tace. Se la prende con chi dà le armi ai terroristi. Tanto è una denuncia delle più vaghe e innocue. Predica contro il "fondamentalismo crudele", confermando i propri falsi insegnamenti sull'islam; che è reale e storico nemico della SS. Trinità, armato dal Corano. - L'errante pervicace è condannato alla falsità delle sue interpretazioni e di tutta la sua vita.
  I musulmani dormienti, che in certi stati hanno accettato una tregua imposta dai governanti, possono essere anche pacifici, e allora sono eretici. Ma chi come Bergoglio non sa più, o non vuole, distinguere tra fedeli confessori di una fede ed eretici, ha modo di predicare che i veri musulmani non sono in guerra con noi e non vogliono conquistare il mondo come ha loro prescritto Maometto; né sa, o vuole, distinguere tra i provvisoriamente convertiti alla pace e i taciti sostenitori della guerra di religione. Egli dimostra ignavia per non aver letto il Corano, oppure l'incredibile ignoranza di averlo travisato, oppure la mala fede. Non esiste una diversa alternativa.

Piero Nicola


IL PROTESTANTESIMO. LI RICONOSCERETE DAI LORO FRUTTI (di Ezio Minerva)

Non posso che trarre giovamento e preziosa lezione da numerosi fedeli educati dalle varie Comunità protestanti; quanti fra loro s'iscrivono nell'immensa moltitudine di cristiani che offrono quotidianamente carità e sacrificio, che non si negano al martirio, quanti, pensando ad esempio alla realtà statunitense, sono esemplari nella difesa della famiglia e della vita sin dal concepimento.
Amante della Sacra Scrittura, capace di destare la Chiesa dai suoi interessi mondani, non posso invece trarre nessun conforto da coloro che, in ambito cattolico, tessono addirittura apprezzamenti nei confronti di Lutero, dimenticando che non i buonismi di molteplice matrice, ma sempre i frutti indicano la natura dell'albero.
Molto più sagaci sono infatti gli autori che rifiutano la classica denominazione di “Riforma protestante”, sostituendola a quella di “Rivoluzione protestante”, ben più adeguata a focalizzare i nevralgici peggioramenti apportati non solo nella sfera religiosa dall'azione di Lutero e degli altri storici sovvertitori. Ancor più precisamente si dovrebbe parlare di “espropriazione dell'autentica fede” subita da milioni di persone profondamente influenzate da quei fatti del XVI secolo, capaci di negare non Cristo, ma la presenza di Cristo; la presenza di Cristo imperante nella vita degli uomini (santi), nella scelta del proprio destino eterno (libero arbitrio), nella trasmissione della fede (tradizione). Quando San Pio da Pietralcina, poco avvezzo a facili sincretismi, affermava che il Protestantesimo non avrebbe mai presentato un santo come Camillo de Lellis, capace di consacrarsi totalmente ai lebbrosi, probabilmente pensava ad un ennesimo sacrilegio, che doveva necessariamente concretizzarsi da chi stava banalizzando la fede cristiana, quello di banalizzare la figura di Maria, imprescindibile per la medesima fede. E certamente pensava al più tragico degli sradicamenti operati da Lutero e compagni, quello da Cristo vivo e presente nei sacramenti, irrinunciabili per presentare al mondo quelle schiere di cristiani che testimoniano Dio con la totalità della propria persona.
Il Cattolicesimo è la fede che giudica l'uomo, il Protestantesimo è l'uomo che giudica la fede; non riesco a trovare sintesi più consapevole di quella proposta da Monsignor Luigi Negri, non solo capace di svelare una differenza così sostanziale fra le due religioni, bensì di condurci a scoprire l'origine di una delle fondamentali difficoltà che incontra il Cattolicesimo in Occidente, infatti vittima in molti suoi fedeli e non rari suoi pastori di una mentalità frequentemente protestante, dunque profondamente influenzata dal secolarismo e persino dal laicismo, quindi refrattaria a chinarsi innanzi a Cristo e ben disposta a circondarlo non d' innumerevoli e sincere esitazioni, frutti della debolezza umana, ma d' ipocrisie e stucchevoli compromessi, frutti d'umana tiepidezza.
Non è forse accattivante il luterano proclama “ognuno è sacerdote di se stesso” ? Infatti ricorda così da vicino quello della tentazione originaria ai progenitori, che infine vollero “diventare come Dio”, decidendo da loro cos'è il bene e cos'è il male.

Naturalmente sacerdote di se stessi, significa confessore di se stessi, giudice di se stessi, legislatore di se stessi. Quale Riforma? Quale Rivoluzione? Nulla di nuovo sotto il sole. Siamo all'inizio della storia e nonostante l'uomo, raccontandola, s'ingegni ad estrapolare dinamiche sociali, culturali e belliche, ad iniziare dalla radice più profonda tutto l'albero delle vicende umane non si può comprendere senza focalizzare, prima di tutto, la perversa superbia umana, che porta e porterà sempre frutti disgustosi e ancor più velenosi. Così, nella loro generalità, le conseguenze antropologiche, sociali e politiche apportate dalla Riforma protestante non possono che iscriversi fra questi.
L'ancora ampiamente diffusa tesi di Max Weber, indicante il Protestantesimo come insostituibile culla del capitalismo, è stata ampiamente confutata da sociologi del calibro di Rodney Stark, mentre è quanto meno ridicola quella che lega la cultura protestante alla conquista dei vari diritti umani.
Dopo il cattolico Medioevo, in Occidente lo schiavismo è ridiventato prepotente a causa dei maggiori Paesi protestanti dell'epoca, ben attenti a giustificarlo anche ideologicamente, nonché di quelli cattolici, si badi bene, tanto più oppressori quanto più erano svincolati politicamente dalla Chiesa di Roma, che persino attraverso l'Inquisizione condannava senza alcun compromesso quella pratica (1686).
In ambito cristiano la stessa poliginia (un uomo sposato con più di una donna), già tollerata dai riformatori Melantone e Giovanni di Leida , è ora presente in alcune Comunità protestanti, e del resto anche Lutero, partendo dalla comoda ideologia della “sola fede”, permetteva al marito di tradire la “sola moglie”, nel caso fosse stata malata od indisposta per vario tempo.
Il razzismo, quello autentico e non denunciato dalla logicofoba sinistra europea ed italiana, si è presentato prima di tutto e soprattutto nei Paesi di cultura protestante, se solo si considera la storia nazionalsocialista nella Germania del XX secolo, o se pensiamo ai deliri eugenetici degli Stati Uniti e di varie nazioni del nord Europa nella prima metà del '900.
I fumi anticristiani del Comunismo hanno potuto affermarsi solo in drammatica contrapposizione al Cristianesimo soprattutto Ortodosso e quelli della Rivoluzione francese al Cristianesimo cattolico, ma in generale il mondo protestante si è blandamente opposto all'arroganza legislativa e filosofica dell'uomo moderno e contemporaneo, essendo anzi, non raramente, il suo più o meno diretto ispiratore. Così lo scardinamento della famiglia, l'aborto, i matrimoni gay, i bambini privati di veri genitori, la teoria gender - maleodoranti frutti atti ad annientare, insieme ai nostri figli, la civiltà occidentale - sono cresciuti nel medesimo terreno di colui che quasi cinque secoli or sono si prodigò per dividere quella medesima civiltà.
Oggi i media finlandesi si vantano che nel loro Paese è pienamente legittimo il sesso con gli animali, mentre in Olanda, dopo il partito dei pedofili, approda la famiglia multigenitoriale, e se i figli non si salvassero dall'angoscia e dalla più profonda depressione nessuna paura, perché in Inghilterra si avvieranno presto le ricerche per selezionare i futuri nati, progettandoli magari più permeabili alle terapie psichiatriche e certamente obbedienti alle istituzioni.
In Svezia, dove la maggior parte delle persone vivono da sole, internet ha sostituito la famiglia come autentico riferimento sociale e ad esso, non raramente, si affida la trasmissione del proprio suicidio; la Danimarca, dove si dibatte se liberalizzare l'incesto, registra un numero di adolescenti alcolizzati addirittura drammatico, mentre i tassi di suicidio e di violenza sulle donne, in vari Paesi nordici, sono sorprendentemente superiori a quelli italiani.
Nonostante questo i nostri media, precipiti nel vuoto culturale e dunque affetti dalla sindrome della pecora, indicano spesso il nord Europa come esempio di civiltà da seguire ad ogni costo, forse felici del fatto che trattasi di società quasi completamente scristianizzate, altro frutto di Lutero e amici anticattolici, abolitori e persecutori della vita consacrata, falsi testimoni di un Cristo al quale non vale la pena donare tutta la propria esistenza, dunque, se tale concetto proviene proprio da un pulpito religioso, subdoli seminatori della mala erba, antichi profeti di una società formata da vite cosificate e depresse.
  
Ezio Minerva


L’ERESIA CATARA, FONTE SCONOSCIUTA DEL NICHILISMO CONTEMPORANEO

Il trattato cataro sui due principi, scoperto per caso nella Biblioteca Nazionale di Firenze dall’erudito domenicano Antoine Dondaine e pubblicato nel 1939 [1], offre, insieme con la magistrale e tuttora insuperata storia dell’eresia albigese, scritta da Jean-Baptiste Guiraud [2], l’opportunità di compiere una strabiliante escursione, nel futuro prossimo e nel passato remoto dell’ideologia rivoluzionaria [3].
Lo scrupoloso esame della dottrina catara e delle sue (evidenti) radici gnostiche e manichee [4], infatti, costringe chiunque a riconoscere la singolare somiglianza dell’eresia medievale con le furenti elucubrazioni dei nichilisti, che hanno prodotto il bizzarro mosaico delle utopie anarchiche proliferanti sulle macerie della modernità [5].
Il primo tassello di questo tortuoso ed oscuro mosaico, che si potrebbe intitolare Catalogo delle affinità imbarazzanti, è il rovente disprezzo (d’ispirazione esoterica) dichiarato dai catari nei confronti del Dio creatore, che si è rivelato ad Abramo e alla sua discendenza [6].
Il rifiuto e la denigrazione dell’Antico Testamento e l’odio implacabile verso gli ebrei, infatti, costituisce il capitolo più cospicuo del risveglio gnostico (marcionita) e cataro, che fa infuriare i due versanti del vertice speculativo della modernità:  la contraffatta destra neopagana (dove circolano imperterrite le tesi di Nietzsche sul bonus-duonus, le fantasticherie di von Harnack sul cristianesimo tedesco e le sublimi imposture di Simone Weil sul dio alieno e sul cristianesimo puro) e la sinistra postmoderna (dove imperversa la lettura apocalittica di Marx e di Freud, i maestri del sospetto, e di Heidegger, il teorico della gettità).
Per misurare la temperatura della bruciante febbre neognostica e neocatara, che costituisce il sintomo della crisi contemporanea, è sufficiente rileggere una pagina scritta da Nietzsche nella cruciale estate del 1887:  “Credo mi sia consentito interpretare il latino bonus come il guerriero, posto che a buon diritto riconduco bonus ad un più antico duonus (confronta bellum=deullum=duenlum, in cui mi sembra sia conservato quel duonus).  Bonus, quindi, come uomo della disputa, della disunione (duo), come guerriero:  si vede quel che nell’antica Roma costituiva in un uomo la sua bontà”.
In quesa insalata di parole, l’irritabilità, senza dubbio connessa alla schizofrenia incipiente se non già esplosa, traduce l’accesa e incontrollata fantasia del filologo e la trascina al bordo del delirio assoluto, che farà risuonare le filastrocche gnostiche dei postmoderni (si pensi a certe pagine mistiche di Zolla) e dove si esalta come buono lo stato aggressivo e scismatico del drogato e/o dell’invasato, detto appunto duonus [7].  È impossibile tuttavia negare l’appartenenza del saggio scritto nel 1887 a quell’ultima e definitiva fase del pensiero di Nietzsche, che è intitolata alla regressione dionisiaca e alla sana barbarie.
Ora il contenuto della dissertazione sulla genealogia della morale dimostra, senza lasciare ombra di dubbio, la legittimità dell’interpretazione di Lukács (felicemente speculare a quella di Elisabetta Foster-Nietzsche e di Baumler), che indicava nella filosofia zoologica di Nietzsche la fonte della mitologia neopagana intorno all’intrinseca superiorità dei biondi ariani, preambolo del nazismo.  L’argomento filologico, sfoderato nella prima dissertazione sulla genealogia della morale, toglie qualunque sostegno alle tesi degli studiosi di scuola heideggeriana e/o francofortese, che, dal 1945 ad oggi, hanno tentato la riabilitazione di Nietzsche e la sua iscrizione nel partito del politicamente corretto:  “In latino, malus, (al quale metto accanto mela) potrebbe essere designato l’uomo volgare, in quanto individuo dal colore scuro, soprattutto nero di capelli, l’autoctono preariano del suolo italico, che per il colore della sua pelle si distaccava, con la massima evidenza, dalla bionda razza dominante”.  La conclusione di Nietzsche è terrificante:  poiché la morale dei mali ha soppiantato la morale dei duoni, “oggi non esiste forse alcun segno più determinante della natura superiore, della natura più spirituale, che essere scissi…ed essere ancora realmente un campo di battaglia per quelle antitesi.  Il simbolo di questa lotta, espresso in caratteri che sono restati sino ad oggi leggibili al disopra di tutta la storia degli uomini è Roma contro Giudea, Giudea contro Roma”.
A questo punto, Nietzsche suggerisce una lucida definizione dell’umanità riscattata dal Dio d’Israele (“buono è chiunque non usa violenza, non reca danno a nessuno, non aggredisce, non fa rappresaglie, rimette a Dio la vendetta, fugge ogni malvagità, pretende poche cose dalla vita”) ma la usa per avvolgerla nel sospetto e oltraggiarla bestialmente, appiattendo lo splendore della bontà nell’impotenza e nell’ipocrisia:  “Noi deboli siamo decisamente deboli:  è bene che non facciamo alcuna cosa per la quale non si è forti abbastanza, ma questo crudo stato di fatto, questa prudenza d’infimo rango, che posseggono perfino gli insetti, grazie a quell’arte da falsari e quella mendacità dinanzi a se stessi che è propria dell’impotenza, si dà il pomposo travestimento della virtù rinunciataria”.  Per sfuggire ad un tale appiattimento non rimane altro che quell’imitazione delle virtù ariane che il Novecento ha conosciuto a perfezione.
Simone Weil, un’autrice empiamente pia e perciò buona per il lato destro e per quello sinistro della catastrofe moderna, professava apertamente il disprezzo per il Dio dell’Antico Testamento:  “Non sono mai riuscita a capire come uno spirito ragionevole possa considerare lo Yaweh della Bibbia e il Padre invocato nell’Evangelo come un solo e medesimo  essere” [8].
Gli spiritualisti disgregati e i comunitari solidali, che imperversano nei salotti televisi, dove si va in estasi fiutando e delibando il Sublime generosamente spruzzato negli scritti di Simone Weil, evidentemente giudicano trascurabile il fatto che la dichiarazione appena citata rinvia alla teoria dei catari, secondo cui Abramo, Isacco, Giacobbe e Mosè sono figure diaboliche ed emissari del deus iniquus.  Di conseguenza è lecito affermare che gli spiritualisti e i comunitari in carriera assolvono (si osa sperare inconsapevolmente) il vero ed unico preambolo dell’antisemitismo di sinistra e di destra [9].
All’inversone catara (e postmoderna) della pietà religiosa è inoltre associata una feroce inimicizia verso il creato:  l’odio cataro (in questo variamente imitato dal vivere per la morte dei nazisti e dalla contestazione dell’esistente dei sessantottini) s’indirizzava entusiasticamente contro la procreazione, detestata perché conseguenza e allegoria della creazione, e perciò giustificava e raccomandava, alla stregua delle ascesi mistiche, la sterilità volontaria nei rapporti coniugali, l’aborto procurato, l’infanticidio e le pratiche sessuali contro natura.
Francesco Zambon, un autore adelphiano, che non può essere sospettato d’intransigenza, ha dimostrato che, per i catari, l’uomo “creato in parte da Dio, in parte da Satana, miscuglio di bontà e di malignità, di verità e falsità, di essere e nulla”, è incapace di sciogliere il nodo di contraddizioni che lo soffoca:  “Per sfuggire a questa condizione, cui lo condanna la dimora in un corpo materiale, egli dovrà perciò distruggersi, troncare il nodo perverso di spirito e di carne che lo costituisce” [10].

Si può pertanto affermare, senza tema di smentita, che nell’orizzonte visionario dei catari era proiettato l’insano desiderio di devastare la società tradizionale mediante l’alterazione della sua cellula essenziale, e in ultima analisi, di causare l’uscita dal mondo e l’estinzione definitiva del genere umano.  Nella sua opera ultima, il defunto professore Elémire Zolla, un intellettuale di sinistra, che ha esplorato (beandosene) il sottosuolo ereticale e trasgressivo dell’ideologia moderna, disegna il profilo dell’autentica religione mortuaria, misticamente intenta alla distruzione del mondo:  una cultura che attribuisce al suicida la dignità del martire.  Con il fine palese di trascinare la tradizione cattolica nella fossa dei serpenti del masochismo, Zolla sosteneva che “l’accettazione della sofferenza inaudita propria del martirio equivale a un suicidio.  Il martire è un suicida  per mano di estraneo, anzi del massimo nemico” [11].
Ora, il fondamento di questa morbosa passione per il sarcofago è la identificazione (ricorrente nell’eresia gnostica e in quella catara) della beatitudine con lo zero metafisico.  Con sfoggio scodinzolante e grottesco della su accademica solennità, Zolla scriveva:  “All’origine, se vogliamo, si parte da un atto di mistica impeccabile, l’incontro tra il baratro Bythós e il silenzio assoluto Sighé.  L’ammutolimento dinanzi al precipizio è tutto ciò che sia lecito dire dell’inizio perfettissimo.  In seguito comincia l’allontanamento da questa perfezione:  allo spirito si aggiunge la psiche e la materia, demiurgo di questa creazione scellerata e rimescolante è Jalda baoth…Lo gnostico interpreta gli eventi come ritorni infiniti della cosmologia precedente” [12].
Va da sé che la passione mortifera, effusa dall’eresia catara nel Medioevo ed ora nel Postmoderno, non giustifica (a posteriori) gli eccessi dell’Inquisizione e tantomeno gli orrori della crociata condotta scelleratamente da Simon de  Monfort.  Occorre dunque riconoscere, senza riserve mentali e però senza bisogno di tuffarsi nella rugiada ecumenica dei buonisti, che la delittuosa e mondana spietatezza con cui Simon de Monfort represse i catari offende il sentimento cristiano [13],  giustifica la richiesta di perdono che a suo tempo avanzò Giovanni Paolo II.  Insieme con l’orrore dei posteri per il massacro dei catari, lo storico onesto dovrebbe però sforzarsi di uscire dalla gabbia neurologica, costituita dagli anacronistici pregiudizi dell’illuminismo, e comprendere anche il motivato sgomento e la giustificata indignazione, che colse la gerarchia cattolica e la maggioranza dei fedeli quando in Europa si diffuse un’eresia fanatica e spaventosa, che non si limitava a calunniare la creazione (attribuendola a Satana) e ad oltraggiare i santi dell’Antico Testamento, ma raccomandava e promoveva un’ascesi  forsennata, intesa nientemeno che al totale annichilimento della vita.  Si dovrebbe infine comprendere che l’eresia catara era giudicata più per il suo aspetto di crimine politico (di attentato alla integrità e alla sopravvivenza delle nazioni cristiane) che per il suo contenuto strettamente teologico.
Sui contenuti umbratili della dottrina catara, i documenti d’epoca non lasciano dubbi.  “La setta, l’eresia e gli smarriti seguaci dei Manichei – scriveva nel XIII secolo Bernard Gui – riconoscono e confessano due dèi o due signori, un Dio buono e un Dio malvagio.  Affermano che la creazione di tutte le cose visibili e materiali non è opera di Dio, il Padre celeste – quello che chiamano Dio buono – ma è opera del diavolo e di Satana, il Dio malvagio:  e lo chiamano infatti Dio maligno” [14].
Ora, la scissione della divinità in due princìpi eterni e irriducibili, produce necessariamente una disperante idea del destino universale, una visione che introduce il più cieco determinismo.  In uno dei trattati catari raccolti nel Libro dei due princìpi, infatti, l’esistenza del libero arbitrio è negata in forza di un ragionamento che attribuisce a Dio l’intenzione di creare angeli malvagi:  “La necessità di essere demoni e l’impossibilità di non esserlo ha preceduto l’esistenza degli angeli.  Era quindi assolutamente impossibile che essi non diventassero demoni e lo era soprattutto dal punto di vista di Dio, nella cui mente è presente tutto ciò che è stato, è e sarà…Ne consegue necessariamente che, dal punto di vista del Primo Fattore, tutto avviene per necessità” [15].
E ancora più chiaramente:  “[Dio] scientemente e con piena cognizione di causa ha creato i suoi angeli in una imperfezione tale per cui, nella sua mente, era impossibile fin dall’eternità che non bramassero la sua bellezza e grandezza.  Perciò bisogna concludere che gli angeli in questione non hanno ricevuto da Dio il libero arbitrio, grazie al quale avrebbero potuto evitare completamente la brama” [16].   
Alla luce del conclamato fatalismo, non stupisce  l’avvistamento, nella costellazione catara, di un fondamentale mito che il pensiero moderno ha tratto dalle antichità greche:  l’eterno ritorno dell’identico.  Francesco Zambon, infatti, cita un testo di Salvo Burci, dove, a proposito dei catari, si dimostra che “affermano che quando le anime saranno ritornate in cielo e saranno riunite nella resurrezione con i loro corpi e i loro spiriti, e quando gli angeli del Dio malvagio, rimasti per combattere, saranno precipitati in basso, incomincerà ancora una volta il combattimento.  Adhuc incipietur proelium.  Anche se il vero Dio sarà sempre vincitore, nulla potrà mettere fine alla guerra eterna fra il bene e il male” [17].
Per sciogliere il nodo della scandalosa anomalia, rappresentata dal regresso dell’avanguardia moderna all’eresia medievale, è necessario rammentare che un atto della pura volontà, incamminandosi verso il radioso ateismo, può facilmente immaginare un mondo senza principio, mentre nel cammino della ragion atea s’incontrano scorbutiche e insormontabili difficoltà.  Ad esempio l’impossibilità di far quadrare il principio d’immanenza con le leggi della ragione codificate dal caparbio Aristotele, che aveva intravisto la verità del teismo considerando la struttura contraddittoria e paradossale del mondo descritto dagli atei.
Nessuno ha finora escogitato una formula atta ad impedire che il mondo senza un saldo principio deragli in quella confusa e angosciante fantasticheria, che ha il nome (ultra-antico e perciò postmoderno) di eterna ripetizione dell’identico.  Un’allucinazione, l’eterno ritorno, scaturita dalla perfetta gratuità:  in un frammento del 1885, Nietzsche non esita a dichiarare che l’idea dell’eterno ritorno costituisce il fondamento di un fideismo capovolto.  A ben vedere il mito dell’eterno ritorno perfeziona tutti gli ateismi moderni, sostituendo la causa prima con l’idea illogica del circolo vizioso, circulus vitiosus deus.
Negli anni che prepararono la catastrofe mentale del Sessantotto, Pierre Klossowski, studioso di Nietzsche e coerente teorico dell’ateismo radicale, aveva, infatti, ammesso senza riserve la refrattarietà della ragione all’ateismo, annunciando l’inabissamento del ciclo antropocentrico nel delirio arcaicizzante intitolato all’eterno ritorno e alla tragica risata di Nietzsche.
Klossowski ha annunciato alla sparuta modernità, che la mitologia dell’eterno ritorno, ultimo guizzo del secolo illuminato e catastrofica spiaggia dell’illusione antropocentrica, è “concepita come un simulacro di dottrina il cui stesso carattere parodistico dà conto dell’ilarità come attributo dell’esistenza sufficiente a se stessa”.
Se non che l’immotivata ilarità dell’ateo radicale, lacera il tessuto dell’intelligenza ed è perciò paragonata, da Klossowski, “all’angoscioso struggimento dell’infermo che pensa la salute, del martire che assiste al tramonto del proprio ideale, dell’eroe la sera della battaglia che non ha deciso nulla” [18].
A questo punto Klossowski, dopo aver citato Max Stirner (“ho fondato la mia causa sul niente”) può concludere affermando che Dioniso, “figura suprema dell’incessantemente possibile, libererà l’uomo dal suo attuale nichilismo”.
Il ciclo dell’ateismo moderno, dunque, si conclude nel punto esatto in cui era finito l’ateismo antico:  nella pretesa, denunciata a confutata da Aristotele nel IV libro della Metafisica, dove si attribuisce ad Anassagora la pretesa di risolvere la questione intorno all’essere e al nulla mediante il discorso intorno al possibile.  Cercata a partire dal rifiuto della causa prima, la liberazione progettata dai moderni è naufragata nel mare delle insanabili contraddizioni dei presocratici e delle tempeste sessantottine.  Ora non c’è dubbio che la teologia catara sia il perfetto contenitore delle contraddizioni insolubili, che s’incontrano nel cammino del pensiero verso l’orizzonte ateo. 
L’ossessione del destino e l’ostilità tassativa alla vita nella materia sono incompatibili con il presupposto finalistico, che è indispensabile alla vera morale.  È dunque lecito affermare che, prescindendo dalle disposizioni interiori dei singoli praticanti, la religione catara è strutturalmente inclinata all’immoralità.
Non a caso il sentimentalismo cortese, che i romantici ammiravano nella tradizione catara, proclamava l’illiceità di un rapporto fecondo tra coloro che avevano contratto il vincolo sacro del matrimonio ma non condannava con uguale forza i rapporti carnali sterili consumati fuori dal matrimonio.  Evidentemente la sublimazione lirica dell’amor sovrano non è altro che la maschera imbellettata dell’obituarismo, che impazza nella società dell’eresia.
Scrive Guiraud:  “La negazione della famiglia era la conseguenza logica della loro concezione pessimistica del destino umano.  Se infatti, come insegnavano, la vita era il più grande dei mali, non bisognava accontentarsi di distruggerla in se stessi col suicidio o col nirvana, occorreva ancor più guardarsi dal comunicarla a nuovi esseri [19].        
Nell’eresia catara si trovano pronte all’uso le idee oggi costitutive del libero amore, dell’erotismo in tutte le direzioni, dell’abortismo sacrificale e del feticismo per il preservativo.  Ma l’elenco delle strane analogie non è ancora completo:  per motivi esclusivamente propagandistici i Catari coniugavano il rigido disprezzo per la vita con l’ostentazione del loro aspetto poveristico e delle loro opere di misericordia corporale.  Una perfetta ipocrisia, dal momento che la loro teologia antivitale escludeva a priori la solidarietà diretta al corpo creato dal dio iniquo.  A questo proposito Guiraud, dopo aver citato la testimonianza di san Domenico – “grazie alle loro ingannevoli apparenze di povertà ed ai segni esteriori d’austerità persuadono i semplici” – sottolinea che i perfetti o purissimi “si guadagnavano il popolo rendendogli i servizi che meglio potevano conquistarlo” [20].
Nella teologia dualistica dei catari si trovano, infine, gli elementi costitutivi della dottrina che attribuisce l’amore al secondo dio – al dio antagonista – la giustizia al Dio della Bibbia e perciò suggerisce la pratica della non-violenza:  “Anarchici i catari lo erano veramente quando negavano alla società il diritto di difendersi dai nemici interni ed esterni, dai malfattori e dagli invasori” [21].
Ai nostri giorni questo stato d’animo si riproduce nel discorso di Massimo Cacciari sul katechon, al quale fa da eco il fracasso dei centri sociali, dove si celebra lo sposalizio dell’anarchismo con la religione ecumenica, deragliata nel pensiero di Gandhi.  L’ideologia dei centri sociali, che è stata magnificamente analizzata da Siro Mazza [22], riprende alla lettera lo schema dell’eresia utopica e purissima, e dichiara, insieme con il furente odio al Creatore, la sua intenzione di distruggere l’esistente per instaurare l’obitorio dell’anarchia totale [23].
Si spiega in tal modo lo scatenamento ultimo di una guerra terroristica contro la tecnica e lo sviluppo dell’economia [24].  A prima vista sembra che l’endura catara sia diventata la stella cometa della rivoluzione.  In realtà l’utopia del nulla è inscritta nel codice genetico delle rivoluzioni moderne.  Tutti i passaggi della prassi utopista e comunista scientifica sono in armonia con la metafisica del consumismo alla lettera.
Dato il presupposto consumistico, non c’è dubbio che la felicità totalitaria sia realizzabile solo per mezzo d’un progressivo impoverimento di quei beni, che, in quanto tali, sono giudicati causa dell’alienazione divina nella molteplicità degli enti.
Il paradosso della logica consumistica si traduce spontaneamente nel pauperismo, nella parodia della povertà evangelica.
La rovente polemica condotta da sinistra contro i consumi edonistici, punta con decisione ad un consumismo doloristico e tombale, propriamente cataro.  In questo finale svelamento della felicità comunista, consiste l’esito tragicomico del mondo moderno.
A ben vedere nessun utopista è mai sfuggito alla feroce logica di Albi.  Uno dei più arroventati visionari d’Utopia, l’eterodosso abate benedettino Deschamps [25], corrispondente di Rousseau e precursore di De Sade, Fourier, ha descritto il paradiso (ateo) in terra, il comunismo perfetto, come una macchina totalizzante idonea ad impoverire, svuotare e disintegrare tutti i beni materiali.
Il suo allucinato discorso pauperistico costituisce, ancor oggi, un’esposizione esemplare del nichilismo maniacale, che regge tutti gli incubi del genere utopiano.  Il possesso delle donne è causa di invidia e di contese?  La soluzione del problema è facilissima.  Posto che non si può dare a tutti una bella Elena, Deschamps immagina un regno in cui le donne siano di tutti, come in un bordello giustizialista.  In tale modo l’amore è impoverito e degradato? Il deludente risultato non frena lo slancio del riformatore, appagato dall’ipotesi livellatrice, che non consente a nessuno di dirsi più felice degli altri [26].


Piero Vassallo


[1] Il Libro dei due principi è stato recentemente pubblicato, insieme con alcuni altri trattati e rituali catari risalenti al XIII secolo, a cura di Francesco Zambon, cfr.:  La cena segreta, Adelphi, Milano, 1997.
[2] Jean Baptiste Guiraud, Elogio dell’Inquisizione, Leonardo, Milano, 1996.
[3] In questo caso l’aggettivo “rivoluzionario” ha il significato che gli attribuiva lo scrittore gnostico René Guénon:  indirizzo di un movimento iniziatico verso il pensiero e la condizione dell’umanità primordiale, cioè tendenza a ricostruire la presunta sapienza delle origini.
[4] L’influsso gnostico nella teologia dei catari d’Occitania fu esercitato per il tramite di due eresie di stampo manicheo, che erano diffuse nella penisola balcanica tra il VII e il XII secolo:  paulicianesimo e bogomilismo.  L’accostamento dell’eresia catara allo gnosticismo è stato compiuto per la prima volta dall’occultista Déodat Rochée, ispiratore di Simone Weil.  Al riguardo, cfr. La Introduzione  di Francesco Zambon a La cena segreta, op. cit., p. 20 e p. 35, dove l’Autore afferma che l’eresia dei bogomili “aveva attecchito anche in Europa occidentale, contribuendo in maniera determinante alla nascita del catarismo”.   L’eresia catara è anche al centro della riflessione filosofica del movimento nazista e delle S.S. in particolare.  Al riguardo:  Otto Rahn, Crociata contro il Graal, Barbarossa, Saluzzo, 1979.  L’opera di Rahn era stata commissionata da Heinrich Himmler, fervente ammiratore della tradizione catara.
[5] Non si deve però dimenticare che Marx sostenne sin dal 1845 che il fine della rivoluzione comunista era l’abolizione del potere statale, idea cui il teorico dell’anarchia Bakunin aderì solo nel 1866.
[6] Francesco Zambon, nella Prefazione a La cena segreta (op. cit., p. 90) afferma senza difficoltà che il pensiero cataro è collegato “ad un’esperienza strettamente iniziatica, modellata sulle iniziazioni proprie dei misteri antichi e della gnosi neoplatonica e cristiana”.
[7] Analoga suggestione dualistica è diffusa da Charles Baudelaire.  Al proposito cfr. il saggio di Roberto Esposito, Due:  amore e violenza in Baudelaire, pubblicato in ‘Micromega’, 5, dic. 2002.
[8] I Catari e la civiltà mediterranea, Marietti, Genova, 1996, p. 43.  Peraltro il rifiuto dell’identità ebraica da parte della Weil è categorico:  “Non mi considero ebrea, non sono mai entrata in una sinagoga, sono stata allevata senza alcuna pratica religiosa, non ho alcuna attrazione verso quella religione, sono stata nutrita fin dalla prima infanzia nella tradizione ellenica”.  Cfr. Jean Marie Müller, Simone Weil, Torino, 1994.  Non per niente Emanuel Levinas, nell’opera della Weil non vedeva altro che l’odio per il popolo di Israele.  Zambon, op. cit., p. 21, sostiene che “questa critica al Vecchio Testamento è uno dei temi fondamentali della riflessione di Simone Weil sul cristianesimo:  lo riprese anche in quella summa testamentaria delle sue idee religiose che è la Lettre à un religieux”.  
[9] Francesco Zambon, op. cit., p. 54.
[10] Op. cit., p. 60.
[11] Cfr. Discesa all’Ade e resurrezione, Adelphi, Milano, 2002, p. 41.  “Non ragionerò”, dichiarava in piena effervescenza Elémire Zolla (nell’aureo libretto Le tre vie, immancabilmente edito da Adelphi).  Il programma del defunto professore, infatti, contemplava l’uscita dall’Occidente cristiano, cioè dal dominio della razionalità e dell’etica, “regime desolante e spettrale”, che “scinde male da bene, suscita la dualità che riduce tutto a opposizione e guerra, precipita la caduta che separa l’uomo dall’integrità”.
[12] Cfr. Discesa all’Ade e resurrezione, cit., p. 43.
[13] Sulla sensibilità moderna, che è stata capace di classificare olocausti imperdonabili separandoli dagli olocausti trascurabili, sono invece lecite le più ampie riserve.  Il fatto è che la coscienza moderna deplora l’antico sterminio dei catari ma non reagisce alla notizia dei continui massacri di cristiani d’età contemporanea.
[14] Francesco Zambon, op. cit., p. 51.
[15] Op. cit., pp. 236-237.
[16] Op. cit., p. 171.
[17] Op. cit., p. 78.
[18] Cfr. Nietzsche, il politeismo e la parodia, Se, Milano, 1999, p. 70.
[19] Jean-Baptiste Guiraud, Elogio dell’Inquisizione, Leonardo, Milano, 1996, p. 43.  Come ha dimostrato Julius Evola nel saggio sulla metafisica del sesso, nel rifiuto categorico della fecondità, la teologia catara è analoga alla teologia dell’India shivaita e tantrica.
[20] Op. cit., p. 47.  Circa il solidarismo cataro, cfr. anche Storia della Chiesa, vol. X, La Cristianità Romana, di A. Fliche, Ch. Thouzellier e Y. Azaïs, SAIE, Torino, 1976, p. 154 ss.
[21] Jean-Baptiste Guiraud, op. cit., p. 51.
[22] Strategia del Caos No Global:  chi li ispira e chi li manovra, Koiné Nuove Edizioni, Roma, 2002.
[23] Al riguardo, cfr. Maurizio Blondet, D’Alema è un comunista, in ‘Certamen’, n. VII, luglio 1996.
[24] Al riguardo cfr. Maurizio Blondet, Complotti I, Il Minotauro, Milano, 1995; F. Scisci e P. Dioniso, La Piovra Gialla. La mafia cinese alla conquista del mondo, ed. Liber, Macerata, 1994, dove si sostiene, con ampia documentazione, che le Triadi (associate alla Supermassoneria) hanno il controllo del mercato dell’eroina ed usano l’enorme capitale così accumulato per diffondere miseria ed instabilità nelle nazioni cristiane dell’Occidente.  Il fine dichiarato dalle Triade è la distruzione della Chiesa cattolica.
[25] Per quanto concerne il pensiero di Deschamps, si fa riferimento ai saggi ancora inediti di Celso Destefanis e Agostino Sanfratello.
[26] Molto opportunamente Giovanni Paolo II, quando visitò la Francia vandeana,  insistette sulla sacralità dell’uso consacrato e vitale della sessualità:  la dottrina che sintetizza la superstizione mortuaria e la sensualità sfrenata è un’espressione coerente e distruttiva dello spirito dell’Anticristo.

giovedì 24 marzo 2016

L'urlo islamico e il cauto bisbiglio dell'Occidente

Al grido di guerra dei terroristi islamici il pensatoio progressivo risponde lanciando ecumenici baci e proponendo oblique e castranti insinuazioni. Si respira aria fritta e si emanano pie e progressive flatulenze.
L'illustre dietrologo Giulietto Chiesa, ad esempio, procura brividi, capogiri e roventi sdegni ai suoi estremi lettori, insinuando che il terrorismo giova ai governi europei.
E' dunque probabile l'esistenza di mani reazionarie – le mani dei servizi super segreti - che, in agguato nell'ombra, organizzano e muovono i terroristi.
Le prove? Sono evidenti all'acuto lettore dell'aggettivo segreti, che qualifica i servizi e svela – a chi è iniziato ai misteri della lettura fra le righe – la nascosta e censurata verità della democrazia aperta in tutte le direzioni.
L'apertura delle piste laiche e democratiche, tracciate da Giulietto Chiesa, diventa occasione propizia all'immigrazione islamica. Tale è, senza dubbio, il risultato dell'insinuazione della chimera pseudo ecumenica, gridata nelle aule del Vaticano II, nella mente dei democratici progressivi (belgi, in special modo).
Al proposito non è lecito dimenticare l'incauta esortazione– Venite! - gridata dal buonista, il belga ad honorem Walter Veltroni, in occasione di un memorabile viaggio nell'Africa islamizzata.
Se non che l'ingenuo invito agli immigrati, nel pensiero non vedente dei Veltroni, laici, cattolici e vaticani, non contemplava l'eventualità del terrorismo.
Sorge la tentazione di supporre che i Veltroni d'Italia e d'Europa abbiano dimenticato (o ignorato) la storia delle invasioni islamiche e delle guerre combattute dai cristiani per allontanate gli oppressori.
Per valutare seriamente la necessità di resistere alla colonizzazione islamica, sarebbe sufficiente una visita allo splendido borgo di Noli e alle sue mura, elevate per contrastare la feroce espansione dei maomettani in Liguria.
Nessuno può seriamente rigettare l'accertata, sgradevole verità intorno all'inefficacia della memoria storica. Ma il terrore islamico è uscito dai non letti libri di storia per irrompere nella cronaca contemporanea. In nessun caso è dunque ammessa l'ignoranza del pericolo islamico incombente anche sulle organizzazioni sconvolte dal delirio buonista.
Vox clamantis nel deserto buonista, Giuliano Ferrara osa affermare che “non possiamo parlare d'amore a chi ci odia”.
Di qui la sfida lanciata sulla tenera faccia della diserzione occidentale: “serve oggi agire dove tutto nasce, serve opporre alla forza islamista nelle sue diverse manifestazioni fuori e dentro i confini dell'Occidente, una soverchiante forza”.
E' probabile che l'accorato appello di Ferrara cada nel vuoto scavato dalla paura politicante in Europa. Rimane tuttavia una certezza inconfutabile: l'Europa occidentale, ventre molle della civiltà cattolica, sta pagando e continuerà a pagare il prezzo (di sangue) del suo panciafichismo.

Il concetto di tolleranza, rovesciandosi nella sopportazione di immigrati intolleranti e fanatici, sta scuotendo le fondamenta dell'Europa illuminista e (forse) sollevando il legittimo sospetto sulle luci laiche e democratiche che hanno indicato il cammino dell'Occidente moderno.

Piero Vassallo