giovedì 29 settembre 2016

La deformata memoria incensa il boja Pertini

 Nell'aprile del 1945, gli anglo-americani, che avevano già attraversato il Po, ordinarono ai partigiani, radunati nella festante sede del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, di arrestare Benito  Mussolini e di consegnarlo immediatamente agli amministratori della rinomata e apprezzata (e sopra tutto implacabile) giustizia a stelle e strisce. Una giustizia (tra virgolette) che si era macchiata (e vantata) di un delitto enorme e ributtante quale fu lo sterminio dei nativi d'America.
 Probabilmente gli americani intendevano processare il duce degli italiani per poterlo fucilare in esecuzione hollywoodiani di una sentenza conforme al diritto dei vincitori e alla loro grottesca e sinistra procedura.
 Si rammenta al proposito la tendenza a spettacolarizzare la morte dei vinti, un tempo visibile nel film (poi ritirato dalla circolazione perché controproducente) che mostrava le impiccagioni dei condannati dal tribunale di Norimberga.
 Dal suo canto il compianto Giano Accame ha mostrato agli spettatori della televisione italiana il filmato americano, che rappresenta la fucilazione di un incolpevole fascista (il quale affrontò la morte con una serena dignità, che gli americani ignorano).
 Se non che Sandro Pertini, in combutta con l'agente e boja del Kgb, il criminale Luigi Longo, impose al Cln la decisione di disobbedire all'ordine impartito dai loro democratici mandati e di procedere immediatamente (ovvero senza processo) alla fucilazione di Mussolini, di Claretta  Petacci, dei gerarchi e degli incolpevoli militari al loro seguito.
 I giustiziati (o meglio gli assassinati) furono in seguito deposti (bestialmente gettati) sull'asfalto di piazzale Loreto, dove il furore delle canaglie si esibì nella disgustosa scena dello sputo e del calcio ai cadaveri.
 La sinistra, immonda esibizione di piazzale Loreto fu una impresa del peggior stampo messicano, un disonorante orrore, che consente agli stranieri (ad esempio ai francesi, smemorati eredi dei rivoluzionari, che correvano per le strade di Parigi esibendo le teste ghigliottinate dei reazionari) di speculare sulla ferocia dei progressisti italiani.
 Presidente di una trucida fazione social-comunista, Pertini fu venerato e incensato dalla folla dei giornalisti ubriacati dalla retorica resistenziale o gettonati dal potere o impauriti dal fragore degli applausi scatenati da una minacciosa clacque di fanatici e/o di conformisti, questi ultimi tenuti sotto schiaffo dalla implacabile e incubosa vigilanza esercitata dalle severe guardie della vulgata resistenziale. 
 Il culto incensante (ma oramai grottesco) del boja Pertini è una macchia indelebile sulla storiografia imposta agli italiani dai vincitori della guerra civile.
 Il rispetto che si deve ai caduti della resistenza non può esigere in alcun modo la cecità al cospetto dei crimini orchestrati da Pertini ed eseguiti da comunisti.
 La prossimità del centenario della sconfitta italiana nelle seconda guerra mondiale e del massacro dei vinti (decine di migliaia furono i fascisti assassinati nella radiosa primavera del 1945) induce a credere che sia maturato il tempo di abolire le leggi che negano il diritto di svelare la verità intorno alla guerra civile e al suo tragico epilogo. 
 Tale libertà implica di procedere, al seguito estremo di Renzo De Felice, al getto al vento dei fumi d'incenso sollevati dai turiboli del servilismo intorno alla non limpida figura del Pertini e dei suoi sodali.


Piero Vassallo

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