domenica 31 gennaio 2016

Il giorno della famiglia

 “Se l'universalità della famiglia non è effetto di una legge  naturale come si spiega che la si trova dappertutto?”
 Claude Levy Strauss


 Il paese reale ha preso le distanze dal paese irreale, lo strato/vespasiano, in cui si agitano i promotori dell'immoralismo progressivo e i loro squillanti discepoli e claquers.
 Sabato 30 gennaio, due milioni di Italiani, in rappresentanza della maggioranza ignorata , vilipesa e oppressa dal potere progressivo, sono convenuti a Roma, a proprie spese dunque con sacrificio e con fatica, per difendere gli indeclinabili princìpi del diritto naturale. Princìpi condivisi dalla teologia cattolica e dalla cultura laica (al proposito è stato citato Levy Strauss).
 Una festosa folla di italiani di condizione economica modesta e di nobile e ricco sentire, ha manifestato la refrattarietà degli uomini viventi nella normalità e nell'autentica società familiare all'utopia cadaverica dei sodomiti ambo sessi.
 L'entusiasmo della folla è stato purtroppo mitigato dall'oscillante pensiero degli organizzatori. Paolo Deotto, nel sito Riscossa cristiana, ha infatti segnalato le contraddizioni presenti nelle interviste concesse da Massimo Gandolfini alla Bussola e a Repubblica.
 La pacifica folla, radunata nel circo massimo, ha dimostrato, nondimeno, l'esistenza di una maggioranza civilmente irriducibile al sottobosco rumoroso/vizioso in cui si agitano le spirituali doppiezze dei fantasmi democristiani e gli incubi della “società inclusiva”.
 Il sottobosco aperturista è concimato dal denaro di una torbida e disgraziata oligarchia e applaudito dalla desolante/squillante società della chiacchiera progressiva intorno al vizio.
 Ai politicanti favorevoli al progetto surrealistico, concepito da ideologici storditi dalle squillanti mitologie intorno al sesso contro natura, una robusta rappresentanza del popolo italiano ha impartito una esemplare lezione di civiltà.
 Maria Elisabetta Casellati, insigne giurista, attiva nel Consiglio superiore della Magistratura, sostiene risolutamente che “il tema della unioni solidali [nome democratico degli accoppiamenti contro natura] lo stiamo affrontando tardi e male”.
 In realtà il problema pederastico/lesbico è stato risolto onestamente e felicemente dalle vigenti leggi, che vietano di perseguitare e oltraggiare i soggetti accesi dalla passione omofila.
 Sviluppare le leggi vigenti a tutela e protezione delle scelte omosessuali è un progetto nascostamente finalizzato ad attribuire alle coppie lesbiche e/o pederastiche il diritto di adottare ed educare i minori.
 Il matrimonio pederastico (ove fosse equiparato al matrimonio propriamente detto) contemplerebbe inoltre la reversibilità delle pensioni, una situazione che fornirebbe auree occasioni alle imprese truffaldine di pensionati dell'Inps. Inoltre il matrimonio pederastico caricherebbe un ulteriore peso sulle sofferenti casse di un ente costretto ad aumentare l'età pensionabile per dare respiro al suo faticoso bilancio.
 Il progetto inteso a rovesciare la pensione del marito sul compagno pederasta, in ultima analisi è ispirato dall'ideologia sessantottina e ordinato alla totale inversione dell'ordine sociale secondo natura.
 Intossicati dai fumi tombali, elevati dalla ammucchiata marxiana/freudiana/californiana, i sedicenti progressisti intendono adeguare la società italiana ai disastrosi modelli costituiti dalle nazioni libertine e decadenti, che sono destinata e in alcuni casi già prossime a diventare colonie islamiche.
 Di qui il dovere, che incombe sui cattolici refrattari alla schiavitù promossa dai seguaci del falso profeta Maometto, di animare una irriducibile opposizione ai promotori delle spregevoli leggi, intese a inquinare e devastare la famiglia e, insieme con le cellule vitali della società, i poteri costituiti a difesa della libertà dei cittadini.

 Ove simili leggi fossero approvate, infine, diventerebbero leciti il disprezzo e la disobbedienza a uno stato la cui dignità sarebbe scesa al livello del vespasiano inteso come sacro tempio della famiglia pederastica promossa da Scalfarotto.

Piero Vassallo

sabato 30 gennaio 2016

Una storia della Chiesa di Angela Pellicciari

 Autori di pregevoli e monumentali storie della Chiesa cattolica furono Ludwig von Pastor (1854-1928), Hubert Jedin (1900-1980) e, ultimamente, i numerosi, qualificati redattori della storia ecclesiastica, edita in diversi volumi dalla Società di San Paolo.
 Non era finora reperibile una storia della Chiesa in cui fossero soddisfatte le esigenze della divulgazione e obbediti i severi, indeclinabili obblighi della scienza.
 Un interessante tentativo di colmare tale lacuna è compiuto dalla storica Anna Pellicciari, autrice di una storia della Chiesa, edita da Cantagalli in Siena.
 Nell'opera in questione la completezza dell'informazione  è associata alle inflessibili regole della bella lingua e alle esigenze del lettore la cui onesta cultura non varca gli stretti confini della specializzazione accademica.
 L'argomento, infatti, è svolto in trecentocinquanta agili e scorrevoli pagine e organizzato in capitoli che mai tolgono il respiro al lettore.
 L'autrice è da apprezzare specialmente per il rifiuto di condividere le delicatezze e le indulgenze suggerite dal buonismo pseudo ecumenico. Al proposito l'autrice rammenta che “per tanto tempo la chiesa ha creduto che la battaglia contro il paganesimo, cioè contro il demonio, i suoi idoli e i suoi riti, andasse fatta con determinazione distruggendo in alcuni casi anche oggetti e templi”.
 Risoluto è anche il rifiuto della teologia danzante intorno al pensiero islamico, che contempla una divinità totalmente opposta e altro da uomo: “Il concetto ebraico di alleanza e quello di analogia elaborato dalla filosofia cristiana a partire dai versetti biblici della creazione sono impensabili per un musulmano. Inimmaginabile la concezione cristiana della divinità di Gesù e la conseguente possibilità possibilità per l'uomo di diventare, in Cristo, figlio di Dio”.                                          
 
A sostegno della sua ruvida contestazione della teologia islamica, venerata dalle paure dell'Occidente ateologico e/o pseudo teologico, l'autrice cita un testo di Gianni Baget Bozzo, il quale rammentava: “La creazione è un concetto fondamentale del Cristianesimo, proprio come realtà altra da Dio, anche se da Dio ha la sua origine e il suo fondamento. Per l'islam la creazione esiste solo come produzione costante della volontà divina. Dio è l'unica causa di tutti gli eventi. Il concetto di natura non ha quindi alcuna parte nel pensiero islamico, che non riconosce – differentemente dal Cristianesimo – alcuna autonomia alla causalità creata”.   
 Pellicciari, inoltre, non esita a violare le regole del galateo, imposto dalla teologia post conciliare e a rammentare che “Lutero è un rivoluzionario, Enrico VIII un lussurioso, Calvino un riformatore che completa quanto Lutero inizia”.
 Di qui la confutazione del falso ecumenismo, il riconoscimento del primato che compete alla filosofia di San Tommaso d'Aquino, astro assoluto del pensiero medievale, e l'esposizione di un forte dubbio sulla condanna dell'intransigenza: “Erano tutti barbati violenti i nostri antenati cattolici? Anche i più grandi fra di loro? La domanda conviene porsela perché forse oggi c''è qualcosa che ci sfugge”.
                                  
 Notevole, infine, è la difesa di Pio XII, “investito da una furibonda macchinazione che parte da Mosca, la centrale del comunismo mondiale, volta a distruggerne la figura e l'opera”. Macchinazione diventata purtroppo oggetto di un trasbordo nella cultura del progressismo cattolico.
 Meno convincente è la tentata giustificazione dello spirito del concilio, e dei pontefici (Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) che ne hanno proposto una favorevole interpretazione.

Piero Vassallo

venerdì 29 gennaio 2016

GLI STERMINATORI (di Piero Nicola)

Gesù Cristo disse: "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nell'inferno" (Mt. 10, 28). "A voi miei amici, dico: Non temete coloro ce uccidono il corpo e dopo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete colui che, dopo avere ucciso, ha il potere di gettare nell'inferno".
  Da queste divine affermazioni si ricava:
  1) che i veri fedeli non devono temere la morte e chi li uccida.
  2) che la morte dipende sempre da Dio Onnipotente; e come le circostanze del trapasso, dipendono da Lui anche i patimenti che toccano agli uomini.
  Ne deriva che il principale, riguardo alla vita e alla morte, è la vita eterna, ossia il trovarsi in Grazia di Dio.
  Pertanto, quando si parla delle sventure dell'umanità, delle uccisioni e delle stragi, delle guerre, dei Gulag o dei Lager, non si può prescindere dal destino delle anime e dal volere del Signore.
  Dalla parte del potere umano di nuocere all'essenziale dell'uomo, alla sua anima, qual è il principale? Nessun dubbio che la nocività consista nell'errore e nell'eresia. Dalla parte dei fedeli, c'è il loro dovere di confutare e contrastare questa pestilenza.
  Possono i cattolici, in questo caso, rimettere al Creatore la salvezza delle anime? Niente affatto! Egli ha commesso ai suoi, in particolare al Clero, il compito di combattere contro l'errore e l'eresia, contro il demonio e i suoi strumenti umani.
  Dio ha voluto che partecipassimo così alla Provvidenza, alla grazia largita per la redenzione e la conversione, non solo con la preghiera e i sacrifici, non solo con il Sacrificio dell'Altare, ma con le azioni e con la parola.
  Superfluo, citare la Rivelazione ove si dimostra tale comandamento.
  Dio ha lasciato che Lutero, Stalin, Hitler, l'Isis perpetrassero i loro orrori, ma chi ha attentato maggiormente all'essenza della vita umana, all'anima - pur non avendo il potere di mandarla direttamente all'inferno - sono stati gli eresiarchi, non i despoti criminali, permessi da Dio presumibilmente per castigo e per correzione. E come gli eresiarchi di ieri, oggi attentano alla vita eterna i traditori nella Chiesa, il Bergoglio; il quale, per giunta, occupando il Soglio di Pietro, impedisce che Pietro possa regnare.


Piero Nicola 

Stalin promotore di se stesso (di Marina Alberghini)


Edito nel 1937, il libretto di STALIN, Il trionfo della democrazia nell'URSS (Edizioni di Coltura Sociale Bruxelles) fu tradotto in italiano per essere distribuito nel 1944 da “L'Unità” ai "compagni" italiani beoti. È molto istruttivo. In esso si può leggere: «Il sogno di milioni di uomini onesti nei paesi capitalisti, è già realizzato nell’URSS (...). La democrazia nell’URSS (...) è la democrazia per i lavoratori, vale a dire la democrazia per tutti. (...) Il potere sovietico ha liquidato la disoccupazione, ha realizzato il diritto al lavoro, al riposo, all’istruzione, ha assicurato migliori condizioni materiali e culturali agli operai, ai contadini, agli intellettuali, ha assicurato la realizzazione del suffragio universale, diretto e uguale, con il voto segreto dei cittadini. E tutti questi sono fatti non promesse.»
Meraviglioso!
Peccato che i “fatti” furono ben altri. Il 1937 e gli anni che seguirono videro la spietata repressione fatta da Stalin su amici e compagni e soprattutto sul popolo russo specie ai kulaki. Anche ai contadini andò male, con un piano preciso a tavolino per cui ne morirono a milioni di fame. E a chi si oppose, tra i fondatori del Partito, come Gramsci e Trotskij, fu spazzato via come un insetto nocivo.
Noti anche i titoli degli altri libretti, tutti tradotti per casa nostra, particolarmente quel Per una vita bella felice!, sempre di Stalin... Bella sì... nei gulag!
Naturalmente le alte sfere del PCI, i varii Togliatti, Longo, Ingrao, ecc., che andavano spesso in Russia e ai Congressi staliniani sapevano tutto, ma da buoni servi del partito si adoperarono per promuovere questi libri sperando di consegnare a Stalin l'Italia. E ancora dobbiamo vedere "via Togliatti" nelle nostre strade!
Un’esagerazione? Non direi proprio, oggi dopo il crollo dell’URSS nel 1989 sappiamo molte verità.
Vediamo un poco cosa intendeva Stalin per “vita bella e felice”.
Tutto era cominciato fin dal 1918, quando uno dei capi della Ceka, il lettone Lacsis aveva detto in modo semplice e chiaro: «Non stiamo lottando contro persone “singole”. Siamo impegnati nel compito di sterminare la borghesia come classe sociale e non occorre che voi forniate le prove che questo o quell’individuo ha agito in maniera contraria agli interessi del popolo sovietico. La prima cosa che dovete chiedere a un arrestato è a quale classe appartiene? Qual è la sua origine sociale? Quale istruzione ha avuto? Qual è la sua professione? Queste sono le domande dalle quali deve dipendere il destino dell’imputato. Questa è la quintessenza del Terrore Rosso.»
Un discorso molto chiaro, che sfata il mito cui ci si tende ad aggrappare oggi,  dello “Stalin cattivo, gli altri buoni” che, d’altronde come anche per Hitler, ha fatto sempre molto comodo a quanti volevano farsi rilasciare un certificato di innocenza. E ci chiediamo, oggi, che differenza ci sia, a livello dell’orrore, tra  sterminare un’intera classe sociale o un’intero popolo come gli Ebrei... entrambe composte pressoché tutte di innocenti.
Il Terrore Rosso instaurato nel 1918, ossia l’ideologia  sterminazionistica che colpiva chi era colpevole semplicemente di “esistere”,  è ancora attuato in pieno in quel 1937 che sfornava, in tutte le lingue europee, quegli aurei libretti, e lo sarà per molti anni a venire.
L’Utopia leninista secondo la quale dopo lo sterminio delle classi che non facevano parte del proletariato (anche se in molti casi colpì anche  il proletariato) doveva succedere la dittatura di questi, che avrebbe aperto la via a una società senza classi dove ognuno avrebbe ricevuto e dato “secondo meriti e necessità”, stabiliti dall’Ente Supremo, ossia il Partito, si stava risolvendo in una carneficina e nel più spaventoso azzeramento dei diritti umani. E che farà impallidire quella nazista, se non altro perché durerà molto di più e fu particolarmente ripugnante perché rivolta contro il proprio popolo. Inoltre di fronte alle torture escogitate dai sovietici, per le quali rimandiamo al saggio di Marco Messeri, Utopia e Terrore, quelle naziste furono giochi puerili. Roba naif, anche se è ormai chiaro che i nazisti si ispirarono ai metodi di tortura e repressione sovietici specialmente per gli esperimenti sugli esseri umani.
In quel 1937 era infatti in atto quella che verrà chiamata la “dekulakizzazione”, ossia lo sterminio dei kulaki, piccoli proprietari terrieri e contadini (lo Zio Vania, per intenderci) che non avevano voluto regalare al partito i loro beni ereditati da generazioni. Due milioni  di loro furono deportati o uccisi sul posto, come già era stato per i Cosacchi, popolo antico e fiero che non voleva rinunciare alle sue origini.
Scrivono infatti gli autori del Libro nero del Comunismo: «Fin dal 1920 la “decosacchizzazione” corrisponde ampiamente alla definizione di genocidio: un’intera popolazione a forte base territoriale, i cosacchi, veniva sterminata in quanto tale, gli uomini fucilati, le donne, i vecchi e i bambini deportati, i paesi rasi al suolo o consegnati a nuovi occupanti non cosacchi. Lenin (...) proponeva di applicare al loro caso il trattamento che Gracchus Babeuf, l’“inventore” del comunismo moderno, aveva definito fin dal 1795 “popolicidio”. La “dekulakizzazione” del 1930-32 fu ripresa su ampia scala della decosacchizzazione: questa volta però fu rivendicata da Stalin la cui parola d’ordine (...) era “sterminare i kulak in quanto classe”. (...) La grande carestia ucraina del 1932-33 legata alla resistenza delle popolazioni rurali alla collettivizzazione, provocò in pochi mesi la morte di 6 milioni di persone. In questo caso, il genocidio “di classe” si confonde con il genocidio “di razza”: la morte per stenti di un bambino di un kulak ucraino deliberatamente ridotto alla fame dal regime stalinista “vale” la morte per stenti di un bambino ebreo del ghetto di Varsavia ridotto alla fame dal regime nazista
I genocidi comunisti proseguiranno con lo sterminio di polacchi, baltici, moldavi, bessarabi, ingusceti, cambogiani, ceceni, tibetani... Scrive giustamente Dominique Colas: «Arrogandosi la facoltà di conoscere l’evoluzione delle specie sociali, Lenin decise quali sono quelle che devono scomparire perché condannate dalla storia.» Le purghe si articolavano su due piani a seconda della classe sociale o le colpe eventuali, fra le quali la prima era essere nati nell’ambiente sbagliato. Per primi dunque venivano i kulaki, poi tutti i membri di partito non appartenenti a quello bolscevico, come i socialisti e i menscevichi, poi le ex Guardie Bianche, i funzionari zaristi sopravvissuti, i detenuti politici, coloro che erano considerati spie e terroristi. Dopo di che venivano quelle che erano considerate categorie contro rivoluzionarie, i polacchi, tedeschi, romeni, lettoni, estoni, finlandesi, greci, afghani, iraniani, cinesi, bulgari e macedoni. Seguivano le famiglie dei "nemici del popolo", poi i militanti dell’élite bolscevica, epurati periodicamente. Gironi del terrore. La classificazione dei "traditori" arrivò al delirio, era passibile di arresto che corrispondeva con l’estero, chi frequentava consoli stranieri, perfino chi conosceva l’esperanto o collezionava francobolli. Le "confessioni" venivano estorte con la tortura, fisica e mentale. Il 30 ottobre 2001, nella Giornata Russa del Ricordo, l’Accademico Aleksandr Iakovlev ricorderà commosso le 32 milioni di vittime del comunismo sovietico, tra i quali i morti di stenti nei gulag, in maggioranza prigionieri-bambini.
Come si è detto gli intellettuali e gli artisti furono particolarmente colpiti. «Il ceto contadino pagò di più ma altri gruppi, definiti “estranei” alla “nuova società socialista”, furono messi al bando, privati dei diritti civili, esclusi dal lavoro e dall’abitazione, esiliati, retrocessi nella scala sociale, come gli ex aristocratici, i membri del clero e delle professioni liberali, gli imprenditori privati, i commercianti e gli artigiani. Ma anche la gente comune delle città che non rientrava nella categoria “proletariato operaio protagonista dell’edificazione del socialismo”.»
In particolare l’intellighentia, che si era resa indipendente fin dal XIX secolo. Università, Istituti e Accademie furono decimati, così come gli ambienti scientifici e la quasi totalità degli astronomi del prestigioso Osservatorio di Pulkovo furono internati o giustiziati, così come oltre 2000 membri dell’Unione degli Scrittori. Ricordiamo anche gli infelici e geniali artisti del teatro ebraico russo, uccisi o deportati da Stalin nel dopoguerra. Forse per questo Stalin proclamava che «i nostri intellettuali sovietici sono degli intellettuali completamente nuovi.» Per forza! gli altri erano tutti morti o occupati a “rieducarsi” il cervello in luoghi ameni come i Gulag.
Ma forse si riferiva a intellettuali come Louis Aragon, a proposito del quale scrive giustamente Alain de Benoist: «Non si perdonerebbe mai a uno scrittore fascista di aver redatto un inno a gloria della Gestapo (caso che, del resto, non è mai accaduto) ma il fatto che Aragon abbia potuto cantare le virtù della Ghepeù non ha mai nuociuto minimamente alla sua reputazione.» Mica solo lui fu così stalinista, ma anche i nostri compagni italiani, primo fra tutti Togliatti che pure sapevano perfettamente quello che accadeva in Russia in quegli anni.
Viene da pensare alla giusta definizione che Andrè Frossart fa dei “crimini contro l’umanità”: «Si commette un crimine contro l’umanità quando si uccide qualcuno con il pretesto che è nato.»
 Che spesso si ritorsero contro i carnefici, tramutandoli in vittime. Migliaia di uomini del Comintern sparirono così, nel corso degli anni, in purghe continue e spaventose...[1]
Caddero i funzionari e i loro aiutanti, l’Internazionale comunista Giovanile, l’Internazionale sindacale rossa, il Soccorso rosso, l’Università comunista, le minoranze nazionali occidentali.
È stato chiesto ad Aleksandr Solzenicyn, dissidente, premio Nobel scampato ai Gulag: «I comunisti superstiti si indignano quando si mettono a confronto due totalitarismi del nostro tempo, quello comunista e quello nazifascista, e i loro inferni concentrazionari, il Gulag e il lager. (...) Secondo lei è giusto questo accostamento?»
«Il Gulag — risponde lo scrittore — scaturisce dall’interno del sistema comunista perché tale regime è talmente contrario alla natura umana da dovere applicare la massima pressione e violenza per costringere la società, il popolo, la gente, a percorrere quel cammino e la violenza esige anche i campi di concentramento, il Gulag. Così è avvenuto. Quanto al caso tedesco, sì tra i due sistemi c’è molto di comune e il sistema di Hitler sotto molti aspetti ha copiato i risultati di Lenin e Stalin, con la differenza che da noi il principio della persecuzione era di classe, mentre là era di razza. (...) Entrambi questi fenomeni, comunismo e razzismo, mettono a nudo il meccanismo totalitario che può ripetersi, sia pura in un’altra forma. Il parallelo fra i due fenomeni e la loro reciproca dipendenza è evidente.»
 I nazisti adottarono rapidamente i metodi sovietici. In nessuna altra parte Lenin, Trotskij e Stalin ebbero discepoli più docili dei nazisti. E un altro dissidente illustre, Vladimir Bukowskij, scrittore, e presidente dei Comitati per le Libertà, nel corso di una assemblea tenutasi a Roma dal 1° al 3 marzo 2003, ha detto fra l’altro: «Quando vedo giovani che portano sulla maglietta la falce e il martello capisco che non sanno quello che vuol dire. Mai girerebbero con la svastica. Ma i colpevoli dei crimini comunisti non sono mai stati processati i milioni e milioni di vittime del sistema comunista non le conosce nessuno e quindi non hanno portato una lezione. Così gli errori si possono ripetere. Possiamo dire oggi che l’utopia genera mostri. Gli utopisti non accettano la natura umana, se si ribella c’è la repressione. Il primo gulag fu puramente intellettuale, dividendo la gente fra amici e nemici, poi si è trasformato in sistema politico. E attenzione, è un errore e un alibi dare tutte le colpe a Stalin. Tutti erano colpevoli.»
In effetti Lenin già nel 1920 additava alle associazioni giovanili che la dittatura comunista era «Potere conquistato e sostenuto dalla violenza del proletariato contro la borghesia.» E sosteneva: «In linea di principio noi non abbiamo mai rinunciato e non possiamo rinunciare al terrorismo.»
Consigliando menzogna e calunnia come arma politica.
Tutto nasce dunque da Lenin, ma con Stalin si instaura quello che verrà chiamato "Il culto della personalità". Egli veniva definito "un classico della filosofia marxista”. Nel 1934-36 la storia viene statalizzata e relativizzata: i fatti esistono solo quando ne parla Stalin e soltanto nella versione fornita da lui. E se Stalin dichiara: «I barbari e gli schiavi travolsero fragorosamente l’impero romano», il professore che si permetta di far notare agli studenti che, dopo la ribellione di Spartaco, l’impero romano è sopravvissuto per altri cinquecentocinquant’anni, finisce in prigione. E se Stalin casualmente si lasciava sfuggire che "sembra che il popolo azerbaigiano derivi dai medi", i linguisti ricercheranno per quindici anni vocaboli medi nella lingua di quel popolo, anche se la lingua meda è una lingua mitica.
Così come gli spetta  lo scettro del Regno del Terrore che vede il suo più spaventoso inizio proprio negli anni Trenta, e che continuò poi dopo la guerra in tutti i paesi satelliti. Gli arresti erano pianificati, preferibilmente notturni .
In quel 1937, dunque, i Gulag lavoravano già a pieno ritmo e contenevano dai cinque ai sei milioni di persone, arrivate fin là in vagoni piombati, spremute fino all’osso e alla morte da un lavoro inumano, in un clima che arrivava punte di 50° sotto zero, in condizioni di fame e di stenti   identiche a quelle dei loro confratelli nei lager nazisti. Dispiace che oggi si diano enormi spazi ai lager e non si parli mai dei gulag, che non furono da meno. Come la ferocia di entrambi i dittatori.
Fino al 1953 la personificazione stessa del Terrore Rosso sarà Stalin che, a differenza di Hitler che delegava la repressione a sottoposti come Himmler, ne sarà l’ideatore e l’organizzatore. Firmerà personalmente le liste delle migliaia di persone mandate a morte, in un clima da guerra civile costante e senza batter ciglio programmerà un’immane carestia che ucciderà milioni di persone, semplicemente per rieducare e stroncare la resistenza nelle campagne.  
Nel Regno del Terrore l’essere umano si trasforma in una astrazione, sia che lo sterminio riguardi gli eretici, una razza o una classe sociale. Il percorso psicologico è lo stesso, in tutte le dittature. Anche Gorki, oltre a Hitler, parlerà di “esseri inferiori sul piano fisico e sociale”.
La somiglianza con Hitler è ancora più impressionante quando Gorkij vorrà istituire l’Istituto Russo di Medicina Sperimentale, che vedrà la luce nel 1933: «Si avvicina l’ora in cui la scienza interpellerà imperiosamente gli esseri cosiddetti (sic!) normali: vogliamo che tutte le malattie, gli handicap, le imperfezioni, la senilità e la morte prematura dell’organismo siano studiati minuziosamente e con precisione? Questo studio non potrebbe essere effettuato con esperimenti su cani, conigli e cavie. È indispensabile l’esperimento sull’uomo (...). Occorreranno centinaia di unità umane, sarà un vero servizio reso all’umanità e sarà evidentemente più importante e utile dello sterminio di decine di milioni di esseri sani per la comodità di una classe miserabile, psicologicamente e moralmente degenerata, di predatori e parassiti.»
Sostituiamo “classe” a “razza” e siamo al summit dell’astrazione orrorifica... e ad Hitler. Cambia solo lo stile: brutale ferocia negli slavi, pignoleria metodica e allucinante nei tedeschi. Lo stile, ma non le parole: racconta Vasilij Grossman, la cui madre fu uccisa dai nazi ed è autore  del Libro nero sullo sterminio degli Ebrei in Unione Sovietica, che per far uccidere i kulaki si doveva dire, semplicemente, che “non erano esseri umani”, come gli Ebrei. Lo stile e non il tempo. Il nazismo è durato una manciata di anni, il comunismo quasi un centinaio e ancora persiste in qualche infelice zona del pianeta, con gli stessi metodi.
Ci si può chiedere con Vittorio Strada: perché «uno dei più tremendi crimini del XX secolo, l’Olocausto, è stato oggetto di un numero assai alto di documentazioni e analisi, restando al centro dell’attenzione, e della deprecazione, come lo era stato nei decenni precedenti. Invece il Gulag, un crimine analogo, per quanto dotato di una sua peculiarità, ma anche più grave del precedente in senso quantitativo, e cioè per numero di vittime, per durata ed estensione, non occupa nell’attenzione pubblica e nelle ricerche storiche un posto paragonabile a quello dell’Olocausto?»
Qualcuno ci aveva provato. David Rousset, per esempio, un militante della sinistra francese  che alla fine del 1945 aveva denunciato il lager di Buchenwald in cui era stato rinchiuso, scrivendo L’univers concentrationnaire e Les jours de notre morts, ma nel 1949 aveva pubblicato una nota su “analoghi” campi di concentramento in URSS lanciando un appello in cui chiedeva l’istituzione di una commissione d’inchiesta sui campi di concentramento nel mondo e in particolare in Unione Sovietica. Venne accusato di essere un traditore, provocatore, denigratore del socialismo, cripto-fascista, e Sartre in persona lo attaccherà in “Temps Modernes", in un editoriale firmato con Merleau-Ponty nel gennaio del 1950 nel quale viene stabilito una volta per tutte  la distinzione netta fra i "campi" nazisti e quelli sovietici, che in fondo servivano a "rieducare" al socialismo, perla dell’umanità. Il testo, all’epoca in cui è scritto, prende un’importanza capitale. Perchè è proprio in quel periodo che molti Occidentali cominciano a scoprire gli orrori del sistema sovietico, anche per le testimonianze degli scampati, così ai comunisti e ai loro complici Sartre e Merleau-Ponty offriranno un appoggio insperato e importante, anche perché loro sostengono che il comunismo non può essere giudicato perché "portatore di valori", valori che i suoi avversari non hanno. Il povero Rousset verrà così trascinato davanti a un tribunale come “falsificatore.” E dei Gulag per decenni non si parlerà più.
 Ma anche Churchill protesterà accusando i Soviet «di aver ricacciato l’uomo della Civiltà del XX secolo in una condizione di barbarie peggiore dell’ età della pietra.» Egualmente il lavaggio del cervello, la “rieducazione” praticata agli artisti e agli intellettuali nei Gulag dovrebbe essere presente alla coscienza morale di ognuno proprio come gli orrori dei lager nazisti perché non sappiamo quanti frutti del pensiero creativo, dell’arte, abbia così perduto l’umanità. Concludiamo con ciò che scrive Stèphane Courtois, uno degli autori de Il libro nero del comunismo: «Al di là dei crimini individuali dei singoli massacri legati a circostanze particolari, i regimi comunisti, per consolidare il loro potere, hanno fatto del crimine di massa un autentico sistema di governo. (...) Nessuna delle esperienze comuniste che hanno conosciuto una certa popolarità in Occidente è sfuggita a questa legge: né la Cina del Grande Timoniere, né la Corea di Kim II Sung, né il Vietnam del “gentile zio Ho” o la Cuba del pirotecnico Fidel, affiancato da Che Guevara il puro, senza dimenticare l’Etiopia di Menghistu, l’Angola di Neto, e l’Afghanistan di Njibullah. (...) Non è nostra intenzione istituire in questa sede chissà quale macabra aritmetica comparativa, né tenere una contabilità rigorosa dell’orrore o stabilire una gerarchia della crudeltà. Ma i fatti parlano chiaro e mostrano che i crimini commessi dai regimi comunisti riguardano circa 100 milioni di persone contro i circa 25 milioni di vittime  del nazismo. Questa semplice constatazione deve quantomeno indurre a riflettere sulla somiglianza fra il regime che a partire dal 1945 venne considerato il più criminale del secolo, e un sistema comunista che ha conservato fino al 1991 piena legittimità internazionale e che a tutt’oggi è al potere in alcuni paesi e continua ad avere sostenitori in tutto il mondo.»
Quindi il discorse de “compagni che sbagliano” è pura ipocrisia!
Sempre nel 1937 Stalin proclamava nel suo VIII  Congresso che «La Costituzione dell’URSS è nel mondo l’unica Costituzione democratica fino in fondo.» Una asserzione che resterà eguale per circa settant’anni e che, in alcuni casi, lo è ancora.
Sempre dal Libro nero del comunismo, forniamo una nota ancora approssimativa per difetto degli eccidi: URSS, 20 milioni di morti; CINA, 65 milioni di morti; VIETNAM, 1 milione di morti; COREA DEL NORD, 2 milioni di morti;  CAMBOGIA, 2 milioni di morti; EUROPA DELL’EST, 1 milione di morti; AMERICA LATINA, 150.000 morti;  AFRICA, 1 milione 700.000 morti; AFGHANISTAN, 1 milione 500.000 morti;  MOVIMENTO COMUNISTA INTERNAZIONALE E PARTITI COMUNISTI NON AL POTERE, circa 10000 morti. Totale, circa 100 milioni di morti. Ma la stima sta salendo.
Scrisse il politologo Antonio Socci: «Lo studio statistico di Paul Paillat e Alfred Sauvy pubblicato su “Population” ha calcolato piuttosto  150 milioni di vittime. Stima che il celebre sinologo Ladany definì realistica.» E il mondo è ancora in attesa di un rapporto sugli orrori del PC cinese di Mao.

Tornando dunque a quell’aureo libretto stracolmo di falsità e a tutti quelli che lo seguirono, specie durante le  elezioni del 1948 quando i nostri comunisti che-ricordiamo-sapevano la verità (allora e anche come tutti quelli che li seguirono)  speravano vincesse il comunismo, cosa dobbiamo aggiungere? Solo una preghiera di ringraziamento a Dio, che ci protesse con quel grande uomo che fu Alcide de Gasperi.

Marina Alberghini





[1]
                         Nel 1965 Branko Lazic tentò una prima analisi dello sterminio degli uomini del Comintern, “Martyrologe du Comintern” (in “Le contrat social”,  n. 6, Nov. Dic. 1965). Boris Suvarin concluse i suoi “Commentaires sur le martyrologe”, che seguivano al saggio di Lazic, con un pensiero sui modesti collaboratori del Comintern, vittime delle grandi purghe: «I più sono scomparsi in questo massacro del Comintern che è stato solo una parte di un massacro immenso, quello di milioni di operai e contadini laboriosi, immolati senza motivo da una tirannide che si definiva “proletaria”.»

mercoledì 27 gennaio 2016

L'IDOLATRA FIGLIO DEL SECOLO (di Piero Nicola)

  Personaggi saccenti, di ogni parte politica e filosofica, emettono, come veneratori di feticci, giudizi ascoltati e condivisi. Lo abbiamo detto e ripetuto. Talvolta, però, fa piacere che le nostre affermazioni trovino riscontro in clamorosi fatti del giorno.
  Il Presidente iraniano Rouhani è venuto a Roma. Le massime autorità del Bel Paese e il colloquiante Bergoglio lo hanno ricevuto con ogni rispetto per la sua carica. Questi alti rappresentati delle nostre istituzioni e del Vaticano hanno messo a nanna i loro principi di libertà democratica e di diritti umani. Gli affari economici vengono prima dei sacri principi. Che poi i  loro capisaldi siano fasulli, non fa che aumentare il discredito di questi signori: pronti a sbandierare le magne carte della Rivoluzione Francese e dell'ONU non appena torni utile, o non appena gli venga richiesto dai padroni dell'Occidente; per esempio, contro il presidente siriano Assad, del quale Rouhani è un grande alleato.
  Ora, i cerimonieri del governo hanno castigato le antiche statue nude e invereconde nei luoghi visitati dall'eminente ospite, nel chiaro intento di usargli rispetto; quando il fatto non sia dipeso da un desiderio dell'ospite stesso. Se anche ci sia stato un eccesso di zelo, nessun osservatore equilibrato avrebbe gridato allo scandalo, nessuno sano di mente avrebbe rivolto accuse severe ai castigatori delle pudende marmoree e dei conturbanti simulacri di Venere. In tempi normali, i giornalisti avrebbero ironizzato, magari sull'islamica virtuosità, allietando con arguzie il loro spettabile pubblico.
  Invece si sono scomodati i pensatori, i custodi dell'Arte e il sovrano popolare. Essi hanno sparso lacrime e fiele sul provvedimento. Le televisioni - che ormai è inutile qualificare - ci hanno fatto sorbire a più riprese le prove dell'oltraggio: le immagini dei pannelli con cui si sono tolti alla vista, alla contemplazione, gli adorabili capolavori.
  E siccome gli inscatolamenti erano affatto precari e temporanei (destinati a stare su forse per qualche ora e senza scapito per i fruitori delle opere scampate alle secolari distruzioni), l'indignazione ha avuto senz'altro un carattere religioso. Certo si tratta di superstizione e feticismo; il cui significato è importante. Con simili storture mentali non possono coesistere sani sentimenti religiosi e nemmeno un sano rispetto del vero e del giusto.
  Con gli animali si verifica una passione insana che presenta diversi punti in comune con la precedente. Quasi ogni giorno dobbiamo assistere a costernazioni ed esecrazioni in occasione della morte naturale o dell'uccisione legittima di una povera bestia. Si è giunti a falsificare i fatti e le statistiche per giustificare che vengano risparmiati orsi, cinghiali, lupi, volpi e faine, quando minacciano l'incolumità di malcapitati e di abitanti, quando danneggiano seriamente allevamento e agricoltura. Spendiamo milioni per mantenere in vita e curare cani costretti a condurre un'esistenza grama. Nel Meridione il pericoloso randagismo è più diffuso di un tempo, perché catturare i randagi e mantenerli costerebbe troppo. I casi di venerazione degli animali non si contano, e, quel che è peggio, tale vizio viene presentato come rispettabilissimo, anzi encomiabile.
  A ben vedere, questi amori aberranti sono figli della fornicazione con la libertà abusiva, con la falsa religione e con l'orrido nulla.

Piero Nicola

  

lunedì 25 gennaio 2016

Falangismo e fascismo, una lettura filosofico-politica

Docente di filosofia politica nella Pontificia Università lateranense, Giulio Alfano, è autorevole ispiratore e guida geniale e infaticabile del movimento dei cattolici irriducibili alle suggestioni neo-modernistiche, e perciò seriamente impegnati a ottenere il riscatto della tradizione, e la riabilitazione della calunniata storia della Chiesa.
 Oggetto della sapiente cura di Alfano e dei suoi numerosi allievi e collaboratori è la difesa delle verità filosofiche e storiche appartenenti alla genuina tradizione cattolica, un patrimonio inquinato dal progressismo politicante, alterato dal modernismo in corsa caotica nei pensieri dei nuovi teologi e infine umiliato dalle calunnie gridate dai media liberali, in corsa sfrenata su mediatici cavalli, nutriti dal potente/trionfante furore degli strozzini e degli iniziati ai misteri del vespasiano omo-lesbico.
 La risposta alle rovinose mitologie e alle sordide calunnie, che alimentano e rafforzano i poteri della desolazione bancaria, Alfano la scopre nelle biografie delle geniali personalità del clero e del laicato cattolico, che furono attive nel Novecento (ad esempio Pio XII, Edith Stein, Luigi Gedda, padre Cornelio Fabro, Amintore Fanfani, Francisco Franco, Ramiro de Maetzu, Marcel de Corte).
 Le nobili figure dell'intransigenza cattolica animarono e sostennero la resistenza ai corruttori e agli sfruttatori prima di essere censurati, disprezzati o addirittura infamati da giornalisti corrotti dal denaro in uscita dalle casse del delirio massonico.
 In un saggio (Falangismo e fascismo, Chieti 2015), edito in questi giorni dall'infaticabile Marco Solfanelli, Alfano ha avviato e proposto (ai militanti nella destra degli irrealisti, che si ostinano a parcheggiare le loro illusioni nell'area segnata dalla paralizzante cultura liberaloide e dalle grottesche/surreali suggestioni dell'esoterismo) una sagace e intrepida ricerca delle idee irriducibili alla mitologia liberale, idee che sono nascoste nella nube di errori, colpe e affrettate imprudenze sollevata dal fascismo italiano.
 Alfano sostiene che l'approvazione nel marzo del 1938 del Fuero del Trabajo, legge fondamentale del regime falangista, introduce nella legislazione ispanica i princìpi enunciati nella Carta del Lavoro, emanata da Mussolini nel 1927 e perfezionati (grazie al contributo geniale di Giuseppe Beneduce) nel 1929, anno della fondazione dell'IRI.
 In quello storico documento “si affermava che lo Stato era nazionale in quanto strumento totalitario al servizio dell'integrità della patria, ma anche elemento sindacale, perché rappresentava una reazione contro il capitalismo liberale ed il materialismo marxista, quindi di farro un riconoscimento della terza via”.
 Alfano, inoltre, si dissocia dagli scolastici dell'antifascismo totale e totalmente bendato, e osa rammentare che “Il Regime aveva distinto due tipi di investimento di profitto e di consumo ed iniziato l'intervento pubblico dello Stato nell'economia capitalistica, che poi nel secondo dopoguerra sarebbe stato ripreso dalla politica economica democristiana, soprattutto nel periodo del post-centrismo, con la nascita delle cosiddette partecipazioni statali, ma soprattutto con l'iniziativa di Amintore Fanfani (1908-1991), già anticipata negli anni Trenta dai suoi celebri ed ancor oggi studiati saggi di Economia politica”.
 Nelle riforme attuate dai cattolici nella recente storia italiana, la cosa, detta destra in attesa di ottenere un nome dignitoso e appropriato, deve trovare la ragioni di una pronta alternativa a quel taboga liberale che è inclinato all'annientamento (sotto l'ingente peso carnale della cancelliera tedesca) della tradizione cattolica e della dignità nazionale.
 Coraggiosa e veritiera è la messa a punto sulle pseudo ragioni dell'Inghilterra, “che aveva interpretato la libertà dei mari come libertà di comandarvi con la soverchiante potenza della propria flotta, così da adeguare, in pace e in guerra, la navigazione degli altri paesi ai suoi esclusivi interessi soprattutto economici”.
 L'analisi di Alfano non è dissimile a quella proposta da Emilio Gin ne L'ora segnata dal destino, il saggio che dimostra i dubbi e i timori di Mussolini alla vigilia dell'intervento
 Infine il saggio dimostra l'illegalità del colpo di stato compiuto il 25 luglio del 1943 da Vittorio Emanuele III, vero padre della confusione circolante nelle viscere dell'Italia post fascista.
 In conclusione si può affermare, senza timore dell'azzardo, che l'area detta “destra” può trovare in Alfano il titolare dell'intelligenza cattolica necessaria a promuovere la liberazione dalle trappole liberali e/o iniziatiche scattate nella testa della destra spensante, scismatica e suicidaria.
 La politica italiana deve ritrovare le ragioni delle scelte politiche sollecitate da San Pio X e da Pio XII, decisioni che contemplano l'attività di un politico in grado di interpretare fedelmente la dottrina sociale della Chiesa e l'obbligo di condurre la destra, oggi capitolarla e vaniloquente, nell'area in cui si trovano le sue storiche radici e le sue vincenti idee.
 Il saggio di Alfano, pertanto, appartiene al numero ristretto delle opere la lettura delle quali è indispensabile agli aspiranti a una svolta nella (finora) fallimentare storia delle destre.


Piero Vassallo

IL GRANDE TRADITORE (di Piero Nicola)

  Nei processi in cui l'imputato viene alla sbarra, si portano indizi e prove, la difesa ha modo di perorare. Per gli ultimi sedicenti papi che, dopo il Concilio, hanno cambiato la religione là dove non si poteva fare, ossia nella dottrina dogmatica, i cattolici che non poterono esimersi dal riscontrare gli errori e rinunciare al bene dell'intelletto, furono costretti a istruire un processo nel proprio foro interiore. Intorno a questa faccenda incresciosa, ma necessaria onde non scivolare nella fossa dell'inosservanza religiosa che mena all'inferno, i teologi della difesa e dell'accusa, si sono adoprati con studi e arringhe, hanno dovuto addentrarsi in sottigliezze (p.e. al fine di stabilire la perdita dell'autorità del papa e della sua chiesa, attualmente insediati in Vaticano e nelle diocesi; o altrimenti per salvarla). I fedeli già più o meno disubbidienti al Vaticano, dovendo scegliere, si sono divisi tra questo e quel partito; una parte di loro basandosi su impressioni, essendo incapaci di entrare nel merito delle questioni o per altri motivi
  Oggi Bergoglio ha sbarazzato il campo delle incertezze e dei sofismi circa il suo essere eretico, sebbene non ci sia organo ecclesiastico avente giurisdizione (o autorità e intenzione) per giudicarlo. I disquisitori non deporranno le armi, e i loro seguaci, come gl'indecisi, non mancheranno.
  Sta di fatto che l'epigono dei peggiori modernisti in seno al cattolicesimo si è condannato da sé, nessun dibattimento processuale, è question finita, ogni discussione diventa oziosa per quelli che, fidandosi della ragione, ricusano qualsiasi credito a uno che contraddice i dogmi e il Magistero di sempre, gravemente, platealmente e pervicacemente. Andate a dire loro che tuttavia il "papa" rimane in carica e va rispettato. Potrebbero ridervi in faccia, anzi guardarvi con sospetto se non con compatimento. Assistenza divina garantita all'eletto dal Conclave? Sua infallibilità nelle risoluzioni emanate ex cathedra e fallibilità consentita negli insegnamenti, nelle disposizioni nocive alla fede e alla salvezza, costantemente impartite Urbi et Orbi? Meglio lasciar perdere.
  Che cosa ha fatto di così terribile l'occupante della cattedra di Pietro? Ha annunciato che il prossimo ottobre interverrà in Svezia alle celebrazioni dell'anniversario della Riforma luterana. I riconoscimenti prestati dal Concilio alle false religioni cristiane, le dichiarazioni di fratellanza e parziale comunione con luterani e altri acattolici, dovute ai predecessori, sarebbero bastate, ma hanno avuto il loro conseguente sviluppo in questo atto di aperto e coerente tradimento.
  Infatti, bisogna esser ignoranti di dottrina e di Vangelo per non sapere ciò che Cristo affermò e quello che la Chiesa ribadì riguardo agli errori e agli eretici, che fossero farisei o predicatori di un altro Vangelo. È inequivocabile l'anatema fulminato contro quelli che erano ciechi e guide di ciechi, contro gli anticristi, che già erano all'opera e, successivamente, contro le varie falsificazioni del divino insegnamento. E chi riconosce ancora in cattedra un papa che va a casa dei seguaci di Lutero per rendergli onore, magari con qualche distinguo contraddittorio? Se non bastasse, costui, il quale proclama la supremazia della misericordia, non ha nessuna misericordia verso le anime da lui gettate nella confusione circa la verità necessaria alla salvezza, da lui abbandonate alle seduzioni dei lupi protestanti e delle altre sette.
  Vogliamo ricordare qualche punto che crea un abisso tra noi e Lutero, tra la sua fede e la nostra? Per lui la fede è fiduciale, salva chi l'ha ricevuta indipendentemente dai suoi peccati. Per lui non esiste assoluzione al confessionale, né Cristo nell'Ostia consacrata. Egli fu un eresiarca quanto mai sacrilego.
  Ma questa bravata bergogliana è senz'altro un bene. Il demonio si sarebbe comportato più intelligentemente, non si sarebbe scoperto così tanto. Possiamo sperare che fedeli, o presunti tali, non troppo ignavi e ancora abituati a usare la testa, si sveglino e insorgano.


Piero Nicola  

sabato 23 gennaio 2016

Un saggio sui riti dell'Italia antica: LO SPAZIO SPIRITUALE

 Nel museo nazionale di Perugia è conservata una pregevole e commovente scultura etrusca, che rappresenta, con straordinario realismo, un morente assistito dalla parca, in attesa di accompagnarlo nel viaggio nell'oltretomba.
 Si è tentati di azzardare che alla suggestione emanata dallo sconosciuto scultore etrusco sia ispirato il saggio, Lo spazio spirituale e i riti della morte nell'Italia antica, frutto della collaborazione dell'archeologa Federica Russo con il sociologo di scuola francofortese Fabio Ivan Spigola.
 Il saggio, edito da Solfanelli in Chieti, è una sagace esplorazione (attuata proseguendo sulla via di ricerca tracciata, a suo tempo, dal geniale etruscologo Massimo Pallottino e da Giano Accame, suo attento lettore) delle dottrine e dei riti officiati dagli antichi popoli d'Italia, nell'intento di propiziare il felice viaggio del defunto nell'aldilà.
 Nell'antichità impropriamente detta pagana, il nichilismo circolava soltanto in ristrette congreghe, filosofanti nei margini delle popolazioni di provata civiltà: “per i romani, come per gli etruschi, la sopravvivenza dell'anima era un'antica credenza, profondamente sedimentata”.
 Gli antichi italiani, infatti, offrivano ai morti un culto speciale, per un verso finalizzato a tramandare la memoria del defunto, per un altro a “recare conforto e perenne rinnovamento di vita alle anime immortali”, le quali, peraltro, godono del refrigerio procurato dalla beatitudine celeste.
 Gli autori del saggio giungono pertanto alla conclusione che “uno dei tratti che accomuna tutti i popoli civili è la sensibilità dei vivi nei confronti del luogo dove riposano i defunti”. E chiariscono che tale sentenza non ha origine soltanto dal legame sentimentale con i defunti, ma dalla fede nella sopravvivenza dell'anima.
 Il Cristianesimo eleva e nobilita il culto dei morti: “Chi resta sulla terra omaggia più il trapasso che il trapassato con una libagione di vino, di rado con una colazione detta agape. Agape che in realtà è la funzione eucaristica consumata nei cimiteri nell'anniversario della morte dei martiri e in altre importanti circostanze”.
 La teologia cristiana eleva il culto dei morti, ispirando una liturgia che, in qualche modo, imita la luce perpetua: “è nell'ombra che l'uomo ha bisogno di luce interiore, e per annullare l'impotenza dinanzi all'ignoto è bene portare appresso parte di quel chiarore che tanta importanza ha avuto nella vita”.
 Avvincente è la riflessione degli autori sul tramonto della civiltà degli etruschi, un popolo di cui “restano, monumentali e indimenticabili, la scia della loro epopea e gli echi della dottrina”. Un popolo che ha aderito a una misteriosa religione, che regolava la vita pubblica e privata.
 Dagli etruschi i romani, quantunque inflessibili nell'intenzione di separare lo spazio dei vivi da quello dei morti, apprendono la dottrina “che conferisce al funerale e alla successiva sepoltura una forte dignità. Anche per loto le celebrazioni durano nove giorni, periodo in cui si dispera, si sacrifica, si banchetta e ci si purifica, tutto per onorare il trapassato”.
 Non condivisibile è invece l'opinione, quasi di stampo rabelesiano, formulata dagli autori sul Cristianesimo, “crisalide del sapere”, che avrebbe ispirato un'arte degenerata, “propaganda in forme grottesche, tutte frontali, insensibili alla natura e orientate solo all'ideale”.


Piero Vassallo

COLLOQUIO CON L'UOMO DABBENE (di Piero Nicola)

  Quando vedo il mio amico ingegnere, si discorre dei fatti del giorno, si commentano i comportamenti dei politici che vengono alla ribalta. Filippo è un moderato di inclinazione liberale, democratico, anticomunista, disposto a criticare Bergoglio, ma prudente anche riguardo alla religione. Non è un mero conformista. Legge, ha letto il saggio di Magdi Allam Islam, siamo in guerra e ne ha tratto degli insegnamenti. Quando lavorava, ha raggiunto vertici di creatività molto apprezzati. Indubbiamente è in grado di far funzionare il cervello. Egli fu per Berlusconi, per Monti, deluso da entrambi, e resta aperto alle soluzioni ragionevoli. Insomma, impersona un esemplare notevole dell'opinione pubblica.
  Filippo, pur non essendo un estimatore di Renzi, avendolo sentito in una trasmissione di Vespa, il gagliardo toscano l'ha impressionato con la sua dialettica e con i suoi argomenti. Non credo che si sia convertito al renzismo, ma i suoi figli pendono da quella parte, e credo che per motivi affettivi tenda a condividerne certe idee.
  Di sicuro il  presidente del consiglio ha fatto colpo su molti con le sue ultime uscite spavalde, con il suo proclamato orgoglio italiano e con i suoi martellamenti intorno al Paese grazie a lui ripartito. La cassa di risonanza televisiva lo ha servito a dovere. Mette conto notare come la tivù di stato ripeta almeno due volte al giorno che il canone Rai si paga a luglio nella bolletta del consumo elettrico, viene rateizzato e costa di meno. Risulta implicita l'allusione al beneficio dovuto al capo del governo, che già si vantò del provvedimento.
  Quando, prendendola un po' alla larga, ho obiettato al mio amico che Renzi non fa resistenza all'immigrazione, egli ha ammesso: "Questo sì". Quando ho mostrato l'iniquità di far votare la legge che riconosce alle coppie di fatto diritti pressoché uguali a quelli che hanno gli sposati, ha risposto che, personalmente, gli sembrava giusto che i compagni di una vita potessero godere della pensione di reversibilità. Quando ho detto che la proposta di approvare l'adozione del figlio del compagno dello stesso sesso è una perversione e un'infamia, ha ricordato che gli splenditi greci e romani praticavano diffusamente l'omosessualità alla luce del sole. Per poi riconoscere che non era in grado di sapere se nell'antichità fossero unanimi nell'accettare quel fenomeno, e se il matrimonio dei gay fosse consentito. "Il papa è stato chiaro" ha osservato, "la sola famiglia è quella di papà e mamma".
  "Peccato che abbia taciuto affatto sulle unioni omosessuali" ho detto. "Un'omissione velenosa, che non appartiene a un papa, specialmente avendo detto che lui non era autorizzato a giudicare quel comportamento".
  Qui si apriva il campo dell'operato contraddittorio, bassamente elettorale del Renzino. Egli se la prende con Bruxelles: rigida circa le norme dell'austerità, rivelatasi dannosa. Ma afferma solennemente che mettere in discussione il trattato di Schengen, il quale stabilisce la libera circolazione nei paesi europei, "è come mettere in discussione le fondamenta dell'Europa, insieme all'euro" e alimenta i populismi.
  Sembra che la Germania abbia preso in considerazione il disegno delle nazioni dell'Est, che vorrebbero aiutare la Macedonia a chiudere l'accesso agli emigranti risalenti la Penisola Balcanica. L'attrito con la Grecia invasa dagli stranieri provenienti dalla Turchia sarebbe inevitabile, anche se i tedeschi pretenderebbero che i turchi rispettino i patti, dopo aver ricevuto il compenso di miliardi di euro per contenere l'emigrazione.
  Cui prodest questo subbuglio senza sbocco e deleterio? All'America, si capisce. 
  In questi giorni, la stampa pubblica notizie a conferma dei sospetti. Sospetti riguardanti i troppo scrupolosi, s'intende. Joshna Paul, un ricercatore della Georgetown University, ha trovato che la CIA finanziò fin da principio i leader europeisti del Vecchio Continente attraverso l'agenzia ACUE e le fondazioni Ford e Rockefeller. Inoltre gli USA, nel complesso, provvidero a guidare la strategia della formazione dell'UE, che portò alla moneta unica introdotta, si può dire, di soppiatto.
  E allora il venditore Renzi che cosa sta combinando? Niente di nuovo, salvo la forma, che serve, tra l'altro, a distrarre e divertire la massa credula, debolmente speranzosa, ma non incolpevole.
  Quand'ero giovane, un vecchio mi fece notare che le vittime della truffa all'americana (così allora si usava definire la multiforme trovata per cui gli sprovveduti abboccavano all'affare lucroso, restando infine con un pugno di mosche in mano) erano colpevoli quasi quanto il lestofante che le aveva raggirate.
  Così migliaia di individui afflitti dal tedio e dalle personali frustrazioni, ansiosi di novità, di giustificare i propri disordini, bramosi di diritti umani sempre più abusivi, astiosi contro la verità che li svergogna, affollano le piazze dove sventola la bandiera delle famiglie multicolori, della famiglia distrutta.


Piero Nicola

mercoledì 20 gennaio 2016

Pensieri cattolici "bombardano" la proposta di Monica Cirinnà



Vox clamantis in deserto catholico, il cardinale Angelo Bagnasco, colpevole di aver detto sempre così, sfida i guru squillanti nel salotto effeminato e nella sacrestia conciliare, e contesta l'oggetto della sessualità progressiva, in venerata, inarrestabile circolazione tra stelle democratiche e strisce gomorrite e gonorrite.
 Spiace scrivere la squillante parola culo, ma di ciò si tratta, nelle severe e angosciate righe dell'arcivescovo di Genova: “la famiglia non può essere uguagliata da nessun altra istituzione o situazione. … la Cirinnà è una grande distrazione da parte del parlamento rispetto ai veri problemi dell'Italia”. La disoccupazione giovanile, ad esempio.
 Nessuno potrà affermare seriamente che il giudizio del cardinale Bagnasco interpreta una  teologia di destra.
 Applaudita dai rappresentanti della mistica ambidestra, infatti, la sodomia è una pratica chic, assiduamente incensata ed  esercitata dagli intellettuali trasversali, oscillanti tra Mishima e Pasolini e tra Junger e Gide.
 Da uno squillante cabaret all'altro, gli intellettuali sciccosi hanno teorizzato e suggerito il passaggio attraverso un nichilismo assoluto, finalizzato all'attuazione di una vita sufficientemente forte per vivere senza inventare Dio.
 Autore di tali ruggenti aforismi è un noto iniziato, il quale deve il dubbio sulla sua luminosa fama di maschio agli squadristi – manganellatori villani per statuto – che lo bastonarono chiamandolo signorina Evola.
 La sodomia è un crocicchio ideologico, nel quale i fantasmi degli opposti estremismi infiorano la comune radice pagana.
 Se non che l'oggetto di tale incontro ora appartiene a una minoranza viziosa, vivente nel margine estenuato di ideologie smentite dai fatti e macinate dalla storia propriamente detta.
 Scritta con l'inchiostro grigio dei democristiani e con quello rosso dei socialcomunisti, la costituzione italiana non è una pia meraviglia, ma su un punto, almeno, ha allontanato il qualunque dubbio proclamando: “la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio”. Ove l'aggettivo naturale è postato per esclude la legittimità del matrimonio omosessuale.
 L'impetuoso vento culocratico, che soffia dall'America contro la tradizione cattolica, ha invece per fine l'umiliazione del diritto naturale e delle virtù tradizionali.
 Se non che  l'ideologia pederastica non possiede la forza elastica e il fascino necessari a zompare oltre la costituzionale italiana, nell'intento di violare e capovolgere la tradizione cattolica. La refrattarietà del patriarcale popolo italiano, infatti, è un argine contro la depravazione americana.
 Il freddo silenzio del presidente Sergio Mattarella – verosimilmente – manifesta una forte contrarietà alla perversione sodomitica insita nel progetto dell'onorevole Monica Cirinnà. 
 Dalla Cei si levano segnali d'insofferenza. Il vescovo di Perugia, cardinale Gualtiero Bassetti, esorta le associazioni ecclesiali a scendere in piazza per manifestare il dissenso alla proposta della Cirinnà.
 Perfino i prelati che applaudono le larghe concessioni del buonismo/immoralismo post-conciliare tentennano davanti alla scandalosa enormità della ventilata  legalizzazione della sodomia.
 Non per caso, un progressista del calibro di monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana,  si aggira, in veste di acrobatico cerchiobottista, nelle pie nebbie del dire e non dire e sentenzia: “lo stato ha il dovere di dare risposte a tutti nel rispetto del bene comune”. Tutti, nella lingua della teologia conciliare, significa avvicinamento ai sodomiti festanti nel vespasiano, mentre il cauto riferimento al tradizionale bene comune mette in dubbio la liceità del vizio atlantico.
 Accertata l'impossibilità di far correre la misericordia in direzione di due opposti traguardi, la normalità e la sodomia, l'Italia cattolica esce infine dalle piste della teologia danzante a passo doppio (argentino) e rigetta le suggestioni diffuse dai modernizzatori, rianimatori degli errori  scheletrici, che son sepolti nei cimiteri delle rivoluzioni.

 Nella normalità, vivente oltre le tombe della desolazione progressista, corrono le insorgenze dei cattolici, che frenano l'intenzione di variare il decalogo canonizzando – surrettiziamente –  il comico girotondo intorno alla domanda “chi sono io per giudicare?”

Piero Vassallo

lunedì 18 gennaio 2016

«La meraviglia cosmica» in un saggio di Mauro Stenico

“Il pensiero e la vita moderna debbono essere ricondotti e riguadagnati a Gesù Cristo, la sua verità, la sua grazia, non sono meno necessari all'umanità del nostro tempo che a quello di ieri e di tutti i secoli passati e futuri”.
 Venerabile Pio XII


 Marco Solfanelli, sagace e intrepido editore attivo in Chieti, dopo aver pubblicato i saggi di Paolo Pasqualucci, che propongono magistrali/inoppugnabili confutazioni delle bufale muggenti nelle venerate accademie dell'ateismo e dell'esoterismo, propone in questi giorni la pregevole opera controcorrente di Mauro Stenico, La meraviglia cosmica - Saggezza divina e Natura celeste, una aggiornata e convincente apologia del Cattolicesimo.
 L'autore dell'avvincente e attualissimo saggio è un giovane filosofo trentino, refrattario al nichilismo in circolazione nel vaniloquio delle sedicenti avanguardie adelphiane e irriducibile alle suggestioni della teologia conformista, che corre, senza freni e controlli, nei labirinti del falso ecumenismo, suggestione e raggiro del neomodernismo di conio buonista (tedesco e sudamericano), diffuso per confondere i fedeli e allontanare i peccatori dal confessionali.
 Il saggio di Stenico risponde all'esigenza inderogabile di dimostrare la bontà del creato, quindi di confutare i sofismi e le calunnie, di fumosa matrice neo gnostica, che stanno a monte delle suggestioni libertine/nichiliste, in corsa sfrenata e devastante nei pensieri che circolano nell'Occidente postmoderno e contagiano le menti deboli degli ecclesiastici abbagliati dalle luci crepuscolari della modernità.
 Il disordine morale, infatti, ha origine dal disconoscimento della trascendenza del Creatore e dalla negazione della bontà della creazione. Il rifiuto del disordine costringe a riconoscere e condividere, quale principio e motore della resistenza al nichilismo, la fede salvifica nell'unico vero Dio. Il compianto padre Antonio Royo Marin, è stato autore di un magistrale saggio, opportunamente citato da Stenico, in cui si dimostra che, pur essendo beato in se stesso “Dio è amore, e l'amore è per sua natura comunicativo. Dio è il bene infinito, ed il bene tende a diffondersi: bonum est diffusivum sui, dicono i filosofi. Ecco il motivo della creazione. Dio volle comunicare le sue infinite perfezioni alle creature, per la sua gloria estrinseca”.
 Opportunamente Stenico rammenta che “la ragione umana da sola non può neanche lontanamente immaginare qualcosa di così portentoso” quale è l'atto creativo, dunque che “la creazione in sé rimane un mistero. Isaia lascia intendere come Dio disorienti chiunque tenti di penetrare i misteri di pertinenza divina … A chi obietta che non è possibile percorrere una distanza infinita e che tra il nulla e l'essere v'è di mezzo proprio una distanza infinita, San Tommaso risponde che la difficoltà dipende da una falsa supposizione, come se tra il nulla e l'ente ci fosse realmente di mezzo un infinito, il che è evidentemente falso. E questa fallace supposizione nasce dal fatto che si parla della creazione come se fosse un passaggio da un termine a un altro”.
 La creazione è verità di fede, infatti i protagonisti del Concilio Vaticano I, giudicando fondamentale la dottrina della creazione, dichiararono “se qualcuno non confessa che Dio ha prodotto dal nulla il mondo e tutte le cose che in esso contiene... sia anatema”.
 La ragione umana, illuminata dalla fede, può peraltro sapere che il Mondo ebbe un inizio: “Se l'universo fosse eterno la nostra stessa esistenza sarebbe già dovuta essere accaduta da tempo immemorabile. Lo stesso argomento può essere proposto quale confutazione della tesi sull'infinitezza spaziale: ad una certa distanza dalla Terra dovrebbe esistere un punto che fosse finitamente lontano dal pianeta, ma pure infinitamente distante”.
 D'altra parte la ragione, lo ha dimostrato San Tommaso d'Aquino, può conoscere l'esistenza di Dio: “infatti esistono cose che prima non c'erano e poi non ci sono più, sono contingenti. Se tutto fosse contingente vorrebbe dire che tutto ciò che esiste può non essere. Questo significa che ci può essere un momento in cui non c'è nulla, ma non ci spiegherebbe perché adesso c'è qualcosa. Non c'è quindi mai stato un momento in cui non c'era niente: se c'è qualcosa significa che non tutto è contingente, c'è almeno un ente che è necessario, cioè che non può non essere e questo lo chiamiamo Dio”-
 La flessione del clero modernizzante, abbagliato e sviato dalla mitologica figura del papa buono, e la diffusa presunzione dei nuovi teologi di aver avvicinato la Chiesa al cuore della modernità, suggeriscono un addolcimento e un ribasso della fede, nell'illusione di facilitare la conversione dei miscredenti.
 Il fedele moderno e conciliare, infatti, è allegramente assordato dalla leggenda, gridata dai pulpiti del conformismo, di un cristianesimo primitivo, socializzante, tollerante e conciliante.
 Di qui il conformismo storiografico, che impone il rigoroso silenzio e l'oblio dei papi regnanti sulla Chiesa preconciliare, e la sorda censura del catechismo di San Pio X, giudicato non all'altezza della squillante stagione del post-concilio.
 A edificazioni dei cattolici sottomessi al potere del giornalismo teologico, i nuovi preti fanno squillare le anodine sentenze del buonismo, che ora consigliano di esibire il simbolo della rivoluzione comunista, ora giustificano le sconcia e ripugnante sodomia, ora conversano amorevolmente con la esponente del partito radicale, che detiene il primato nazionale per il numero di aborti illegali procurati, ora infine feriscono la ragione ultima della propaganda fidei suggerendo di non convertirsi alla Fede cattolica a un vecchio arnese del giornalismo ateo e progressista.
 Opportunamente Stenico cita l'enciclica Humani generis, pubblicata dal venerabile Pio XII per dimostrare la fragilità dell'ateismo in ostinata, dissennata circolazione fra le rovine del pensiero moderno: “L'uomo, sia perché guidato da pregiudizi, sia perché istigato da passioni e da cattiva volontà, non solo può negare la chiara evidenza dei segni esterni, ma anche resistere alle ispirazioni che Dio infonde nelle nostre anime”.
 Di seguito papa Pacelli ha dimostrato che il cieco dissenso degli atei, agitati dalle mitologie intorno alla falsa scienza, non diminuisce le ragioni che sostengono la certezza circa l'esistenza dell'Essere perfettissimo: “la Provvidenza ha disposto che la nozione di Dio, tanto essenziale alla vita di ciascun uomo, come può trarsi facilmente da un semplice sguardo gettato sul mondo, in guisa che non comprenderne la voce è stoltezza, riceva conferma da ogni approfondimento e progresso delle cognizioni scientifiche”.
 Il saggio di Stenico è una puntuale conferma del giudizio mediante cui Pio XII indicava i limiti delle obiezioni scientifiche alla dottrina cattolica: “Quale è dunque l'importanza della scienza moderna riguardo all'argomento in prova dell'esistenza di Dio desunto dalla mutabilità del cosmo? … Si conclude all'esistenza di un Ente a sé, per sua natura immutabile”.
 L'insostenibilità dell'ateismo è l'orizzonte nel quale la fede risplende, nonostante i dubbi, i balbettamenti, le aperture e le rumorose contorsioni della gerarchia sedicente ecumenica. Il saggio di Stenico, in definitiva, è un efficace antidoto al cocktail di frivolezze suggerite dalla teologia novista – catatonici pensieri intonati al grottesco perdonismo che svuota i confessionali, oblio e/o disprezzo della indeclinabile tradizione, fantasticherie intorno alla Chiesa fondata dal Vaticano II, ecumenici inchini ai roventi errori degli atei e dei fedeli ai falsi profeti.



Piero Vassallo

domenica 17 gennaio 2016

GIRARE INTORNO AL PROBLEMA (di Piero Nicola)

Sul quotidiano piuttosto diffuso della destra attuale è comparso in rete una specie di articolo di fondo, che è tutto un poema sull'inconcludenza da cui sono afflitti i pensatori e comunicatori maggiormente accreditati presso l'opposizione alla sinistra dominante. La loro tara è d'essere essi stessi malati di progressismo: propensi alla regolamentazione delle unioni di fatto, ambigui circa i diritti degli omosessuali, incerti se stare con Putin e rinnegare in qualche misura l'America. Nella migliore delle ipotesi, si barcamenano servendo certe loro sane convinzioni mediante i compromessi, senza i quali perderebbero il posto, come se i compromessi potessero sortire dei vantaggi morali.
  La questione proposta dall'editoriale prende lo spunto dalla polemica in corso tra il presidente della Commissione europea e il gagliardo Matteo Renzi, per poi giudicare la conduzione del governo.
  Che cosa ci sia dietro lo scambio di frecciate tra Juncker e l'Enfant terrible della politica nostrana non è facile capirlo. Potrebbe essere la solita messinscena, o un ambizioso atto di coraggio per avventura lodevole, o un mero espediente per procacciare voti di centro-destra al Pd alle prossime elezioni.
  Il giornalista dice di parteggiare per Renzino solo per amor di Patria, e trattandosi di salvare il principio della sovranità nazionale. Inoltre riconosce che gli arroganti burocrati di Bruxelles sono causa della maggior parte dei nostri guai.
  Da queste belle premesse che cosa ne ricava? Non di certo l'essenziale. Anzi perde l'occasione per le rette deduzioni e la proposta d'un'equa soluzione. Ma senza di esse si continua a brancolare nel buio.
  Quindi, parte l'attacco al presidente del Consiglio. Un attacco che, per quanto possa essere giusto, lo si può scambiare benissimo per una critica proveniente da uomo di parte. Renzi ha dimostrato di non essere un grande, si mette contro degli stranieri che lo sovrastano in ogni modo, in Europa conta un fico secco, cerca invano di gabbare Juncker e soci con parole, artifici e nessun fatto positivo.
  Su quest'ultimo punto c'è molto da ridire. Che egli abbia dato gli 80 euro ai lavoratori e che tolga l'imposta sulla casa per comprare consenso, sarà vero; che abbia truccato i conti o cerchi di truccarli, può darsi; che stia millantando una procurata crescita economica per giunta inesistente, siamo d'accordo; ma che l'intento di sforzare il tetto del debito pubblico imposto dall'UE sia un errore, in quanto siamo sull'orlo della bancarotta, non è vero, e mette in gioco il nocciolo di tutti i problemi.
  Le parole saranno parole, ma aver dichiarato che l'Europa delle regole austere non va bene, è cosa in sé pregevole. Negandolo in qualche modo, l'articolista si contraddice. La sua affermazione secondo cui Bruxelles ci danneggia collima con le proteste renziane e il prendersi libertà col bilancio statale.
  Il debito pubblico è stato prodotto alquanto artificiosamente. Se ci sono colpe dell'Italia cicala, ci sono almeno altrettante colpe altrui: di speculazioni, abusi e truffe. Certo avremmo dovuto opporci prima a tali manovre, ciò non toglie che avremmo ragione di metterle in conto. Ne consegue che )a proposito della sovranità nazionale da ricuperare!) o l'Europa dovrebbe riconoscere l'onesto conteggio - tenendo anche presente l'incongruità d'una moneta unica per stati di condizioni socio-economiche disparate - o peggio per lei. Che il peso dell'Italia sia scarso è una barzelletta. Qualora essa minacciasse di tirarsi fuori, l'UE si spaventerebbe. Se venissimo estromessi, non crolla il mondo. Il modo è vasto: ci vivono discretamente anche quelli che non rientrano nella sfera Euro-Americana. Sarebbe un'opportunità di una rinascita mettersi al riparo nella sfera russa. Partita difficile da giocare? Chi non risica non rosica.
  Si capisce che non sarà un Renzino a salvarci, uno che legifera a pro delle perversioni, né un Berlusca incline a riconoscere diritti pervertiti. Oggi si può nutrire qualche speranza in Matteo Salvini. Egli andrebbe aiutato e spronato a seguire i buoni esempi di alcuni stati europei (Polonia, Ungheria, Slovacchia) che si fanno valere.
  Un altro giornalista moderato, che sa farsi sentire e svolge una critica apparentemente anticonformista, citato nello stesso articolo, sembra deluso di Renzi, dopo averlo portato un palma di mano, sembra dare ragione a chi lo soppesa trovandolo "leggerino". Restiamo nell'ambito delle futilità.


Piero Nicola