mercoledì 18 maggio 2016

SAN FRANCESCO E PAPA FRANCESCO (di Lino Di Stefano)

La recente affermazione dell’attuale Pontefice: “Quante volte vediamo gente tanto attaccata ai gatti, ai cani che poi lascia sola e affamata la vicina. No, per favore no!”, ‘ex abrupto’ si presenta giusta e fondata, ma, ad una disamina più approfondita, essa non è così scontata laddove il Vicario di Cristo aggiunge: “la pietà non va confusa neppure con la compassione che proviamo per gli animali che vivono con noi”. Egli così conclude: “L’amore non va a gettoni : se una persona ha un animo gentile, è ben disposta verso gli animali e verso i suoi simili”.
 Ed anche le ultime due affermazioni sono sensate, legittime e inconfutabili sebbene esse insinuino il sospetto che la maggioranza delle persone che vivono con gli animali si disinteressano del proprio simile; ora, è vero che molti cittadini, spesso, trascurano il vicino senza prestare il dovuto aiuto, ma è altrettanto certo che gran parte degli esseri umani che amano gli animali, assistendoli e curandoli, non chiudono gli occhi al cospetto dei propri simili e, all’occorrenza, fanno del bene nei limiti, ovviamente, del loro reddito.
 In particolare, oggi, visto che siamo alle prese con la questione ‘migranti’ e, tolte le istituzioni, facciamo un po’ tutti del nostro meglio per alleviare almeno i disagi di quelli che scappano dalle guerre; ragion per cui riteniamo che il monito del Papa, a parte la sua veridicità, pecchi di un po’ di pessimismo in quanto sono numerose le persone che accudiscono ai cani, ai gatti e agli altri animali senza obliterare il prossimo bisognoso.
 Il medesimo ex Pontefice Ratzinger – ne ritiro del Monasterio ‘Mater Ecclesiae’ di Roma - assiste una piccola colonia di gatti, a dimostrazione dello spirito francescano che lo sorregge visto che l’Assisiate amava non solo tutti gli animali, ma con gli stessi egli dialogava, come leggiamo in tanti capitoli dei ‘Fioretti’ redatti, quasi sicuramente, da Frate Ugolino da Monte il quale riporta spessissimo le parole testuali del Santo.
 L’Autore dei ‘Fioretti’, ci informa, ad esempio, che il Santo, continuando ad amare il prossimo, non trascurava mai gli animali – considerati fratelli e sorelle, ‘sirocchie’ le chiama l’Assisiate – fossero essi rondini, come leggiamo nel capitoli XVI, XXI e XXII dell’opera, tortore od altri volatili, mentre un caso a parte resta l’episodio del crudele lupo di Gubbio.
 Ubbidivano non solo le ‘tortole’ selvatiche, ossia le tortore, ma pure tutte le altre specie di animali e proprio per quanto riguarda le tortore, come scrive Frate Ugolino da Monte, “mai non si partirono insino che Santo Francesco con la sua benedizione diede loro licenza di partirsi”. Naturalmente, come osserva sempre l’Autore dei ‘Fioretti’, gli uccelli, tortore, rondini od altri animali, “come se fussono state galline sempre nutricate” erano da lui e dagli altri frati.
 E siccome Bergoglio allude, nel suo intervento, agli animali a quattro zampe, è giocoforza aggiungere che l’Assisiate “domesticò”, non solo i volatili, ma anche il “ferocissimo lupo d’Agobbio” il quale “non solamente divorava gli animali ma eziandio gli uomini”, sempre per usare la terminologia dell’Autore più volte citato. Ebbene, il Santo, da una parte gli parlò con tali parole – “Vieni qui, frate lupo, io ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me né a persona” – e, dall’altra, “il lupo levando il piè ritto , si ‘l puose in mano di Santo Francesco”.
 Questo lupo visse due anni a Gubbio entrando pacificamente per le case senza che nessun cane gli abbaiasse dietro; morì di vecchiaia, “di che i cittadini molto si dolsono” . Che cosa significa tutto ciò, con l’autorità di chi nel ‘Cantico delle creature’, esaltò tutti gli esseri dell’universo, non solo uomini, animali, piante, astri, e cose inanimate, bensì pure la Morte chiamata sorella “da la quale nullo omo vivente po’ scappare”, per usare i versi del Poverello. Pertanto, a nostro giudizio, meno scetticismo da parte del Papa per il semplice motivo che esiste, almeno in Italia, una miriade di persone che amano gli animali e parimenti quelli della porta accanto, ferma restando, s’intende, anche l’indifferenza relativa.
 Lo scrivente, dal suo canto, da quando era studente ha sempre dimostrato profondo affetto specialmente per gli uccelli, segnatamente cardellini ed ora pappagallini, senza per questo girare la faccia dell’altra parte e non fare del proprio meglio, nei limiti delle sue possibilità, nei confronti del suo simile. Lo stesso conosce tantissimi casi di persone che pur rimaste traumatizzate per la perdita dell’animale domestico, hanno continuato a fare del bene.
 La morte di un cane vissuto per tanti anni in casa di un amico il quale chiamava l’animale ‘il padrone di casa’, gli sta ancora causando dolore e sofferenza; la scomparsa, però, del quadrupede, non gli impedisce di guardare il proprio prossimo e, all’occorrenza, di prestargli il dovuto soccorso. Più ottimismo, dunque, Sua Santità, perché c’è ancora molta gente, in giro, in grado di arrecare beneficio a chi ne ha bisogno.


Lino Di Stefano

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