venerdì 25 marzo 2016

L’ERESIA CATARA, FONTE SCONOSCIUTA DEL NICHILISMO CONTEMPORANEO

Il trattato cataro sui due principi, scoperto per caso nella Biblioteca Nazionale di Firenze dall’erudito domenicano Antoine Dondaine e pubblicato nel 1939 [1], offre, insieme con la magistrale e tuttora insuperata storia dell’eresia albigese, scritta da Jean-Baptiste Guiraud [2], l’opportunità di compiere una strabiliante escursione, nel futuro prossimo e nel passato remoto dell’ideologia rivoluzionaria [3].
Lo scrupoloso esame della dottrina catara e delle sue (evidenti) radici gnostiche e manichee [4], infatti, costringe chiunque a riconoscere la singolare somiglianza dell’eresia medievale con le furenti elucubrazioni dei nichilisti, che hanno prodotto il bizzarro mosaico delle utopie anarchiche proliferanti sulle macerie della modernità [5].
Il primo tassello di questo tortuoso ed oscuro mosaico, che si potrebbe intitolare Catalogo delle affinità imbarazzanti, è il rovente disprezzo (d’ispirazione esoterica) dichiarato dai catari nei confronti del Dio creatore, che si è rivelato ad Abramo e alla sua discendenza [6].
Il rifiuto e la denigrazione dell’Antico Testamento e l’odio implacabile verso gli ebrei, infatti, costituisce il capitolo più cospicuo del risveglio gnostico (marcionita) e cataro, che fa infuriare i due versanti del vertice speculativo della modernità:  la contraffatta destra neopagana (dove circolano imperterrite le tesi di Nietzsche sul bonus-duonus, le fantasticherie di von Harnack sul cristianesimo tedesco e le sublimi imposture di Simone Weil sul dio alieno e sul cristianesimo puro) e la sinistra postmoderna (dove imperversa la lettura apocalittica di Marx e di Freud, i maestri del sospetto, e di Heidegger, il teorico della gettità).
Per misurare la temperatura della bruciante febbre neognostica e neocatara, che costituisce il sintomo della crisi contemporanea, è sufficiente rileggere una pagina scritta da Nietzsche nella cruciale estate del 1887:  “Credo mi sia consentito interpretare il latino bonus come il guerriero, posto che a buon diritto riconduco bonus ad un più antico duonus (confronta bellum=deullum=duenlum, in cui mi sembra sia conservato quel duonus).  Bonus, quindi, come uomo della disputa, della disunione (duo), come guerriero:  si vede quel che nell’antica Roma costituiva in un uomo la sua bontà”.
In quesa insalata di parole, l’irritabilità, senza dubbio connessa alla schizofrenia incipiente se non già esplosa, traduce l’accesa e incontrollata fantasia del filologo e la trascina al bordo del delirio assoluto, che farà risuonare le filastrocche gnostiche dei postmoderni (si pensi a certe pagine mistiche di Zolla) e dove si esalta come buono lo stato aggressivo e scismatico del drogato e/o dell’invasato, detto appunto duonus [7].  È impossibile tuttavia negare l’appartenenza del saggio scritto nel 1887 a quell’ultima e definitiva fase del pensiero di Nietzsche, che è intitolata alla regressione dionisiaca e alla sana barbarie.
Ora il contenuto della dissertazione sulla genealogia della morale dimostra, senza lasciare ombra di dubbio, la legittimità dell’interpretazione di Lukács (felicemente speculare a quella di Elisabetta Foster-Nietzsche e di Baumler), che indicava nella filosofia zoologica di Nietzsche la fonte della mitologia neopagana intorno all’intrinseca superiorità dei biondi ariani, preambolo del nazismo.  L’argomento filologico, sfoderato nella prima dissertazione sulla genealogia della morale, toglie qualunque sostegno alle tesi degli studiosi di scuola heideggeriana e/o francofortese, che, dal 1945 ad oggi, hanno tentato la riabilitazione di Nietzsche e la sua iscrizione nel partito del politicamente corretto:  “In latino, malus, (al quale metto accanto mela) potrebbe essere designato l’uomo volgare, in quanto individuo dal colore scuro, soprattutto nero di capelli, l’autoctono preariano del suolo italico, che per il colore della sua pelle si distaccava, con la massima evidenza, dalla bionda razza dominante”.  La conclusione di Nietzsche è terrificante:  poiché la morale dei mali ha soppiantato la morale dei duoni, “oggi non esiste forse alcun segno più determinante della natura superiore, della natura più spirituale, che essere scissi…ed essere ancora realmente un campo di battaglia per quelle antitesi.  Il simbolo di questa lotta, espresso in caratteri che sono restati sino ad oggi leggibili al disopra di tutta la storia degli uomini è Roma contro Giudea, Giudea contro Roma”.
A questo punto, Nietzsche suggerisce una lucida definizione dell’umanità riscattata dal Dio d’Israele (“buono è chiunque non usa violenza, non reca danno a nessuno, non aggredisce, non fa rappresaglie, rimette a Dio la vendetta, fugge ogni malvagità, pretende poche cose dalla vita”) ma la usa per avvolgerla nel sospetto e oltraggiarla bestialmente, appiattendo lo splendore della bontà nell’impotenza e nell’ipocrisia:  “Noi deboli siamo decisamente deboli:  è bene che non facciamo alcuna cosa per la quale non si è forti abbastanza, ma questo crudo stato di fatto, questa prudenza d’infimo rango, che posseggono perfino gli insetti, grazie a quell’arte da falsari e quella mendacità dinanzi a se stessi che è propria dell’impotenza, si dà il pomposo travestimento della virtù rinunciataria”.  Per sfuggire ad un tale appiattimento non rimane altro che quell’imitazione delle virtù ariane che il Novecento ha conosciuto a perfezione.
Simone Weil, un’autrice empiamente pia e perciò buona per il lato destro e per quello sinistro della catastrofe moderna, professava apertamente il disprezzo per il Dio dell’Antico Testamento:  “Non sono mai riuscita a capire come uno spirito ragionevole possa considerare lo Yaweh della Bibbia e il Padre invocato nell’Evangelo come un solo e medesimo  essere” [8].
Gli spiritualisti disgregati e i comunitari solidali, che imperversano nei salotti televisi, dove si va in estasi fiutando e delibando il Sublime generosamente spruzzato negli scritti di Simone Weil, evidentemente giudicano trascurabile il fatto che la dichiarazione appena citata rinvia alla teoria dei catari, secondo cui Abramo, Isacco, Giacobbe e Mosè sono figure diaboliche ed emissari del deus iniquus.  Di conseguenza è lecito affermare che gli spiritualisti e i comunitari in carriera assolvono (si osa sperare inconsapevolmente) il vero ed unico preambolo dell’antisemitismo di sinistra e di destra [9].
All’inversone catara (e postmoderna) della pietà religiosa è inoltre associata una feroce inimicizia verso il creato:  l’odio cataro (in questo variamente imitato dal vivere per la morte dei nazisti e dalla contestazione dell’esistente dei sessantottini) s’indirizzava entusiasticamente contro la procreazione, detestata perché conseguenza e allegoria della creazione, e perciò giustificava e raccomandava, alla stregua delle ascesi mistiche, la sterilità volontaria nei rapporti coniugali, l’aborto procurato, l’infanticidio e le pratiche sessuali contro natura.
Francesco Zambon, un autore adelphiano, che non può essere sospettato d’intransigenza, ha dimostrato che, per i catari, l’uomo “creato in parte da Dio, in parte da Satana, miscuglio di bontà e di malignità, di verità e falsità, di essere e nulla”, è incapace di sciogliere il nodo di contraddizioni che lo soffoca:  “Per sfuggire a questa condizione, cui lo condanna la dimora in un corpo materiale, egli dovrà perciò distruggersi, troncare il nodo perverso di spirito e di carne che lo costituisce” [10].

Si può pertanto affermare, senza tema di smentita, che nell’orizzonte visionario dei catari era proiettato l’insano desiderio di devastare la società tradizionale mediante l’alterazione della sua cellula essenziale, e in ultima analisi, di causare l’uscita dal mondo e l’estinzione definitiva del genere umano.  Nella sua opera ultima, il defunto professore Elémire Zolla, un intellettuale di sinistra, che ha esplorato (beandosene) il sottosuolo ereticale e trasgressivo dell’ideologia moderna, disegna il profilo dell’autentica religione mortuaria, misticamente intenta alla distruzione del mondo:  una cultura che attribuisce al suicida la dignità del martire.  Con il fine palese di trascinare la tradizione cattolica nella fossa dei serpenti del masochismo, Zolla sosteneva che “l’accettazione della sofferenza inaudita propria del martirio equivale a un suicidio.  Il martire è un suicida  per mano di estraneo, anzi del massimo nemico” [11].
Ora, il fondamento di questa morbosa passione per il sarcofago è la identificazione (ricorrente nell’eresia gnostica e in quella catara) della beatitudine con lo zero metafisico.  Con sfoggio scodinzolante e grottesco della su accademica solennità, Zolla scriveva:  “All’origine, se vogliamo, si parte da un atto di mistica impeccabile, l’incontro tra il baratro Bythós e il silenzio assoluto Sighé.  L’ammutolimento dinanzi al precipizio è tutto ciò che sia lecito dire dell’inizio perfettissimo.  In seguito comincia l’allontanamento da questa perfezione:  allo spirito si aggiunge la psiche e la materia, demiurgo di questa creazione scellerata e rimescolante è Jalda baoth…Lo gnostico interpreta gli eventi come ritorni infiniti della cosmologia precedente” [12].
Va da sé che la passione mortifera, effusa dall’eresia catara nel Medioevo ed ora nel Postmoderno, non giustifica (a posteriori) gli eccessi dell’Inquisizione e tantomeno gli orrori della crociata condotta scelleratamente da Simon de  Monfort.  Occorre dunque riconoscere, senza riserve mentali e però senza bisogno di tuffarsi nella rugiada ecumenica dei buonisti, che la delittuosa e mondana spietatezza con cui Simon de Monfort represse i catari offende il sentimento cristiano [13],  giustifica la richiesta di perdono che a suo tempo avanzò Giovanni Paolo II.  Insieme con l’orrore dei posteri per il massacro dei catari, lo storico onesto dovrebbe però sforzarsi di uscire dalla gabbia neurologica, costituita dagli anacronistici pregiudizi dell’illuminismo, e comprendere anche il motivato sgomento e la giustificata indignazione, che colse la gerarchia cattolica e la maggioranza dei fedeli quando in Europa si diffuse un’eresia fanatica e spaventosa, che non si limitava a calunniare la creazione (attribuendola a Satana) e ad oltraggiare i santi dell’Antico Testamento, ma raccomandava e promoveva un’ascesi  forsennata, intesa nientemeno che al totale annichilimento della vita.  Si dovrebbe infine comprendere che l’eresia catara era giudicata più per il suo aspetto di crimine politico (di attentato alla integrità e alla sopravvivenza delle nazioni cristiane) che per il suo contenuto strettamente teologico.
Sui contenuti umbratili della dottrina catara, i documenti d’epoca non lasciano dubbi.  “La setta, l’eresia e gli smarriti seguaci dei Manichei – scriveva nel XIII secolo Bernard Gui – riconoscono e confessano due dèi o due signori, un Dio buono e un Dio malvagio.  Affermano che la creazione di tutte le cose visibili e materiali non è opera di Dio, il Padre celeste – quello che chiamano Dio buono – ma è opera del diavolo e di Satana, il Dio malvagio:  e lo chiamano infatti Dio maligno” [14].
Ora, la scissione della divinità in due princìpi eterni e irriducibili, produce necessariamente una disperante idea del destino universale, una visione che introduce il più cieco determinismo.  In uno dei trattati catari raccolti nel Libro dei due princìpi, infatti, l’esistenza del libero arbitrio è negata in forza di un ragionamento che attribuisce a Dio l’intenzione di creare angeli malvagi:  “La necessità di essere demoni e l’impossibilità di non esserlo ha preceduto l’esistenza degli angeli.  Era quindi assolutamente impossibile che essi non diventassero demoni e lo era soprattutto dal punto di vista di Dio, nella cui mente è presente tutto ciò che è stato, è e sarà…Ne consegue necessariamente che, dal punto di vista del Primo Fattore, tutto avviene per necessità” [15].
E ancora più chiaramente:  “[Dio] scientemente e con piena cognizione di causa ha creato i suoi angeli in una imperfezione tale per cui, nella sua mente, era impossibile fin dall’eternità che non bramassero la sua bellezza e grandezza.  Perciò bisogna concludere che gli angeli in questione non hanno ricevuto da Dio il libero arbitrio, grazie al quale avrebbero potuto evitare completamente la brama” [16].   
Alla luce del conclamato fatalismo, non stupisce  l’avvistamento, nella costellazione catara, di un fondamentale mito che il pensiero moderno ha tratto dalle antichità greche:  l’eterno ritorno dell’identico.  Francesco Zambon, infatti, cita un testo di Salvo Burci, dove, a proposito dei catari, si dimostra che “affermano che quando le anime saranno ritornate in cielo e saranno riunite nella resurrezione con i loro corpi e i loro spiriti, e quando gli angeli del Dio malvagio, rimasti per combattere, saranno precipitati in basso, incomincerà ancora una volta il combattimento.  Adhuc incipietur proelium.  Anche se il vero Dio sarà sempre vincitore, nulla potrà mettere fine alla guerra eterna fra il bene e il male” [17].
Per sciogliere il nodo della scandalosa anomalia, rappresentata dal regresso dell’avanguardia moderna all’eresia medievale, è necessario rammentare che un atto della pura volontà, incamminandosi verso il radioso ateismo, può facilmente immaginare un mondo senza principio, mentre nel cammino della ragion atea s’incontrano scorbutiche e insormontabili difficoltà.  Ad esempio l’impossibilità di far quadrare il principio d’immanenza con le leggi della ragione codificate dal caparbio Aristotele, che aveva intravisto la verità del teismo considerando la struttura contraddittoria e paradossale del mondo descritto dagli atei.
Nessuno ha finora escogitato una formula atta ad impedire che il mondo senza un saldo principio deragli in quella confusa e angosciante fantasticheria, che ha il nome (ultra-antico e perciò postmoderno) di eterna ripetizione dell’identico.  Un’allucinazione, l’eterno ritorno, scaturita dalla perfetta gratuità:  in un frammento del 1885, Nietzsche non esita a dichiarare che l’idea dell’eterno ritorno costituisce il fondamento di un fideismo capovolto.  A ben vedere il mito dell’eterno ritorno perfeziona tutti gli ateismi moderni, sostituendo la causa prima con l’idea illogica del circolo vizioso, circulus vitiosus deus.
Negli anni che prepararono la catastrofe mentale del Sessantotto, Pierre Klossowski, studioso di Nietzsche e coerente teorico dell’ateismo radicale, aveva, infatti, ammesso senza riserve la refrattarietà della ragione all’ateismo, annunciando l’inabissamento del ciclo antropocentrico nel delirio arcaicizzante intitolato all’eterno ritorno e alla tragica risata di Nietzsche.
Klossowski ha annunciato alla sparuta modernità, che la mitologia dell’eterno ritorno, ultimo guizzo del secolo illuminato e catastrofica spiaggia dell’illusione antropocentrica, è “concepita come un simulacro di dottrina il cui stesso carattere parodistico dà conto dell’ilarità come attributo dell’esistenza sufficiente a se stessa”.
Se non che l’immotivata ilarità dell’ateo radicale, lacera il tessuto dell’intelligenza ed è perciò paragonata, da Klossowski, “all’angoscioso struggimento dell’infermo che pensa la salute, del martire che assiste al tramonto del proprio ideale, dell’eroe la sera della battaglia che non ha deciso nulla” [18].
A questo punto Klossowski, dopo aver citato Max Stirner (“ho fondato la mia causa sul niente”) può concludere affermando che Dioniso, “figura suprema dell’incessantemente possibile, libererà l’uomo dal suo attuale nichilismo”.
Il ciclo dell’ateismo moderno, dunque, si conclude nel punto esatto in cui era finito l’ateismo antico:  nella pretesa, denunciata a confutata da Aristotele nel IV libro della Metafisica, dove si attribuisce ad Anassagora la pretesa di risolvere la questione intorno all’essere e al nulla mediante il discorso intorno al possibile.  Cercata a partire dal rifiuto della causa prima, la liberazione progettata dai moderni è naufragata nel mare delle insanabili contraddizioni dei presocratici e delle tempeste sessantottine.  Ora non c’è dubbio che la teologia catara sia il perfetto contenitore delle contraddizioni insolubili, che s’incontrano nel cammino del pensiero verso l’orizzonte ateo. 
L’ossessione del destino e l’ostilità tassativa alla vita nella materia sono incompatibili con il presupposto finalistico, che è indispensabile alla vera morale.  È dunque lecito affermare che, prescindendo dalle disposizioni interiori dei singoli praticanti, la religione catara è strutturalmente inclinata all’immoralità.
Non a caso il sentimentalismo cortese, che i romantici ammiravano nella tradizione catara, proclamava l’illiceità di un rapporto fecondo tra coloro che avevano contratto il vincolo sacro del matrimonio ma non condannava con uguale forza i rapporti carnali sterili consumati fuori dal matrimonio.  Evidentemente la sublimazione lirica dell’amor sovrano non è altro che la maschera imbellettata dell’obituarismo, che impazza nella società dell’eresia.
Scrive Guiraud:  “La negazione della famiglia era la conseguenza logica della loro concezione pessimistica del destino umano.  Se infatti, come insegnavano, la vita era il più grande dei mali, non bisognava accontentarsi di distruggerla in se stessi col suicidio o col nirvana, occorreva ancor più guardarsi dal comunicarla a nuovi esseri [19].        
Nell’eresia catara si trovano pronte all’uso le idee oggi costitutive del libero amore, dell’erotismo in tutte le direzioni, dell’abortismo sacrificale e del feticismo per il preservativo.  Ma l’elenco delle strane analogie non è ancora completo:  per motivi esclusivamente propagandistici i Catari coniugavano il rigido disprezzo per la vita con l’ostentazione del loro aspetto poveristico e delle loro opere di misericordia corporale.  Una perfetta ipocrisia, dal momento che la loro teologia antivitale escludeva a priori la solidarietà diretta al corpo creato dal dio iniquo.  A questo proposito Guiraud, dopo aver citato la testimonianza di san Domenico – “grazie alle loro ingannevoli apparenze di povertà ed ai segni esteriori d’austerità persuadono i semplici” – sottolinea che i perfetti o purissimi “si guadagnavano il popolo rendendogli i servizi che meglio potevano conquistarlo” [20].
Nella teologia dualistica dei catari si trovano, infine, gli elementi costitutivi della dottrina che attribuisce l’amore al secondo dio – al dio antagonista – la giustizia al Dio della Bibbia e perciò suggerisce la pratica della non-violenza:  “Anarchici i catari lo erano veramente quando negavano alla società il diritto di difendersi dai nemici interni ed esterni, dai malfattori e dagli invasori” [21].
Ai nostri giorni questo stato d’animo si riproduce nel discorso di Massimo Cacciari sul katechon, al quale fa da eco il fracasso dei centri sociali, dove si celebra lo sposalizio dell’anarchismo con la religione ecumenica, deragliata nel pensiero di Gandhi.  L’ideologia dei centri sociali, che è stata magnificamente analizzata da Siro Mazza [22], riprende alla lettera lo schema dell’eresia utopica e purissima, e dichiara, insieme con il furente odio al Creatore, la sua intenzione di distruggere l’esistente per instaurare l’obitorio dell’anarchia totale [23].
Si spiega in tal modo lo scatenamento ultimo di una guerra terroristica contro la tecnica e lo sviluppo dell’economia [24].  A prima vista sembra che l’endura catara sia diventata la stella cometa della rivoluzione.  In realtà l’utopia del nulla è inscritta nel codice genetico delle rivoluzioni moderne.  Tutti i passaggi della prassi utopista e comunista scientifica sono in armonia con la metafisica del consumismo alla lettera.
Dato il presupposto consumistico, non c’è dubbio che la felicità totalitaria sia realizzabile solo per mezzo d’un progressivo impoverimento di quei beni, che, in quanto tali, sono giudicati causa dell’alienazione divina nella molteplicità degli enti.
Il paradosso della logica consumistica si traduce spontaneamente nel pauperismo, nella parodia della povertà evangelica.
La rovente polemica condotta da sinistra contro i consumi edonistici, punta con decisione ad un consumismo doloristico e tombale, propriamente cataro.  In questo finale svelamento della felicità comunista, consiste l’esito tragicomico del mondo moderno.
A ben vedere nessun utopista è mai sfuggito alla feroce logica di Albi.  Uno dei più arroventati visionari d’Utopia, l’eterodosso abate benedettino Deschamps [25], corrispondente di Rousseau e precursore di De Sade, Fourier, ha descritto il paradiso (ateo) in terra, il comunismo perfetto, come una macchina totalizzante idonea ad impoverire, svuotare e disintegrare tutti i beni materiali.
Il suo allucinato discorso pauperistico costituisce, ancor oggi, un’esposizione esemplare del nichilismo maniacale, che regge tutti gli incubi del genere utopiano.  Il possesso delle donne è causa di invidia e di contese?  La soluzione del problema è facilissima.  Posto che non si può dare a tutti una bella Elena, Deschamps immagina un regno in cui le donne siano di tutti, come in un bordello giustizialista.  In tale modo l’amore è impoverito e degradato? Il deludente risultato non frena lo slancio del riformatore, appagato dall’ipotesi livellatrice, che non consente a nessuno di dirsi più felice degli altri [26].


Piero Vassallo


[1] Il Libro dei due principi è stato recentemente pubblicato, insieme con alcuni altri trattati e rituali catari risalenti al XIII secolo, a cura di Francesco Zambon, cfr.:  La cena segreta, Adelphi, Milano, 1997.
[2] Jean Baptiste Guiraud, Elogio dell’Inquisizione, Leonardo, Milano, 1996.
[3] In questo caso l’aggettivo “rivoluzionario” ha il significato che gli attribuiva lo scrittore gnostico René Guénon:  indirizzo di un movimento iniziatico verso il pensiero e la condizione dell’umanità primordiale, cioè tendenza a ricostruire la presunta sapienza delle origini.
[4] L’influsso gnostico nella teologia dei catari d’Occitania fu esercitato per il tramite di due eresie di stampo manicheo, che erano diffuse nella penisola balcanica tra il VII e il XII secolo:  paulicianesimo e bogomilismo.  L’accostamento dell’eresia catara allo gnosticismo è stato compiuto per la prima volta dall’occultista Déodat Rochée, ispiratore di Simone Weil.  Al riguardo, cfr. La Introduzione  di Francesco Zambon a La cena segreta, op. cit., p. 20 e p. 35, dove l’Autore afferma che l’eresia dei bogomili “aveva attecchito anche in Europa occidentale, contribuendo in maniera determinante alla nascita del catarismo”.   L’eresia catara è anche al centro della riflessione filosofica del movimento nazista e delle S.S. in particolare.  Al riguardo:  Otto Rahn, Crociata contro il Graal, Barbarossa, Saluzzo, 1979.  L’opera di Rahn era stata commissionata da Heinrich Himmler, fervente ammiratore della tradizione catara.
[5] Non si deve però dimenticare che Marx sostenne sin dal 1845 che il fine della rivoluzione comunista era l’abolizione del potere statale, idea cui il teorico dell’anarchia Bakunin aderì solo nel 1866.
[6] Francesco Zambon, nella Prefazione a La cena segreta (op. cit., p. 90) afferma senza difficoltà che il pensiero cataro è collegato “ad un’esperienza strettamente iniziatica, modellata sulle iniziazioni proprie dei misteri antichi e della gnosi neoplatonica e cristiana”.
[7] Analoga suggestione dualistica è diffusa da Charles Baudelaire.  Al proposito cfr. il saggio di Roberto Esposito, Due:  amore e violenza in Baudelaire, pubblicato in ‘Micromega’, 5, dic. 2002.
[8] I Catari e la civiltà mediterranea, Marietti, Genova, 1996, p. 43.  Peraltro il rifiuto dell’identità ebraica da parte della Weil è categorico:  “Non mi considero ebrea, non sono mai entrata in una sinagoga, sono stata allevata senza alcuna pratica religiosa, non ho alcuna attrazione verso quella religione, sono stata nutrita fin dalla prima infanzia nella tradizione ellenica”.  Cfr. Jean Marie Müller, Simone Weil, Torino, 1994.  Non per niente Emanuel Levinas, nell’opera della Weil non vedeva altro che l’odio per il popolo di Israele.  Zambon, op. cit., p. 21, sostiene che “questa critica al Vecchio Testamento è uno dei temi fondamentali della riflessione di Simone Weil sul cristianesimo:  lo riprese anche in quella summa testamentaria delle sue idee religiose che è la Lettre à un religieux”.  
[9] Francesco Zambon, op. cit., p. 54.
[10] Op. cit., p. 60.
[11] Cfr. Discesa all’Ade e resurrezione, Adelphi, Milano, 2002, p. 41.  “Non ragionerò”, dichiarava in piena effervescenza Elémire Zolla (nell’aureo libretto Le tre vie, immancabilmente edito da Adelphi).  Il programma del defunto professore, infatti, contemplava l’uscita dall’Occidente cristiano, cioè dal dominio della razionalità e dell’etica, “regime desolante e spettrale”, che “scinde male da bene, suscita la dualità che riduce tutto a opposizione e guerra, precipita la caduta che separa l’uomo dall’integrità”.
[12] Cfr. Discesa all’Ade e resurrezione, cit., p. 43.
[13] Sulla sensibilità moderna, che è stata capace di classificare olocausti imperdonabili separandoli dagli olocausti trascurabili, sono invece lecite le più ampie riserve.  Il fatto è che la coscienza moderna deplora l’antico sterminio dei catari ma non reagisce alla notizia dei continui massacri di cristiani d’età contemporanea.
[14] Francesco Zambon, op. cit., p. 51.
[15] Op. cit., pp. 236-237.
[16] Op. cit., p. 171.
[17] Op. cit., p. 78.
[18] Cfr. Nietzsche, il politeismo e la parodia, Se, Milano, 1999, p. 70.
[19] Jean-Baptiste Guiraud, Elogio dell’Inquisizione, Leonardo, Milano, 1996, p. 43.  Come ha dimostrato Julius Evola nel saggio sulla metafisica del sesso, nel rifiuto categorico della fecondità, la teologia catara è analoga alla teologia dell’India shivaita e tantrica.
[20] Op. cit., p. 47.  Circa il solidarismo cataro, cfr. anche Storia della Chiesa, vol. X, La Cristianità Romana, di A. Fliche, Ch. Thouzellier e Y. Azaïs, SAIE, Torino, 1976, p. 154 ss.
[21] Jean-Baptiste Guiraud, op. cit., p. 51.
[22] Strategia del Caos No Global:  chi li ispira e chi li manovra, Koiné Nuove Edizioni, Roma, 2002.
[23] Al riguardo, cfr. Maurizio Blondet, D’Alema è un comunista, in ‘Certamen’, n. VII, luglio 1996.
[24] Al riguardo cfr. Maurizio Blondet, Complotti I, Il Minotauro, Milano, 1995; F. Scisci e P. Dioniso, La Piovra Gialla. La mafia cinese alla conquista del mondo, ed. Liber, Macerata, 1994, dove si sostiene, con ampia documentazione, che le Triadi (associate alla Supermassoneria) hanno il controllo del mercato dell’eroina ed usano l’enorme capitale così accumulato per diffondere miseria ed instabilità nelle nazioni cristiane dell’Occidente.  Il fine dichiarato dalle Triade è la distruzione della Chiesa cattolica.
[25] Per quanto concerne il pensiero di Deschamps, si fa riferimento ai saggi ancora inediti di Celso Destefanis e Agostino Sanfratello.
[26] Molto opportunamente Giovanni Paolo II, quando visitò la Francia vandeana,  insistette sulla sacralità dell’uso consacrato e vitale della sessualità:  la dottrina che sintetizza la superstizione mortuaria e la sensualità sfrenata è un’espressione coerente e distruttiva dello spirito dell’Anticristo.

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