venerdì 1 gennaio 2016

La segreta causa dell'insignificanza culturale a destra

“Non esiste possibilità di conciliazione tra la filosofia evoliana e il Cristianesimo, tra il cattolicismo di Evola e il cattolicesimo cristiano, che perseguono due itinerari contrastanti”.
 Gian Franco Lami

 Nell'appendice a La folgore di Apollo, raccolta di saggi su Evola, scritti con competenza da Roberto Melchionda e riproposti, a cura del sagace Rodolfo Gordini, in una collana di Cantagalli editore in Siena, sono pubblicate alcune magistrali lettere scritte da un allievo di Augusto Del Noce, il compianto Gian Franco Lami, e indirizzate all'illustre interprete del pensiero tradizionista.
 Il fine perseguito dallo studioso romano era svelare le debolezze e le incongruenze dell'esoterismo, in fumosa, intossicante, inarrestabile circolazione negli ambulacri affollati dai riformatori della proibita cultura fascista.
 Intento a promuovere la disintossicazione dal magismo, in sfrenata circolazione negli ambienti del post-fascismo, Lami giudicava indispensabile ridimensionare l'autorità di Evola e perciò dichiarava apertamente “per come la penso io, un Evola, inserito nel panorama della filosofia contemporanea, è un minore”.
 Il travolgente/incapacitante/devastante successo dell'evolismo nella fragile area destra, oltre che allo stile squillante/incantante/intrigante, si doveva al complice silenzio calato sull'aperta dichiarazione di ateismo, leggibile (ad esempio) nelle pagine roventi di Cavalcare la tigre. Professione che ha azzerato il vantato tradizionalismo e ha abbassato Evola alla figura di un bizzarro, implicito alunno del mondo moderno (quale fu nella rovente giovinezza dadaista).
 Associata all'ateismo circolava la grottesca teoria evoliana intorno ai rapporti sessuali consumati con mille (1000!) diverse giovani donne, atti necessari (secondo la scolastica neopagana) all'acquisto della suprema saggezza (e di una malattia sessuale, secondo la testimonianza di Clemente Graziani, che aveva consultato la desolata cartella clinica del barone).
 Fuori dalla nube d'incenso destro, Evola è un pensatore in aperto e dichiarato conflitto con la verità cattolica e con le avanguardie fasciste, rappresentate da Arnaldo Mussolini, Francesco Orestano, Carlo Costamagna, Balbino Giuliano, Armando Carlini, Carmelo Ottaviano, Niccolò Giani e Guido Pallotta.
 L'osservatore che non teme il rischio dell'apparente paradosso, può affermare in tutta tranquillità che l'evolismo ha inquinato, alterato e depistato la cultura della destra italiana, inducendo i suoi interpreti a rifugiarsi ultimamente nel vuoto mentale di Fini & Bocchino, gli emigranti nel salotto quirinalizio, in cui il polo escluso si è appiattito e accasciato sulla pittoresca sagoma del nulla squillante nei pistolotti de noantri.
 Opportunamente Lami, in una delle lettere indirizzate a Melchionda, ha svelato la obliqua dipendenza del pensiero evoliano dall'ateismo di sinistra, professato da Adriano Tilgher (1887-1941) e si è domandato “Come fare a passare in silenzio la filosofia della storia di Evola, il suo violento antiprogressismo, da cui sembra provenire la sua critica a Croce?”
 D'altra parte Lami ha dimostrato che il pensiero evoliano corre sul filo di una oscillazione/elusione perpetua: “Evola mi sembra cattolico, pur non essendo cristiano, ed è filosofo della razza, della individualità, della personalità e della idealità, senza essere razzista, individualista, personalista e idealista”.
 Entrando nel groviglio delle squillanti contraddizioni evoliane, Lami ha dimostrato che del senso logico Evola “sapeva molto o poco in maniera niente affatto esaustiva. Direi addirittura che l'aspetto migliore del modello evoliano consiste nell'aver contribuito a minimizzare il principio di non contraddizione e nell'aver collaudato personalmente che si può tranquillamente convivere con il paradosso assurto a valore”.
 Non aveva dunque il torto Giano Accame, quando riconobbe e sostenne (contro la impettita direzione del Borghese) la stretta parentela di Evola con l'irrazionalismo del francofortese Herbert Marcuse.
 In sintonia con il giudizio sull'ascendenza idealistica (schellinghiana) dell'evolismo, formulato da Francisco Elias de Tejada nel 1974, Lami sostiene che, durante gli anni Trenta, “nell'area germanica, già predisposta da una consuetudine di studi che ha per capostipite l'ultimo Schelling, il metodo tradizionale ebbe presto buona eco presso la scuola di Othmar Sapann e di Walter Heinrich, collaboratori con Evola della rivista Lo Stato”.
 Di qui l'ironica conclusione di Lami: “Direi addirittura che l'aspetto migliore del modello evoliano consiste nell'aver contribuito a minimizzare il principio di non contraddizione e nell'aver collaudato personalmente che si può tranquillamente vivere con il paradosso assurto a valore. … Forse sarà una mia impressione sbagliata, forse sarà quell'insistere evoliano sui percorsi iniziatici di tradizioni lontane dalla nostra, ma, alla fine, l'apertura del suo occhio interiore la vedo come un processo poco medi(t)ato”.
 In definitiva Lami condivide il giudizio, formulato sui disvalori della destra colonizzata e asiatizzata dagli evoliani.
 L'emigrazione dei pensieri evoliani nelle raffinate ridotte dell'esoterismo turbava i redattori dell'Osservatore romano, che attribuivano ad Evola “spropositi e aberrazioni”.

 La scoperta della stranezza circolante nell'opera evoliana ha liberato la destra dalle paralizzanti fantasticherie ario-indo-nipponiche e ha posto l'obbligo (non ancora seriamente obbedito e forse non perfettamente compreso dagli scappati dalla casa destra) di risalire alle fonti della autentica tradizione nazionale. Un cammino in salita, vista la fragilità della classe dirigente scampata alla distruzione finiana ma seriamente minacciata dalla rapida ascesa del convincente leghista Matteo Salvini.

Piero Vassallo

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