mercoledì 4 maggio 2016

LA GIUSTIZIA INVERTITA (di Piero Nicola)

Non sono più i tempi dell'imperativo Dura lex sed lex? Si capisce. Infatti anche per questo andiamo a catafascio. Ogni tanto viene fuori un piagnisteo perché si è scoperto un grande errore giudiziario. Un povero innocente ha scontato dieci, vent'anni di galera. Ma quelli che compiangono il disgraziato e ritengono evitabile, inaudito il giudizio errato sono ignoranti della più bell'acqua, oppure i soliti giornalisti senza scrupoli, che l'ignoranza la spargono a piene mani. L'errore giudiziario è sempre stato e sempre sarà. Il guaio invece sta nelle leggi, per giunta di solito peggiorate dai loro interpreti.
  Quei giornalisti, con la loro sottintesa e falsa imparzialità che rispetterebbe ogni essere umano, non mancano di riportare la dichiarazione degli imputati che si dicono innocenti. Che importanza ha che l'accusato, anche il sospetto, di un delitto si scagioni da solo protestandosi semplicemente innocente? Casomai basterebbe osservare che non ha confessato. Ma il democratico umanitarismo, degenerato in garantismo buonista, giustifica le losche sciocchezze.
  In altre occasioni ho avuto modo di criticare la domanda rivolta alle vittime orbate dei loro cari: se abbiano perdonato. Tuttavia vale la pena riprendere tale scempiaggine poco pulita, la quale ignora come il perdono sia un fatto della coscienza intima, oggetto di un dramma di cui è disonesto sollecitare l'esposizione al pubblico giudizio, giudizio semmai riservato al confessore. D'altronde il perdono esternato al grande pubblico sprovveduto induce all'indulgenza verso il reo offensore. Esternamente, l'offeso deve soltanto pretendere l'equa condanna e la sua esecuzione. 
  Si è stabilito che occorrano tre gradi di giudizio (che durano anni) - dalla Corte d'Assisi alla Cassazione - per definire colpevole un soggetto e per metterlo in galera, salvo che non si dimostri la sua pericolosità, stabilita a discrezione del giudice. In questo modo, abbiamo in giro delinquenti che di certo perpetreranno delitti, di cui è responsabile l'allegra legislazione che regola questa materia. Forse tre giudizi successivi garantiscono un verdetto più giusto (la riserva è d'obbligo, vista la contraddittorietà e la stravaganza di sentenze d'ogni grado), ma il valore del primo verdetto non può essere inficiato dalla sua sospensione e la cautela della presunzione di innocenza non compensa affatto il danno morale e sociale provocato dal condannato messo fuori. In ogni caso, una giustizia che ritarda anni ad attuarsi non è giustizia.
  Riguardo alle pene, l'immoralità è ancora maggiore. La pena non è più lo strumento dell'espiazione. Essa viene condizionata, addolcita con libertà parziali e favori, con dubbi percorsi di rieducazione, abbreviata da buona condotta, presunto pentimento e ravvedimento (di impossibile verifica). Ne conseguono altri delitti evitabili.
  La perfetta Giustizia divina, che i governi si sono messi sotto i tacchi, prevede il perdono del pentito (accertato tale infallibilmente), ma la pena sussistente è alleviata dall'offerta di sacrifici, espiata del tutto in Purgatorio.
  In una escursione tra le rovine del Diritto, è inevitabile puntare gli occhi sull'originario caso funesto, che fu di nuovo genere poco dopo il verificarsi di un'altro male epocale, quello del Concilio Vaticano II. Intendo dire il rinnegamento dell'onestà, ossia l'abrogazione delle leggi eque e l'introduzione di leggi depravate. Se prima della legalizzazione del divorzio mancarono quasi del tutto norme regolatrici della vita civile che fossero immorali, in seguito fu un crescendo di legalizzazione dell'abuso, dall'aborto sino alle legittimate unioni di fatto, che prospettano il matrimonio omosessuale e la regolarizzazione di varie nefandezze. Si può affermare che, in Italia, la data dell'avvento del divorzio spartì due epoche storiche: l'era della Giustizia ancora in grado di imporre la sua dignità e autorevolezza, e l'era tenebrosa del rovesciamento della Giustizia. Viviamo in un tempo maledetto come non si vide dalle bibliche reprobe età o città, parzialmente e momentaneamente attenuato dall'inerzia dei costumi moderati e dalla disciplina imposta dal lavoro.
 Come è naturale, la strada del vizio, di qualsiasi vizio, compreso quello di trasgredire riformando i Codici, conduce più in basso. La Magistratura, in teoria indipendente Potere dello Stato, si compone di uomini che possono fare politica e molti la fanno. Inoltre la politica entra nella composizione del suo organo supremo. La Cassazione, sovrana amministratrice degli estremi ricorsi giudiziari, ha dato ampi esempi di interpretazione delle leggi in senso progressista. In questi giorni, ha stabilito che lo stato di necessità dovuto alla fame autorizza al furto di cibi. È indispensabile considerare le circostanze del fatto, pertanto occorre un processo in piena regola. Ma la Cassazione non fa processi, può soltanto annullare le sentenze e esprimere pareri. Città e paesi possiedono centri caritativi e assistenziali che somministrano vivande ai poveri. Se essi non vi ricorrono, generalmente trattasi di una loro negligenza. Ma telegiornali e compagnia bella, con qualche eccezione, si sono fermati al provvedimento della Cassazione, senza che nessun organo autorevole della magistratura e dello stato li abbia corretti. Sarà dunque normale che la decisione della Cassazione costituisca un precedente con cui si giustificheranno furti e ruberie illegittime, commesse da indigenti e da vagabondi. Si sta su un piano inclinato e si scivola giù, nella m... della quinta essenza democratica.


Piero Nicola

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