mercoledì 28 settembre 2016

La manfrina antifascista

 Oggidì il fascismo non è un pericolo. Mi auguro che non sia necessario rammentare che al presente sono inesistenti e per la maggioranza degli italiani perfino incomprensibili le circostanze storiche, le idee e gli stati d'animo, che hanno suscitato e in qualche modo incoraggiato e giustificato la vincente azione del partito di Benito Mussolini. A cauti passi – peraltro – gli storici che hanno appreso la lezione della realtà avviano la revisione.  
 Il fascismo appartiene interamente al passato e pertanto l'antifascismo oggidì ha tanta attualità quanta ne potrebbe vantare l'attività di un partito ghibellino intitolato (regnante il guelfo mons. Bergoglio) alla germanica cancelliera Angelica Merkel.
 Robustissima e mutante (trans politica) la signora dei tedeschi che (pur avendone i requisiti fisici e mentali) non potrà far ridere (a crepapelle) il trapassato imperatore ghibellino Federico Barbarossa.
 E' pertanto lecito sostenere che sarebbe utile vedere i mutamenti avvenuti nella scena filosofica postmoderna, dunque preservare la politologia dalle ottenebranti suggestioni dell'anacronismo, ossia dalla tentazione di usare, quali parametri dell'attualità spensante intorno alle salme delle ideologie, idee e fatti inattuali, in ultima analisi appartenenti a un passato, che è – per obbligante e categorica definizione - irrevocabile.
 La ventennale storia del fascismo dunque appartiene all'irripetibile passato e come tale va letta sine ira et studio. Di qui l'esigenza di uscire da una lettura polemica e irosa di fatti storici, che la scolastica, generata dal progressismo retroattivo, consegna e affida al partito dei passatisti militanti (a sinistra e al centro liberale).
 La storia del ventennio fascista deve incominciare dall'espulsione della pretesa – strutturalmente irrazionale - di trascinare nel presente idee e fatti appratenti al passato. Si pensi alla polemica antifascista che, sotto l'impulso dell'irrealtà, ha proiettato nel passato – facendone quasi il temibile e agguerrito erede del duce di Predappio – una foglia al vento quale è stato il politicamente (auto) emarginato Gianfranco Fini.
 Dopo le indispensabili messe a punto è forse possibile proporre una lettura storica e non più politica del ventennio di Mussolini, delle sue felici imprese, dei suoi errori e della sua tragica fine.
 Non si può negare seriamente che Mussolini riuscì nell'impresa di trasformare l'Italietta dei liberali in una nazione capace di condurre splendide imprese: la pacificazione nazionale, il concordato con la Chiesa cattolica (non è certo per un caso che la giovane classe dirigente democristiana – Moro e Fanfani, ad esempio - ebbe un passato in camicia nera), la gigantesca impresa della bonifica pontina, l'attivazione di un sistema sociale  (che il regime degli antifascisti non ha osato demolire, prima che su di esso precipitasse, dall'estero, la sciagura del liberalismo assoluto), il rinnovamento della scuola e la sua apertura alle c. d. classi subalterne, l'attivazione di una grandiosa campagna contro le malattie sociali, la civilizzazione della Libia (sulla cui memoria i libici – se potessero conoscere la storia – dovrebbero esercitare le ragioni del loro rimpianto), l'avveniristica progettazione e costruzione di autostrade, e infine la proiezione del mondo di una splendida immagine dell'Italia.
 Errori capitali furono la promulgazione delle leggi razziali, l'abolizione del sistema elettorale (da cui il fascismo avrebbe ottenuto streptiosi consensi) e l'alleanza con gli alieni tedeschi, una decisione contraria per diametrum, ai giudizi beffardi e devastanti che Mussolini aveva espresso su Adolf Hitler, sul suo partito e sul suo popolo (lo ha rammentato, sviluppando un tema di Renzo De Felice, Fabio Andriola autore di un fondamentale saggio su Mussolini nemico di Hitler).
 Ad attenuazione del capitale/fatale errore commesso da Mussolini alleato di Hitler, è doveroso rammentare l'ostilità delle democrazie massoniche e antitaliane, che nell'inseguimento corsaro all'odio (antfascita e anti italiano) superarono (in larga misura) l'Unione Sovietica. 
 Al seguito dello storico (antifascista) De Felice, è ora necessario uscire dalla senteza che, nel fascismo, contempla una malattia morale cioè ristabilire la verità che - nel fascismo - riconosce la dura negazione italiana della mefitica cultura illuministica e della sozza cialtroneria massonica. Negazioni che – caso mai – devono essere iscritte nella colonna dei meriti di Mussolini.


Piero Vassallo

Nessun commento:

Posta un commento