sabato 10 settembre 2016

IL MONDO NON PUÒ FARE IL BENE (di Piero Nicola)

  Precisiamolo subito: il mondo come lo intende il Vangelo ("Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia [...] Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi"). Come società di uomini non governata da cattolici osservanti, esso non può mai fare il bene sufficientemente e complessivamente, fa sempre più male che bene, e per questo reca danno nondimeno alle anime; in definitiva è il nemico della Verità e del Signore; salvo che sia costretto a sottostare alla legge naturale e divina.  
  Tale indispensabile osservanza (indipendentemente dal tipo di regime, autoritario o democratico, sebbene quest'ultimo sia generalmente troppo debole) bisogna che sia fissata nella Costituzione dello Stato e garantita dal Governo, oppure si deve alla subordinazione dello Stato cattolico alla Chiesa autentica in materia di costumi e di morale, ovvero dipende da un effettivo ossequio della Potestà civile a Dio e alla suddetta legge imprescindibile.
  Chi non rigetta il dogma sul peccato originale, chi non ammette l'eresia di Pelagio, dovrebbe aver saldamente presente la radicale inettitudine del mondo laico (inclusa un'ipotetica società in cui abbiano il predominio i cosiddetti uomini di buona volontà) a procurare il bene comune; egli dovrebbe premetterla ad ogni valutazione di sistemi costituzionali, di dottrine politiche, di giudizi sulla civiltà trascorsa, presente e ritenuta possibile. Dio ha dettato la premessa. Se ce ne fosse bisogno, la storia attesta la Sua parola.
  Dovremmo credere ai fautori di una ideologia che presuppone il laicismo, ai fiduciosi nelle risorse umane, nel naturale prevalere del vero e del bene? Dovremmo aderire ai credenti nelle scienze, nel loro metodo rigoroso, nella possibilità di un autonomo civile perfezionamento, per non dire del progresso evolutivo? Impossibile. Cristo dichiarò: "Senza di me non potete fare nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca" (Gv. 15, 5-6). La Chiesa stabilì la necessità della Fede e della Grazia per compiere liberamente opere meritevoli.
  Concilio di Trento, Sess. VI, Canoni sulla giustificazione:
  1. Se qualcuno afferma che l'uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere. compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia divina meritata da Gesù Cristo: sia anatema.
  2. Se qualcuno afferma che la grazia divina meritata da Gesù Cristo viene data solo perché l'uomo possa più facilmente vivere giustamente e meritare la vita eterna, come se col libero arbitrio, senza la grazia egli possa attuare l'una e l'altra cosa, benché faticosamente e con difficoltà: sia anatema.
Concilio di Cartagine, a. 418, Peccato originale:
Can. 2 [...] Non si può comprendere diversamente quanto dice l'apostolo Paolo: "Per un solo uomo è entrato il peccato nel mondo (e attraverso il peccato la morte) e si estese a tutti gli uomini; tutti in lui hanno peccato" (Rm. 5, 12), se non nel senso in cui la Chiesa cattolica, dovunque diffusa, lo ha inteso. A motivo di questa regola della fede anche i bambini, che non abbiano ancora potuto commettere peccato alcuno in se stessi, tuttavia vengono veracemente battezzati per la remissione dei peccati, affinché mediante la rigenerazione venga in essi purificato quanto essi attraverso la generazione hanno contratto.
Concilio di Cartagine, a. 418, Grazia:
Can. 5. Così pure è stato deciso che chiunque avrà detto, che la grazia della giustificazione ci viene data per il motivo che quanto ci è comandato di fare mediante il libero arbitrio, per mezzo della grazia lo possiamo adempiere più facilmente, come se, non venendo largita la grazia, potessimo tuttavia anche senza di essa, pur con difficoltà, adempiere i comandamenti divini, sia anatema. Dei frutti dei comandamenti infatti parlava il Signore, non dicendo: Senza di me li potete compiere più difficilmente, ma dice: "Senza di me non potete fare nulla".
  Evidentemente non si tratta soltanto di peccati personali, relativi alla salvezza eterna, ma di violazioni della Legge che concernono nondimeno la vita sociale.
  Perciò fanno ridere quei tali che si indignano e si scandalizzano per le leggi liberticide rivolte a proibire e a reprimere, nel consorzio umano, gli atti contrari alla verità (divinamente data) e al potere che la tutela, e non soltanto le azioni ritenute immorali e sovversive dalle comunità libertarie. Come le eresie sono state condannate dalla Chiesa (per esempio nei due Concili sopra citati: contro Lutero e contro Pelagio), essendo fomite di peccato, allo stesso modo lo Stato deve condannare chi propala gli errori che seducono il popolo spacciando il male per bene, e inducono a mal fare.
  Ma, cosa inaudita, Giovanni XXIII cominciò, nelle sue encicliche sociali e mondiali (Mater et Magistra, Pacem in terris), a riabilitare l'eresiarca Pelagio. Predicò ad ogni sorta di genti, si rivolse agli uomini responsabili del mondo, non cattolici e cattolici di dubbia lega, come se fossero in grado di fare la volontà di Dio. Il Concilio Vaticano II completò la sua opera di eresia.
  Inoltre, lo stesso Roncalli prese a considerare superflue le correzioni, sconsigliabili le condanne, sempre sopravvalutando gli uomini contemporanei (larvato evoluzionismo). Mentre nel mondo dare consenso alla licenza divenne rispetto della dignità umana e poi riconoscimento di un diritto, la sana ammonizione e debite proibizioni ecclesiastiche furono ereticamente considerate una menomazione della libertà necessaria alla fede e un'imposizione di essa. La via alle aberrazioni dogmatico-pastorali era stata spianata, e formarono un'empia catena che ancora non cessa di accecare i creduli e i corrotti.


Piero Nicola

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