sabato 31 ottobre 2015

Genova, la superbia è una madre sempre incinta

 Unica certezza le macerie”. Sono le parole usate dal quotidiano della Santa Sede per definire il bilancio dell'attività biennale dell'ex sindaco di Roma, il genovese Ignazio Marino, “un sindaco narciso, forse troppo pieno di sé”.
 Un figlio della città, che ha per titolo un vizio capitale, la cieca superbia, diventa protagonista ed emblema (continua l'editorialista dell'Osservatore romano) di una vicenda politica “che sta assumendo i contorni di una farsa”.
 La superbia è un ridicolo, umiliante vizio. I sontuosi, superbi coriandoli che da Genova, cartiera specializzata, volano a Roma, per mettere in scena la politica interpretata dall'imitatore del corazziere Renato Rascel, sono le carte d'identità di una cittadinanza  rinomata per le insurrezioni immaginarie e/o maramaldesche e per l'incensamento  di rivoltosi sedicenti.
 Va da sé che la malattia genovese è il superbo sinistrismo, in paradossale, rovinosa circolazione nelle classi sedicenti alte.
 Il paradosso della città partita si legge nel nobile cognome, Doria, del sindaco comunista. Figlio del comunista Giorgio Doria – già democristiano e collaboratore della rivista del cardinale Siri, Renovatio – Marco Doria rappresenta la crema della Genova chic: brillante studente nel liceo Doria, si laurea in lettere e in storia moderna, prima di diventare professore nella facoltà di economia e commercio. E' stato eletto sindaco grazie al sostegno del partito di Niki Vendola e del Pd.  
 Il sindaco dell'infelice Genova desta la memoria di un nobile sognatore, il rivoluzionario Nicolas de Condorcet, nobile francese che finì in carcere per aver tentato l'impossibile moderazione del movimento giacobino.
 Padre di famiglia e studioso autorevole e apprezzato, Marco Doria rappresenta l'avallo della signorilità e della cultura ufficiale a un movimento indirizzato, dalla cancerogena suburra radical-chic, al degrado sodomitico della società italiana. Un degrado che (non va dimenticato) è promosso dai poteri californiani.
 Esente dalle manfrine grottesche di Ignazio Marino ed indenne dai fumi tossici emanati dal surreale dialogo della nichilista Emma Bonino con il mondo sedicente cattolico, il sindaco Doria è tuttavia (incolpevole) prigioniero della cricca sodomitica infuriante nell'Italia post-cristiana.
 La verità nascosta dagli incessanti fumi mediatici contempla la classe dirigente del disciolto partito comunista, che, archiviato il culto della personalità di Stalin, è stata rovesciata a viva forza nel culto del vespasiano radical chic.
 L'ira del Vaticano contro il comunista genovese Marino è appunto motivata dall'apertura della nuova sinistra ai matrimoni di stampo radicale.
 Di conseguenza Genova, in quanto madre di Marino e capitale morale della sinistra gay, si è trasformata nel motore inconsapevole (cioè demente) della sodomia, che avanza a tutta gallara.


 Piero Vasallo

giovedì 29 ottobre 2015

IL BENE PUBBLICO VENDUTO AL MERCATO (di Piero Nicola)

  La più recente cessione di servizio pubblico al mercato azionario è stata quella delle Poste. Come per altre vendite o svendite di beni dello Stato, cioè dei cittadini, ministero e mezzi d'informazione pervicaci sostenitori del governo, hanno inneggiato alla benefica privatizzazione. La politica delle privatizzazioni è un raggiro ai danni del popolo, che viene abbindolato con la presunta efficienza, per generale utilità, delle società anonime nel condurre industrie e servizi di preminente interesse sociale, dei quali la comunità era proprietaria o che sarebbe giusto lo fosse.
  Quanto alle privatizzazioni di branche economiche prima gestite dall'amministrazione comunale o regionale, è evidente che l'utile ricavato dalle imprese acquirenti o appaltatrici aumenta la spesa, rispetto a una corretta e diretta gestione dell'ente pubblico. La specializzazione e l'attrezzatura di quelle ditte solo in certi casi giustifica il ricorso ad esse.
  D'altronde, se esiste una sorta di legge antimonopolio e una parvenza di sua applicazione, le grandi Spa sono in mano alla finanza internazionale, da cui dipendono anche gli amministratori delegati, che hanno facoltà pressappoco illimitate.
  Oltre la perdita della moneta nazionale, con tutte le sciagure che ne conseguono, abbiamo il depauperamento del patrimonio della cittadinanza e occasioni ulteriori di corruttela con le attività date in appalto dagli Enti Pubblici; abbiamo la licenza di sfruttamento operato dal capitalismo apolide, il fallimento (anche strumentalizzato) di industrie che potrebbero essere salvate dallo Stato, salvando bensì l'occupazione. Infatti l'IRI ha quasi smesso il suo ufficio di provvidenza nazionale, dagli anglosassoni chiamata welfare, del quale l'Italia fu la migliore attuatrice, anche con l'INPS e con gli altri Enti previdenziali e assicurativi esenti da scopo di lucro.
  Se non bastasse l'alienazione delle funzioni della Res Publica e dei suoi averi, si tende a trasferire a società assicurative le provvidenze da essa garantite ai lavoratori. Si ripete, in questo campo, il regresso sopra denunciato. Si trasmette a Spa la facoltà di lucrare sul lavoro e sulla salute dei dipendenti. Le Casse pensione o infortunio e malattia dei dipendenti pubblici o privati, costituite nei rispettivi ambiti delle col vincolo dei contributi obbligatori e del controllo statale, vengono sminuite a vantaggio di compagnie assicurative, che offrono minori garanzie e fanno i propri interessi.
  Tutto questo in nome di un liberalismo immorale, già definito col termine ingannevolmente elogiativo di deregulation, che introduce un abominevole mercato del lavoro, ossia l'eliminazione del posto fisso e del contratto a tempo indefinito.
  La precarietà del lavoro (caratteristica della società americana, anche priva di una generale assistenza pubblica sanitaria) è presentata come una conquista del progresso economico e civile. Questa impostura vanta qualcosa che è causa primaria d'insicurezza, di disoccupazione, di trasferimenti e sradicamenti, d'impedimento alla formazione delle famiglie e di forte diminuzione delle nascite. Il vantaggio d'avere a disposizione lavoratori più diligenti ed efficienti, grazie a una più agevole licenziabilità, potrebbe ottenersi con una giusta disciplina, che regoli legalmente i rapporti tra imprenditoria e prestazione d'opera, con una magistratura del lavoro che dirima le controversie, con una legge che potrebbe altresì rendere illeciti sia lo sciopero sia la serrata.
  Se i costumi sono corrotti, lo saranno tanto per la tolleranza dei fannulloni quanto per lo sfruttamento dei bravi dipendenti, sia che le nuove leggi lo favoriscano, sia in barba alle leggi eque.
  Ma questa dei costumi è un'altra faccenda.

Piero Nicola

mercoledì 28 ottobre 2015

Una curiosa leggenda: Mameli autore dell'inno nazionale

 Un'ostinata, patriottica leggenda attribuisce al garibaldino Goffredo Mameli (1827-1849), genovese di origine sarda  l'onore e il merito di aver scritto (a vent'anni) le parole dell'inno nazionale.
 In realtà il testo dell'inno nazionale fu scritto dal padre scolopio Atanasio Canata,  elegante scrittore e dotto insegnante nelle scuole pie di Carcare (Savona) frequentate dal mediocre studente Mameli.
 I versi dell'inno nazionale, lo dimostra don Ennio Innocenti, “non soltanto risultano sproporzionati per cultura, per una certa quale complessità e per tecnica prosodica, da un diciannovenne Goffredo, per di più ignorantello e alquanto rozzo”.
 La mediocrità e la rozzezza del poeta Mameli, risulta, peraltro dai goffi componimenti anticlericali, composti per essere cantati nelle osterie frequentate da mazziniani s garibaldini.
 L'attribuzione dell'inno nazionale a Mameli si deve a un banale equivoco e a una debolezza del giovanissimo Goffredo, che non seppe rifiutare la fama ottenuta quale autore (presunto) dell'inno patriottico.
 Il padre calasanziano Canata non denunciò il plagio compiuto dal giovane allievo, caduto a Villa Spada, dopo essere stato ferito dalla baionetta di un maldestro commilitone. Ma nel 1889 pubblicò  un componimento poetico, in cui accennava, in forma non troppo enigmatica, alla imbarazzante vicenda dell'appropriazione dell'inno da parte di Mameli:

A destar quell'alme imbelli
meditò robusto un canto
ma venali menestrelli
si rapian dell'arpe il vanto:
sulla sorte dei fratelli
non profuse allor che pianto
e, aspettando nel suo cuore
si rinchiuse il pio cantore,

 L'erronea attribuzione dell'inno nazionale a Mameli è opportunamente rammentato da don Ennio Innocenti, in un puntuale capitolo della nuova edizione di Inimica vis, uscito dai torchi in questi giorni e distribuita dalla Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, un testo sul quale torneremo a ragionare prossimamente.
 Scrive don Innocenti: “Nel settembre del 1847 il canto fu presentato da Ulisse Bronzino al compositore genovese Michele Novaro in una riunione di patrioti tenuta a Torino nella casa di Lorenzo Valerio  con le precise parole Questo te lo manda Mameli e non è di Mameli”.
 Ora la questione del testo dell'inno nazionale non può essere ridotto a questione puramente letteraria in quanto la dimostrata attribuzione a Don Canata conferma la perenne esistenza di un forte e diffuso sentimento unitario dei cattolici.
 L'amor di Patria e l'aspirazione all'unità infiammò il cuore dei grandi protagonisti della storia cattolica, da San Gregorio VII (primo autore della sconfessione dell'impero di nazione germanica), a Dante Alighieri, a Francesco Petrarca, a Giambattista Vico, al Beato Pio IX, ad Antonio Rosmini, ad Alessandro Manzoni a Pio XII. Memorabili sono altresì le eroiche insorgenze popolari dei Viva Maria!i contro gli invasori giacobini e napoleonici.
 L'unità d'Italia deve essere amata e difesa dai credenti malgrado l'infiltrazione in essa della sciagura massonica e del veleno liberale, perché l'unità nazionale non sarebbe stata ottenuta senza la decisiva partecipazione dei cattolici. Il nodo, il cappio che i cattolici italiani devono scogliere la è la truffaldina storiografia massonica, nella quale si specchiano degnamente figure dello stampo del boia Enrico Cialdini, dell'ammiraglio Carlo Persano, del generale  Fiorenzo Bava Beccaris e del maresciallo Pietro Badoglio.
 In ultima analisi si tratta di separare l'acerba passione garibaldina di Goffredo Mameli dal patriottismo dell'inno di Anastasio Canata, le ragioni cattoliche dell'unità d'Italia dalla surrettizia eversione liberale, la tradizione italiana dalla canaglia liberale, che si mise al traino del patriottismo. 

 L'amor di patria deve essere separato dal disprezzo meritato dagli eversori liberali, che cavalcarono l'aspirazione all'unità in vista di un paese umiliato dalla canaglia (ladrona) laicista e massonica. I padri delle festanti pantegane, che in questi giorni escono squittendo dalle fogne pederaastiche, scavate dalla trivella radical chic.

Piero Vassallo

martedì 27 ottobre 2015

NOTE SULLA RELAZIONE DEL SINODO (di Piero Nicola)

Mi limito al fatto dell'ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati e in generale degli adulteri e dei concubini notori (gli altri falli commessi riguardando: l'eresia della naturale disposizione del genero umano alla salvezza, ovvero un germe di grazia salvifica in tutti; la giustizia dei poteri politici vigenti; il concetto di gender; la validità delle false religioni e culture in ordine alla salvezza; il regime dei matrimoni misti o con infedeli; la funzione missionaria e pastorale della famiglia cattolica; l'omissione della condanna, dell'ammonizione e altre gravi omissioni, specie riguardo alla grazia e ai sacramenti; l'abolizione del marito capofamiglia; ambiguità circa l'amore coniugale; l'abolizione del primo fine del matrimonio; ambiguità circa la pianificazione familiare; il parallelo tra famiglia cristiana e Trinità; presenza e funzione della donna nella formazione dei sacerdoti, la pena di morte, ecc.)
  Ecco i passi riguardanti la prima faccenda:
  "Desideriamo prestare ascolto alla loro [dei membri familiari] realtà di vita e alle loro sfide, ed accompagnarli con lo sguardo amorevole del Vangelo".
  "Desideriamo accompagnare le famiglie [...] dando loro coraggio e speranza a partire dalla misericordia di Dio".
  "Occorre accogliere le persone con comprensione e sensibilità [sempre omessa l'autorità del ministro di Cristo e l'ammonizione fraterna] nella loro esistenza concreta, e saperne sostenere la ricerca di senso [omesso lo scopo della vita, eventualmente da insegnare]".
  "Nell'ottica della fede non ci sono esclusioni: tutti sono amati da Dio e stanno a cuore all'agire pastorale della Chiesa".
  Pur riconoscendo il sacro vincolo del matrimonio, essendovi "rottura" del vincolo: "senza sminuire il valore dell'ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita [vaghezza e omissioni inaccettabili] delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno [...] A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell'amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona [ignorata la dottrina della grazia]".
  "Sappiano i pastori che, per amore della verità sono obbligati a ben discernere le situazioni. (FC, 84)".
  "Sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione".
  Cristo illumina "la cura pastorale della Chiesa verso i fedeli che semplicemente convivono o che hanno contratto matrimonio soltanto civile [concubini] o sono divorziati risposati [adulteri]. La Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo imperfetto: invoca con essi la grazia della conversione, li incoraggia a compiere il bene, a prendersi cura con amore l'uno dell'altro e a mettersi al servizio della comunità nella quale vivono e lavorano".
  "Nelle Diocesi si promuovano percorsi di discernimento e coinvolgimento di queste persone, in aiuto e incoraggiamento alla maturazione di una realtà consapevole e coerente. Le coppie devono essere informate sulla possibilità di ricorrere al processo di dichiarazione della nullità del matrimonio".
  Se i concubini o gli adulteri sono pubblici (come appare inevitabile, perché ammessi nella comunità ecclesiale), la cura delle loro anime dovrebbe essere manifesta onde evitare lo scandalo; ma ciò è oggetto di omissione.
  Circa l'annullamento del matrimonio, il nuovo processo stabilito da Bergoglio è inammissibile,  con ragione può chiamarsi divorzio cattolico. Ne fanno fede autori come Roberto De Mattei.
   "Quando l'unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico [...] può essere vista come un'occasione da accompagnare verso il sacramento del matrimonio, laddove questo sia possibile". Per questi casi "è molto cresciuta la consapevolezza che è necessaria una fraterna e attenta accoglienza [...] verso i battezzati che hanno stabilito una nuova convivenza dopo il fallimento del matrimonio sacramentale; in effetti, queste persone non sono affatto scomunicate" (Bergoglio, 5.8.2015).
  Si introduce l'immorale criterio per cui le circostanze che diminuiscono la colpa e il danno del peccato grave (concubinato, adulterio) lo renderebbero altra cosa: se ne potrebbe considerare veniali la colpa e il danno.
  Infatti, adulteri e concubini sono"coloro che hanno smarrito la rotta e si trovano in mezzo alla tempesta".
  Si insiste sul "discernimento pastorale delle situazioni".
  Il concubinato di vario genere va "affrontato in maniera costruttiva, cercando di trasformarlo in opportunità di cammino di conversione verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo".
  I concubini possono aspirare a formare una famiglia "aperta al bene della comunità ecclesiale e all'intera società".
  Il Battesimo di "persone che si trovano in una condizione matrimoniale complessa" può darsi col "discernimento pastorale commisurato al loro bene spirituale".
  Con qualsiasi tipo di famiglia: starle accanto e, secondo i casi: ascoltare in silenzio; indicare la via; seguire, sostenere e incoraggiare.
  "Arte dell'accompagnamento".
  "I recenti Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus hanno condotto a una semplificazione delle procedure per la eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale".
  "I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo [e come?]. La logica dell'integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiamo che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possono avere una gioiosa esperienza [...] Lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi [essendo costoro in peccato mortale e privi della Grazia!] per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate nell'ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate [...] possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa".
  "I pastori [...] sono obbligati a discernere le situazioni". Considerare "quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente" e "coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli [un'azione intrinsecamente cattiva non si giustifica col perseguimento d'un bene qualsivoglia!] e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido". Quindi, "accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento".
  "Il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare a un giudizio sulla 'imputabilità soggettiva'".
  Questo principio distrugge il governo e la giustizia, nondimeno della Chiesa.
  "Abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto, oppure preferiamo le soluzioni impersonali, magari efficienti ma prive del calore del Vangelo?"

  Merita un accenno la fuggevole trattazione del gender:
  L'"ideologia del gender" costituisce una "sfida culturale". "La rimozione delle differenze [...] è il problema [sic!], non la soluzione" (Bergoglio, 15.4.2015).
  "Nella visione della fede, la differenza sessuale umana porta in sé l'immagine e la somiglianza di Dio". Uomo e donna sono immagine di Dio, la coppia per arricchimento reciproco - anche nella fede - capisce sino in fondo "che cosa significa essere uomo e donna".
  "Secondo il principio cristiano, anima e corpo, come anche sesso biologico (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender), si possono distinguere, ma non separare".
  "La Chiesa ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità [dignità è concetto ambiguo] e accolta con rispetto, con la cura di evitare 'ogni marchio di ingiusta discriminazione'".
  Omessa la giusta discriminazione, omesso il danno possibile.
  Concludendo, credo si possa convenire con Roberto De Mattei che il sinodo abbia violentato la morale cattolica. Ma credo di poter aggiungere che tale violazione riguardi anche i dogmi corrispondenti, ossia le imprescindibili disposizioni che il Signore diede ai pastori del gregge.


Piero Nicola

domenica 25 ottobre 2015

L'Occidente dopo l'occidentalismo

 Il doveroso rifiuto del relativismo professato da Oswald Spengler, non vieta di apprezzare il frammento di autentica predizione, natante in quel fiume di oscuri oroscopi, che è intitolato Tramonto dell'Occidente: la tradizione illuministica è esausta. Aggiornata dai pensatori californiani, la filosofia dei lumi inglesi si è puntualmente rovesciata nell'obitorio libertino/sessantottino.
 Il devastante incendio pederastico, lesbico, stragista e suicidario, che divampa in America e nelle nazioni americanizzate, non può essere contrastato e spento dai princìpi sulfurei della filosofia di stampo illuministico, filosofemi che hanno messo in moto le macchine delle desolazioni in corsa rovinosa nell'emisfero crepuscolare.
 L'Occidente è l'area geografica nella quale le difese immunitarie sono debilitate e/o intossicate da avventurose teologie sudamericane e da rigurgiti ideologici contenenti estenuate frusaglie neopagane e/o progetti elucubrati da infantili escursionisti nelle praterie abitate dalle vane e desolate allucinazioni intorno alla magica [truffaldina] mano del mercato [la  setta massonica e la congrega degli usurai].
 Di qui la fragilità e l'insignificanza delle destre liberali/occidentaliste e l'obbligo di uscire dalla desolazione confusionaria per cercare una nuova capitale politica dei princìpi del diritto naturale, viventi solamente nella lontananza dal pensiero inglese.
 Di qui, infine, l'obbligo di considerare seriamente l'insorgenza cristiana in atto nella Russia, la nazione, che dopo aver attraversato l'infernale deserto del marxismo, ha ritrovato la propria indeclinabile identità.
 Al proposito conviene riflettere sull'orgogliosa affermazione di Putin: “Mentre l'Europa rinuncia alle proprie radici, la Russia è uno degli ultimi guardiani della cultura europea, dei valori cristiani e della vera civiltà”.
 (Per inciso: non è un caso che Stalin, per destare l'animo guerriero dei russi, nell'inverno del 1941 abbia fatto appello – strumentale - alla fede ortodossa. Il machiavellismo del dittatore georgiano non diminuisce il valore della risposta cristiana dei soldati russi. L'impostura staliniana contiene – inconsciamente - l'ammissione dell'invincibilità della fede cristiana in guerra contro il neopaganesimo. Un fatto, questo, che ha destato l'acuta attenzione di Putin, critico implacabile dello stalinismo e tuttavia capace di condividere il patriottismo, al quale il dittatore sovietico si appellava).
 Nel 2013, svolgendo il tema della diversità della Russia, Putin affermò infatti: “Molta gente nei paesi europei si vergogna ed ha paura di parlare di convinzioni religiose. Si stanno eliminando le feste religiose o si sta cambiando il loro nome, nascondendo l'essenza della celebrazione”.
 In Russia, invece, si fortifica l'identità nazionale, basata sui valori tradizionali, che possiede la Chiesa ortodossa. Il tema dell'opposizione della Russia cristiana al nichilismo trionfante nell'Ovest liberale/crepuscolare, è sviluppato in un magistrale saggio, Vladimir Putin uno statista singolare, scritto dall'illustre teologo padre Alfredo Saenz e pubblicato a cura di don Ennio Innocenti e Francesco Caloi, nella collana della Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe.
  Opportunamente padre Saenz avvia la sua riflessione sulla Russia post-comunista citando il giudizio di Solzhenitsyn su Putin: “Ha uno spirito penetrante, capisce subito e non ha alcuna sete di potere. Il Presidente capisce tutte le enormi difficoltà che ha ereditato. Bisogna mettere in risalto la sua straordinaria prudenza ed il suo equilibrato giudizio”.   
 Fulminante, ad esempio, è il giudizio di Putin sul progetto egemonico elucubrato dai vertici politicanti d'America: “Gli Stati Uniti falliranno come l'Unione Sovietica cercando d'imporre il loro modello al resto del mondo”.
 Di seguito padre Saenz cita numerosi segnali della fedeltà al Cristianesimo dimostrata da Putin.
 Particolarmente interessante (e istruttivo per i teologi ubriacati dall'ecumenismo conciliare e/o depistati dal perdonismo sudamericano) il dialogo di Putin con il Re dell'Arabia saudita, il quale chiedeva di poter acquistare un vasto apprezzamento di terra per costruire una grande mosche nella capitale della Russia.
 “Non è problema, gli rispose Putin, ma ad una condizione: che lei autorizzi la costruzione nella sua capitale di una grande chiesa ortodossa”. “Non può essere” ribatté il re. “Perché?” domandò Putin. “Perché la sua religione non è quella vera e non possiamo permettere che s'inganni il popolo”. Putin replicò: “Io penso lo stesso della sua religione e tuttavia permetterei di edificare il suo tempio se ci fosse reciprocità. Così lasciamo stare questo argomento”.
 Il confronto della fermezza di Putin con la flaccidità dell'Europa occidentale e del clero ecumenico al cospetto delle imperiose pretese degli islamici è sconfortante e allarmante.
 Nella lettera aperta agli editori dell'opuscolo, infine don Ennio Innocenti elenca le fonti del pensiero di Putin: il ministro dello zar Nicola II, il geniale e audace riformatore Otr Arkadevic Stolypin (1862-1911), vittima del nichilismo rivoluzionario, e il filosofo spiritualista Nicolaj Aleksandrovic Berdaiev (1874-1948) quest'ultimo giudicato autore di di testi d'ispirazione certamente cristiana “non immune da qualche seria riserva”.
 Alle fonti filosofiche e storiche di Putin l'occidente, purtroppo, non ha altro da opporre che le suggestioni neo-gnostiche e neo-sodomitiche, striscianti nel cuore di una civiltà  estenuata e alterata dalla rincorsa di effimere chimere.
 Don Innocenti conclude la sua puntuale disamina riconoscendo che “Putin non è affatto in condizione d'inferiorità rispetto agli USA”.

Piero Vassallo

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L'opuscolo in questione può essere richiesto all'Arciconfraternita degli Angeli dei Cocchieri, Via Capitan Bavastro 136 – 00154 Roma  

giovedì 22 ottobre 2015

Genova: Ossia la decrescita strutturale & mentale

Le cinque piaghe della città progressiva

 L'accecante fumo di Londra. Il viaggiatore ignaro, che ha accesso casuale alla caffetteria genovese, frequentata dagli occupanti i vertici chic della città superba, è avvolto e stordito dal denso fumo di Londra. Lo smog è emanato dagli abiti liberali, indossati da oligarchi serotini, in solenne movimento sul palcoscenico del regresso mentale. Intorno alla piazza prospiciente al bar il giro vizioso/fumoso delle automobili. Sulla triste scena incombe la statua di un profeta ottocentesco, al quale la vox populi attribuisce poteri sfortunanti. A monte della malinconica statua un pubblico giardino è ridotto a ritrovo di cinedi e tossici.

 L'alterigia rovesciata contro “il figlio della portinaia”. Il cardinale Giuseppe Siri è l'unico genovese (discendente, peraltro, da non genovesi) rammentato nei libri di storia del Novecento. Una tale qualità è giudicata imperdonabile dagli azzimati frequentatori della stimata caffetteria, in cui si incontrano i figuranti della ambidestra farsa cittadina. La fulminante idiozia dei genovesi rovesciati nell'imprenditoria fallimentare, si chiede come può il figlio di un'umile portinaia diventare principe della Chiesa e amico di un nobile pontefice. Il mormorio della città alta è tuttavia accompagnato dall'implacabile fruscio delle carte bollate, sulle quali è elencata la catena dei fallimenti totalizzati da armatori, industriali, grossisti, dettaglianti,  albergatori, trasportatori e artigiani di vario e secco ramo genovese.

 Il monumento alla morte borghese. Oggetto dell'universale ammirazione dei necrofili e degli scrittori di guide turistiche a sfondo iettatorio è il cimitero monumentale di Staglieno. Il triste luogo espone le reliquie dei sussiegosi ascendenti degli avventori oggi stanzianti nella citata/pregiata caffetteria. Nel marmo violato e degradato da ignobili scalpelli, scultori prezzolati e impudichi hanno rappresentato il coito del cattivo gusto con la vanagloria di una eletta gongolante nei tenebrosi ambulacri e cortili della necrofilia.

 L'immaginaria insurrezione. Il cardinale Siri ha osato confutare la mitologia intorno alla presunta  insurrezione genovese contro il tedesco invasore. La verità storica contempla infatti un colloquio (avvenuto nell'agosto del 1944) del vescovo Siri con il generale Meinhold, comandante dei reparti tedeschi occupanti Genova. Il citato generale confidò a Siri la sua ferma opinione sulla sconfitta incombente sulla Germania e annunciò l'intenzione di evitare inutili spargimenti di sangue quando fosse maturato il tempo della ritirata dei tedeschi da Genova. Alla vigilia del fatidico 25 aprile del 1945, Meinhold comunicò a Siri l'intenzione di sottoscrivere la resa dei tedeschi ai partigiani italiani, prima della pacifica ritirata da Genova. Firmato da Meinhold l'atto di resa resa, i soldati tedeschi abbandonarono la città dirigendosi verso il Brennero. L'insurrezione dei genovesi contro i tedeschi, pertanto, è una leggenda smentita categoricamente da Siri. Di qui il sordo e invincibile malumore degli esponenti della sinistra genovese. Lo storico Raffaele Francesca, dal suo canto, ha dimostrato che il cannone di piazza De Ferrari, esibito dagli storici quale prova dell'insorgenza partigiana, è un pezzo d'antiquariato, abbandonato dai tedeschi perché inutile.

 La genoanite. L'orgoglio cimiteriale dei genovesi contempla inoltre due sommi valori: lo stile inglese e il socialismo tranviario.
 Lo stile inglese, propriamente detto genoanite, contempla un vertice in cui si officia il culto degli scudetti ottocenteschi, che premiarono le scampagnate domenicali di pedatori anglo-italo-svizzeri.
 Il socialismo tranviario incensa la memoria di un sindaco bigliettaio, celebrato  autore di inchini al cospetto della regina d'Inghilterra, gesti classificati dagli storici progressisti quali felici e intelligenti imitazioni dell'orsetto elettronico, che divertiva i bambini negli anni settanta del ventesimo secolo.

  Si svela infine il mistero  di una città in perpetua/perfetta/armoniosa oscillazione tra gli eletti del bar esclusivo e le sezioni periferiche del proletariato. L'attualità di Genova, in ultima analisi, è la proiezione a sinistra di una storia che ha inizio dalla fuga delle navi genovesi dalla battaglia di Lepanto. Fuga dal rischio, fuga dall'avventura, fuga dalla storia. Fuga dalla realtà. La perfetta, superba, marmorea immagine di una città a struttura anticattolica, tombale e (ovviamente) antifascista.     


 Piero Vassallo

mercoledì 21 ottobre 2015

IMMORALITÀ DELLA LIBERTÀ DI STAMPA (di Piero Nicola)

  In una delle solite interviste televisive, un certo commissario addetto al bene pubblico, parlando di un fenomeno di corruzione esteso in tutt'Italia, vedeva il lato positivo del suo venire a galla, provocato dagli inquirenti e dalla magistratura, e quindi una prospettiva più rosea per l'avvenire. Il mondo intero, egli osservò, lamenta la corruzione e lotta contro di essa. Soltanto i regimi che esercitano la censura sulla stampa non danno un'idea del malaffare che possa esservi. Comunque fosse, egli si premurò di dire, non avrebbe barattato con nient'altro al mondo la libertà di stampa. L'intervistatore  gli fece eco: tanto meno lui vi avrebbe rinunciato.
  Siamo in mano a gente affetta da simili pregiudizi di scarsa coscienza civile. Perciò è normale che la corruzione abbondi nei paesi liberal-democratici e che tale cancro in essi faccia il suo corso inesorabile.
  Purtroppo anche gente dabbene e attaccata a sani principi rimane scossa o perplessa all'idea che venga limitato il diritto a parlare e a pubblicare. Ciò ha pure agevolato l'ecclesiastico fare proprio il diritto incondizionato alla libertà di religione.
  Tutto questo posso sostenere tranquillissimamente. In epoca affatto simile alla nostra di sovranità popolare e di diritti dell'uomo rivoluzionari, i Pontefici senza macchia e senza paura hanno scritto e predicato che la libertà di stampa, quale oggi è vigente, non soddisfa alla morale. Ad esempio, nella sua Enciclica Libertas del 20 giugno 1888 Leone XIII deplorava il concerto delle facoltà illecitamente legalizzate di sedurre il popolo con opinioni e dottrine nocive, come il liberalismo, il socialismo e il comunismo.
  "La libertà, dono di natura nobilissimo, e proprio unicamente degli esseri intelligenti o ragionevoli, conferisce all'uomo questa dignità di essere in mano del suo consiglio ed avere intera padronanza della sue azioni.
  "La qual dignità però importa moltissimo come sia sostenuta, perché dall'uso della libertà derivano del pari sommi beni e sommi mali".
  "Questa Chiesa [che non potrebbe essere quella odierna] è tenuta da tanti per nemica dell'umana libertà. Il che proviene da una falsa e strana idea della libertà medesima, che costoro o snaturano nel suo essenziale concetto, o allargano oltre il dovere, estendendola a cose, nelle quali di ragione l'uomo non può essere libero".
  "Tali [cattive] libertà [...] sono pertinacemente tenute da molti come il più bel vanto dei nostri tempi, e come fondamento così necessario alla buona costituzione degli Stati, che senza di quelle non possa neanche concepirsi governo perfetto".
  "Come la volontà, che è appetito razionale, così la libertà, che è appartenenza di quella, ha dunque per oggetto il bene conforme a ragione.
  "Vero è che, essendo difettive ambedue le potenze, può accadere, e pur accade sovente, che la ragione proponga alla volontà beni non veri, ma apparenti, e la volontà li segua".
  "Egregiamente avvertivano contro i Pelagiani, Agostino ed altri, che se il poter deviare dal bene appartenesse all'essenza o alla perfezione della libertà, allora Iddio, Gesù Cristo, gli Angeli, i Beati, che questo non possono, o non sarebbero liberi, o men perfettamente lo sarebbero che l'uomo viatore e manchevole.
  "Molte cose discorre spesso su ciò il Dottore Angelico, dalle quali si deduce che il poter peccare non è libertà, ma servaggio".
  "Ordinamento della ragione è la legge". "L'uomo va soggetto alla legge, perché è libero per natura".
  "Grandissimo purtroppo è il numero di coloro che, imitando Lucifero [...] sotto nome di libertà vogliono un'assurda e pretta licenza: e siffatti sono i seguaci di quel partito sì diffuso e potente che, dalla libertà preso il nome, si appella liberalismo".
  "La legge che, comandando o proibendo, regola le azioni dei cittadini, è lasciata all'arbitrio del maggior numero, facile via a tirannidi".
  Dopo queste, ed altre, premesse chiarificatrici, si trova lo specifico:
  "Passiamo a considerare alcun poco la libertà di parola e di stampa. - È superfluo dire che questa libertà, se non sia debitamente temperata, e trapassi i limiti e la misura, non può essere un diritto. Potestà morale è il diritto e [...] è assurdo la natura ne dia indistintamente e indifferentemente alla verità e alla menzogna, al bene e al male. Le cose vere e oneste hanno diritto, salve le regole della prudenza, di essere liberamente propagate [...] ma gli errori, peste della mente, i vizi, contagio dei cuori e dei costumi, è giusto che dalla pubblica autorità siano diligentemente repressi per impedire che non si dilatino a danno comune. L'abuso della forza dell'ingegno, che torna ad oppressione morale degli ignoranti, va legalmente represso con non minore fermezza, che l'abuso della forza materiale a danno dei deboli. Tanto più che guardarsi dai sofismi dell'errore, specialmente se accarezzanti le passioni, la massima parte dei cittadini o del tutto non possono, o non possono senza estrema difficoltà. Data ad ognuno piena balìa di parlare e di mandare a stampa, non vi è cosa che possa rimanere intatta e inviolata; neanche quei supremi e verissimi dettati di natura, che debbono riverirsi qual nobilissimo e comune patrimonio del genere umano. Così, oscurata a poco a poco, come spesso avviene, la verità, sottentra il regno dell'errore esiziale e molteplice, con vantaggio della licenza pari al danno della libertà, giacché questa tanto è più sciolta e sicura, quanto più quella è infrenata".
  In concreto, quasi tutta la stampa è corruttrice essendo culturalmente conformista e filogovernativa. Il governo attuale applica leggi empie e inique, che intendono lecito il vizio. La cultura in auge è pervertita. Dunque la stampa abusa della sua libertà, e giustizia vorrebbe che essa sottostesse a debita censura. Risulta lampante come sia balorda l'idea corrente della libertà di stampa e di parola. Il galantuomo dovrebbe convenirne. Dovrebbe ammettere che la censura con la quale difende nondimeno se stesso un regime autoritario anche parzialmente moralista, non sarebbe peggiore di questa democratica formale libertà (leggi: licenza coatta, nella grande misura conveniente al potere) di dire e scrivere a piacimento.
  Che poi il rimedio non sia possibile, perché non esiste potestà e, ormai nemmeno autorità, capaci di far valere il vero, quindi la giusta limitazione all'esercizio del giornalismo e delle molteplici forme di spettacolo, questo è un altro paio di maniche.

Piero Nicola
 


Figure dello scisma italiano: Vittorio e Walter Veltroni

 Di Walter Veltroni i media conformisti propongono il classico fotogramma, che rappresenta   un giovane, sdegnato ma con vaghe sfumature di perplessità, e intento al dialogo con Pier Paolo Pasolini.
 Corrono i roventi anni della contestazione giovanile e l'animoso Veltroni esibisce una espressione scandalosamente tranquilla.
 L'ipocrisia al potere nasconde (per quanto possibile) l'imbarazzante immagine dell'accorato onorevole Walter Veltroni, che in parlamento declina l'elogio funebre del giovane neofascista Marzio Tremaglia, vittima nel 2000 di una malattia implacabile.
 Due universi ideologici, due stati d'animo, un unico Walter: il titubante navigatore nel fiume furioso della resistenza (postuma) al male assoluto e il figlio di Vittorio Veltroni geniale e arguto giornalista in camicia nera.
 La politica finge, il sangue non mente. La filigrana del libro Ciao, pubblicato in questi giorni nella collana di Rizzoli, narra le con­traddizioni di una storia familiare, che inizia con l'attività giornalistica  del fascista Vittorio Veltroni e termina con l'infelice, contrastata e fallimentare escursione di Walter Veltroni nell'accidentato terreno della politica progressiva, luogo deputato all'esibizione di facce scolpite da un severo e iroso trisma.
 Vista la malinconia del presente, conviene rivolgersi al passato dipinto dall'invincibile allegria dei vinti, uno dei quali fu il padre di Walter Veltroni.
 Vittorio Veltroni (1918-1956) apparteneva al popolo spettacolare degli ex militanti fascisti, sopravvissuti (non senza intoppi e/o umilianti flessioni) all'epurazione: Augusto Genina, Goffredo Alessandrini, Mario Camerini, Raffaello Materazzo, Giorgio Albertazzi, Marcello Mastroianni, Walter Chiari, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Enrico Maria Salerno, Dario Fo, Nino Besozzi, Nando Ferretti.
 Dotati di un invincibile umorismo gli esodati e i pentiti di parola trovarono rifugio nel cinema andreottiano, nella televisione di Filiberto Guala e/o nelle nicchie del teatro borghese e/o leggero.
 Negli anni segnati dalla prevalenza dell'umorismo di una destra da palcoscenico, allegra antagonista della cupezza politicante nei partiti progressivi, Vittorio Veltroni e Nando Ferretti scrissero i testi delle riviste surreali di Renato Rascel e di quelle classiche delle tre sorelle Nava.
 Approdato all'età in cui si esplora la verità delle proprie lodate o rinnegate radici, Walter tenta di capire il padre, che la morte gli ha sottratto quando era appena nato.
 Di qui il libro Ciao, spinoso viaggio dell'amor filiale nel passato di un padre geniale regista purtroppo compromesso con l'innominabile regime fascista.

 Forse Walter intendeva assolvere il padre e condannare - senza possibilità di appello - la sua fede fascista. Se non che sulla sfortuna politica di Walter Veltroni, e sulla felicità della sua scrittura, si stende, invisibile una refrattarietà al conformismo de sinistra, che si è tentati di  attribuire al gene irriducibile trasmesso da Vittorio Veltroni.

Piero Vassallo

martedì 20 ottobre 2015

GLI ANTICHI SOFISTI NE HANNO INVIDIA (di Piero Nicola)

Il succo del Sinodo sulla famiglia l'aveva già anticipato Bergoglio, ora alcune eccellenze disinvolte, che sono membri di tale assemblea, ripetono il concetto bergogliano, ed è prevedibile che il concetto sovvertitore riceverà l'approvazione. Ecco qua il mostro: la dottrina non cambia, la prassi invece deve adeguarsi alla realtà dei casi concreti, secondo misericordia e verità.
  Gli studentelli delle medie, che imparano la matematica e i rudimenti della logica, forse anche gli scolari primi della classe alle elementari, forzati all'elementare razionalità, ascoltando questa proposizione si troverebbero in imbarazzo, ma i più studiosi avvertirebbero che si tratta di un imbroglio.
  Che dottrina è mai quella che non contempla tutta la concretezza su cui verte? Se detta una legge, questa prevede l'infrazione e la sanzione corrispondente. Ora la legge in questione è chiara e semplice: chi si separa o divorzia unendosi a una terza persona, sia che il soggetto formi con lei una famiglia, sia che si risposi in forza di un diritto stabilito da uomini, sia che abbia figli o no, commette adulterio. Il rimedio è dato pure da un articolo della dottrina riguardante il peccato che reca danno, ed è uno solo: ritornare allo stato precedente di coniuge nel matrimonio primitivo, indissolubile, oppure, stanti le giuste ragioni, nella mera condizione di separato o di separata.
  In tutto ciò non c'è niente di nuovo. Ci sono sempre stati cattolici concubini, adulteri e divorziati in quegli stati dove il divorzio era legale. Quindi il caso di divorziati risposati, anche con prole avuta dopo il secondo o un ulteriore matrimonio, non è affatto inedito. La novità dei casi complicati e pietosi riguardo all'esclusione dai sacramenti, la straordinaria difficoltà del rientro nell'Ovile, sono un pura e deprecabile invenzione.
  La Chiesa seppe sempre come trattare i battezzati pubblici peccatori, che fossero divorziati risposati o concubini. Perciò si è detto più volte che il Sinodo costituiva una violazione della dottrina dogmatica, perché poneva un falso problema in questa materia.
  Invece, a sentire i prelati bergogliani, l'Enciclopedia Cattolica (per citare un solo documento probante) andrebbe inviata al macero. Essa dice, alle voci Indissolubilità e Matrimonio:
  "L'indissolubilità è una delle proprietà essenziali del Matrimonio, che trova la sua sanzione più piena nel Matrimonio-Sacramento".
  "All'indissolubilità del vincolo matrimoniale si oppone invece [...] il divorzio civile".
  "Can. 1110: Dal matrimonio valido nasce tra i coniugi un vincolo di natura sua perpetuo ed esclusivo".
  "Can. 1118: Il matrimonio valido rato e consumato non si può sciogliere [...] da nessuna umana autorità".
  "La tolleranza o, peggio, il consenso del coniuge offeso non fa venir meno l'adulterio, perché il debito della fedeltà acquisito all'atto stesso del matrimonio è per sua natura inalienabile e imperscrittibile".
  "Il laico che si sia reso responsabile di adulterio pubblico [...] incorre nella esclusione dagli atti legittimi ecclesiastici".
  "Non si può certo accusare la Chiesa di essersi contraddetta nel predicare l'assoluta indissolubilità del matrimonio rato e consumato o di  non aver interpretato il pensiero di Gesù".
  Eccetera.
  Ci sono eccezioni alla regola data? Le uniche riguardano i motivi di invalidità dello sposalizio contratto dai suoi attori. Quando esso è valevole, circa la colpa e il peccato non sussiste ignoranza che tenga. Quand'anche questa ci fosse stata, la Chiesa non ammette il danno morale e religioso causato dal sussistente adulterio.
    Ma nel bel mezzo delle sedute dei prelati sinodali, la stampa ci informa che mons. Mark Benedict Coleridge, arcivescovo di Brisbane (Australia), dice ai giornalisti che i divorziati risposati non devono essere chiamati adulteri. Oh, bella! Chi sono allora gli adulteri? Nessuno gli ha fatto questa domanda impertinente, ma sono certo che il monsignore risponderebbe di non essersi mai sognato di negare l'esistenza, piuttosto teorica, di tali cocciuti. Però, siccome ci sono i ben disposti al pentimento e anche gli altri sono chiamati alla retta via secondo il volere del Signore, la parola adulterio deve essere bandita. Essa è contraria alla pastorale misericordia, alla divina volontà che opera per la salvezza di tutti.
  Ciò, in parole povere, significa che la Chiesa tradizionale, antecedente la scoperta della vera pastorale misericorde, era scema e cattiva. Infatti, giova ripeterlo, la questione da essa risolta usando il termine adulteri e negando loro i sacramenti, finché non avessero confessato il peccato e non avessero sanato la loro situazione peccaminosa e scandalosa, tale questione, dico, si poneva esattamente nei modi in cui oggi si pone.
  Invero, il Coleridge risponde a iosa, sebbene per vie traverse, al quesito essenziale: come si trattano coloro i quali venivano considerati adulteri? "Occorre discernimento e dialogo pastorale" egli raccomanda. "Bisogna ascoltare e valutare le storie". "La chiesa sinodale è chiesa di ascolto" deduce il giornalista. "Le situazioni non sono bianche o nere [come sta scritto nei polverosi manuali teologici], esse sono sfumate".
  Intanto, per questi prelati il tempo non esiste, può essere sospeso, sospeso il giudizio, sospesa la sentenza. Nel frattempo il caro assistito, che pertanto non viene considerato fuori della comunione ecclesiale, può ancora peccare e far peccare l'altro che sta con lui, è libero di dare ulteriore scandalo. O anche la parola scandalo deve scomparire? Così sembra, salvo ricuperarla in altre occasioni che fanno comodo, come l'adopera Bergoglio contro certi corrotti.
  Poi, dev'esserci una conclusione di tale procedimento caritatevole. È inutile sfuggire con vaghe allusioni contraddittorie e con penose ambiguità. Abbiamo visto che la risoluzione non manca: sta  nella prassi predicata, nella pratica che, abolendo condanne ed esclusioni, deve ammettere l'inammissibile: la piena accoglienza nella comunione del Corpo Mistico di peccatori pubblici, il cui eventuale pentimento non elimina (almeno non ancora) la causa del male di cui essi sono affetti e che trasmettono al prossimo.
  Dalla stessa fonte apprendiamo che il vescovo di Parma mons. Enrico Solmi, ex capo commissione Cei sulla Famiglia, dichiara doversi "considerare una situazione di vita" di persone battezzate (come se la legge naturale non riguardasse tutti, e i battezzati non potessero perdere colpevolmente la grazia del Battesimo), "nuclei familiari ormai assodati" e con figli (come se la solidità dell'adulterio e i suoi figli potessero diminuirlo o avviarlo all'assoluzione). Il rimedio starebbe nel mettersi accanto agli adulteri e dialogare con loro, nel vedere la prospettiva per il futuro (come se non esistessero regole nette su questo punto).
  Il monsignore parla con la stessa inconcepibile vaghezza di "cammino di riconciliazione" e di "richiesta di perdono". Donde, la formula: prassi pastorale = misericordia + verità (una verità già calpestata). Donde, non ragionare in termini astratti (i.e. la dottrina è astratta).
  Nell'inferno forse gli antichi sofisti possono nutrire la mala speranza di non restar soli, ma in invidiabile compagnia, giacché a loro non toccò di confrontarsi con Gesù Cristo.


Piero Nicola  

mercoledì 14 ottobre 2015

DEMOCRAZIA FALLITA (di Piero Nicola)

Per l'approvazione in parlamento della riforma della Costituzione, che cambia il Senato rendendo la Camera dei deputati il solo organo legislativo, sicché con l'entrata in vigore della legge elettorale (Italicum) il partito che prende più voti avrà la maggioranza assicurata, i partiti contrari a Renzi hanno gridato al colpo di stato, all'introduzione di un regime autoritario, antidemocratico, all'instaurazione di una sorta di dittatura.
 Osservo che:
1) La democrazia, specie quella oggidì concepita dai suoi accreditati interpreti e dal sentimento comune, è un sistema politico marcio alla radice, in quanto contiene il principio dell'ingiustizia (uguaglianza etica e uguali capacità di giudizio degli elettori, nessuna valida qualificazione degli eletti) nonché la causa della corruzione politica, sociale e morale. Sarebbe superfluo mettere in fila i punti di tale degrado insito nel metodo (costituzione), cui la prassi non può rimediare.
  Basti dire che durante i 70 anni di parlamentarismo italiano si sono avute le peggiori leggi che ci si potesse attendere (divorzio, aborto, diritto di famiglia e chi più ne ha più ne metta), mentre il governo ha prodotto o permesso la rovina dei costumi, l'invasione degli immigrati, la mafia, la droga in quantità intollerabili, e altre nefandezze.
2) Il discredito gettato su qualsiasi regime autoritario comporta una menomazione insanabile. Infatti ci si priva di un modello storico, realistico (compatibile con le sane tradizioni, la moralità, la Religione) e si entra nella ferrea sfera delle illusorie perfezioni democratiche.
  Condannare a priori l'autoritarismo è un errore grave. L'autoritarismo può essere cattivo o buono, ma quello buono è il solo in grado di risollevare le sorti civili, specie nelle attuali contingenze.
3) È deleterio far dipendere il regime da instaurare da un qualsiasi progressismo, evoluzionismo o storicismo. Al di fuori della partitocrazia, della plutocrazia, delle conventicole che dirigono i governi da dietro le quinte, al di fuori di questo perverso impero progressista, soltanto uomini idonei possono cambiare le cose in senso positivo, ed essi hanno la capacità di andare contro qualsiasi corrente con largo consenso.
  Ovviamente, ridotta la democrazia, esiste il pericolo che il potere vada nelle mani di un Renzi o di qualcuno come lui, e che perciò il rimedio diventi, lì per lì, peggiore del male. Tuttavia la possibilità di governare uscendo dalle pastoie del parlamentarismo, degli interessi particolari fatti prevalere sul bene comune, eliminando i tradimenti dei deputati, ecc. non va disprezzata, anzi è l'unico scampo che attualmente si presenti. Ma c'è di più: la cattiva prova data dall'esecutivo non potrà evitargli la caduta, e il successivo Presidente del Consiglio potrebbe essere quello augurato.

Piero Nicola


martedì 13 ottobre 2015

DEFENSORES FIDEI TENTENNANTI (di Piero Nicola)

  Già si sapeva che l'opposizione all'errore dogmatico, alla quale certi prelati in carica avevano dato inizio, era una battaglia perduta in partenza. Fin da subito, essi erano sprovvisti della necessaria fermezza. Non si accusa un errore grave senza accusare l'errante che persevera in esso promuovendolo e senza separarsi da lui. Diversamente, se ne viene fuori proprio male.
  In ogni modo, avrebbe dovuto apparire strano che uomini responsabili d'aver accettato gli sviamenti introdotti dal Concilio e le loro successive applicazioni e amplificazioni, potessero acquistare la stoffa di convertiti, tornati a marciare nell'unica via chiara, netta e possibile.
  Come nei nostri ambienti è stato detto e dimostrato, il motu proprio sulla riforma del processo canonico per le sentenze di nullità del matrimonio ha prevaricato sul sinodo per la famiglia, attualmente in corso, mettendolo di fronte a un provvedimento che apre la porta al cosiddetto divorzio cattolico, convalidato da una chiesa da fumetti americani. Infatti, affidare le prove della nullità alle dichiarazioni dei coniugi, in base alla loro coscienza, e al breve giudizio di vescovi sovente progressisti, equivale a rendere lo scioglimento religioso del vincolo una sorta i presa in giro. Ricordiamo che, in seguito a un'ambiguità conciliare, fine primo del matrimonio è diventato l'amore degli sposi, sicché esso venendo meno data l'incertezza di tale sentimento, necessariamente anche il matrimonio assume un carattere provvisorio, aleatorio.
  Dopo il bergogliano "chi sono io per giudicare?" riferito ai sodomiti e alle lesbiche, il tema della famiglia sarà facilmente toccato anche dalla questione del gender. Come ignorare che uno dei coniugi possa cambiare sesso, o semplicemente il sentimento del proprio sesso? Il marito potrà sentirsi donna e la moglie uomo. Ma vi saranno altri argomenti di discussione inerenti all'ambito familiare e relativi all'omosessualità.
  Inoltre, resta la faccenda della Comunione da accordarsi ai divorziati risposati, cui si connette il generale problema di conferire il Sacramento ai pubblici peccatori, ivi compresi gli omosessuali dichiarati.
  Adesso, la tivù ci informa che un'eletta di vescovi e cardinali ha inviato una lettera, pubblicata da un organo di stampa, per rappresentare a Bergoglio le sue riserve in merito all'instrumentum laboris da discutere al sinodo.
  Il sinodo ha avuto inizio, la risposta del destinatario rimane ignota, nessuno dei partecipanti all'assemblea ha ricusato il seggio assegnatogli, né ha avanzato reclami preliminari. La sconfitta di quei bene intenzionati è completa, prima ancora che compaia del tutto evidente.
  Chi sperava che ci fosse un'impugnazione del documento all'ordine del giorno, o che sarebbe stato oggetto di contestazioni durante le sedute, si metta l'animo in pace. Soltanto un miracolo potrebbe far sì che qualche padre tolga i piedi dalla putredine raffinata, profumata, e calciando la getti contro il banco della presidenza, affinché ci se ne renda conto.
  La notizia della lettera speranzosa trascorre nel silenzio dei suoi redattori, i quali, davanti al marcio dell'instrumentum (che è la messa in discussione di un dogma!) e dell'interferenza preventiva messa in atto col motu proprio, avrebbero dovuto pentirsi coram populo di non aver da lunga pezza esecrato la prima macchinazione e poi, denunciando la seconda, avrebbero dovuto disertare il losco convegno, oppure entrarvi per screditarlo pubblicamente.
  Invece, a quanto pare, alcuni firmatari della missiva - che il Vaticano si è affrettato a dichiarare  perturbatrice e immotivata - si sono tirarti indietro, mentre i sicuri autori scompaiono.
  Risultato: una vittoria della falsa misericordia che, ben guardandosi dal tradursi in responsabili e chiare definizioni dogmatiche, predica l'eresia definendola, nei fatti, con l'obbligare le coscienze e con la prassi del governo curiale. Una vittoria completa degli usurpatori, prodotta altresì dalla memoria timidamente inviata a Bergoglio e venuta alla luce: ecco la libera espressione dei prelati! ecco i debiti ripensamenti! ecco l'opportuno silenzio degli sconsigliati! Ecco come tutto ciò avrà da ripetersi in avvenire.

Piero Nicola


lunedì 12 ottobre 2015

Che fare?

Due splendide occasioni sono offerte agli esponenti di una destra capace di uscire dall'adolescenziale cultura hobbit e dalla ridicola suggestione eleusina: l'inciampo della teologia progressista (di Kasper & Bergoglio) nel recente sinodo dei vescovi e la catastrofe capitolina della sinistra
 Antonio Socci, una fra le più vivaci e implacabili menti oggi attive nel mondo cattolico, ha posato una pietra tombale sopra la teologia di Bergoglio, definendola “un ferro vecchio impastato di peronismo e di rugginosa teologia della liberazione” (Cfr. Libero, 11 ottobre 2015).
 Di qui la rivincita di Benedetto XVI, che aveva esortato i vescovi a rimanere assolutamente fermi nella dottrina.
 Sotto la disperata pioggia di coriandoli babilonesi, attuale e ultima figura di quel mondo moderno, che fu temuto e quasi venerato dai padri del Vaticano II, la strada della teologia progressista non è più seriamente percorribile.
 Socci ha svelato la radice anacronistica del Bergoglio-pensiero, ponendo la premessa a una nuova controriforma, che appare non differibile, quando si considera la luce crepuscolare calata sulle rivoluzioni laiche e progressive.
 D'ora in avanti Bergoglio e i vescovi di Francia e di Germania potranno soltanto rallentare il cammino  della maggioranza intesa alla restaurazione della verità cattolica, alterata dagli autentici protagonisti del Vaticano II: Karl Rahner, Giuseppe Dossetti e Giacomo Lercaro.
 Cade di conseguenza l'alibi dietro il quale squillavano i banditori destri di un esoterismo travestito da legittimo antagonista all'eversione promossa dai cattolici modernizzanti.
 La seconda opportunità è offerta alla possibile, futura destra dalla discesa nel ridicolo del sindaco progressista di Roma e della sua cultura.
 La patetica vicenda di Ignazio Marino dimostra che la sinistra, orbata della vecchia ideologia, è destinata ad estenuarsi sul palcoscenico allestito dalla borghesia decadente  e ridarellara.
 La cultura della sinistra, infatti, scorre in un taboga indirizzato al luogo deputato al ridicolo incontro di Massimo Cacciari con René Guénon.
 Sorge tuttavia una spiacevole domanda: la destra hobbit rappresenta una seria alternativa al surrealismo a sinistra?
 La risposta indirizza purtroppo al vuoto che separa la destra politica dalla tradizione italiana e dalla cultura in senso stretto.
 La storia recente della destra italiana è stata dominata dal rifiuto categorico e dal disprezzo della cultura propriamente nazionale e del vantaggio concesso a ideologie aliene. L'avversione alla cultura si è spinta fino al punto (surreale ma sciaguratamente reale) di proporre la candidatura di un facchino d'area a ministro dei trasporti.
 Il mecenate Giovanni Volpe, che investì un patrimonio nella sua magnifica casa editrice, negli incontri internazionali della cultura e nelle riviste Intervento e La Torre, lamentava la totale indifferenza alla cultura italiana da parte della classe dirigente della destra sedicente nazionale.
 Al proposito non si può dimenticare l'enigma rappresentato da Giorgio Almirante uomo di cultura impegnato a sottovalutare l'ingente contributo di Volpe per sostenere le squallide fantasticherie della destra francese,  scesa in guerra contro la genuina tradizione italiana. 
 L'umiliante esito della politica attuata dall'erede di Almirante, infatti, discende dall'ignoranza della storia e dal disprezzo della tradizione italiana
 L'esistenza in vita di pensatori qualificati e capaci di animare una cultura autenticamente nazionale grida vendetta contro gli autori del vuoto mentale in cui è affondata  la destra finiana.
 Nascosti dai fumi emanati dal rogo progressista, sono tuttavia attivi gli eredi legittimi [1] dei filosofi e dei politologi che hanno rappresentato autorevolmente il Novecento italiano [2].
 Dalle loro opere i militanti della destra possono trarre i princìpi necessari ad animare un'attività politica affrancata dai pesi cadaverici della modernità e dell'antichità iniziatica.
 Una tale scelta esclude la qualunque alternativa. L'eventuale rifiuto della tradizione italiana convertirebbe la destra in un frammento  dell'avanspettacolo, in cui si agitano i personaggetti di Maurizio Crozza.

Piero Vassallo    


[1]          Antonio Livi, Paolo Pasqualucci, Ennio Innocenti, Danilo Castellano, Pier Paolo Ottonello, Giovanni Turco, Roberto Dal Bosco, Roberto De Mattei, Pietro Giubilo, Piero Samperi, Paolo Deotto, Pucci Cipriani.
[2]          Giorgio Del Vecchio.  Balbino Giuliano, Francesco Orestano, Cornelio Fabro, Raimondo Spiazzi, Nicola Petruzzellis., Tito Centi, Michele Federico Sciacca, Pietro Mignosi, Carmelo Ottaviano, Augusto Del Noce, Maria Adelaide Raschini, Dario Composta, Sofia Vanni Rovighi.

venerdì 9 ottobre 2015

E’ falso dire che NS Gesù Cristo non ha condannato l’omosessualità - I Vangeli dimostrano esattamente il contrario (di Paolo Pasqualucci)

L’assordante propaganda omosessualista e omofila, sostenuta da tutti i grandi mezzi d’informazione, in cre­scendo nell'imminenza del Sinodo sulla Famiglia del 5 ottobre p.v., continua a ripetere a beneficio dei cattolici un vieto ritornello e cioè che Gesù Cristo non avrebbe mai parlato dell’omosessualità, ragion per cui la sua condanna non si potrebbe reperire nei Vangeli ma solo nelle Lettere apostoliche, segnatamente in quelle di san Paolo. Come se questo, annoto, facesse la differenza! Le Epistole paoline non vengono lette durante la Messa come “Parola di Dio”, allo stesso modo dei Vangeli? Ma prescindiamo da questa scorretta separazione tra le varie parti del corpo neotestamentario, del tutto inaccettabile, spiegabile solo alla luce della miscredenza attuale, che vuole escludere di fatto l’insegnamento di san Paolo dalla Rivelazione con l’argomento singolare che egli dettava norme e concetti validi solo per il proprio tempo![1]
Ciò che la propaganda omofila vuole insinuare a proposito dei Vangeli, è parimenti assurdo: non avendovi il Cristo mai nominato esplicitamente l’omosessualità, non la si dov­rebbe ritener da Lui condannata! La fornicazione e l’adulterio li ha con­dannati apertamente mentre la sodomia e affini (che sono fornicazione contro natura) li avrebbe invece assolti con il suo (supposto) silenzio? Ma ci rendiamo conto delle castronerie che vengono oggi propinate alle masse, peraltro ben felici di esser ingannate, a quanto pare?
Dove si trova, nei Vangeli, la condanna dell’omosessualità da parte di Nostro Signore? In maniera diretta tutte le volte che Egli porta ad esempio il destino toccato a Sodoma come condanna esemplare del peccato; in maniera indiretta in un passo nel quale elenca i vizi e peccati che ci mandano in perdizione.

1. La distruzione di Sodoma e Gomorra citata tre volte da Gesù come esempio di punizione esemplare di chi si ostina nel peccato:

Mt 10, 15; 11, 24; Lc 10, 12; 17, 29.

Vangelo di san Matteo

Nel dare le istruzioni ai Dodici Apostoli mandati per la prima volta a predi­care e convertire i peccatori, il Verbo incarnato disse, a proposito di coloro che si fossero rifiutati di riceverli o ascoltarli:
“In verità vi dico: nel giorno del Giudizio il paese di Sodoma e Gomorra sarà trattato meno severamente di quella città” (Mt 10, 15).
Il concetto fu da Lui ribadito poco dopo. Di fronte ai discepoli di Giovanni Bat­tista, Egli fece l’elogio del Battista per passare poi a rampognare l’incredulità di “questa generazione”, concludendo con un durissimo rimprovero alle città im­penitenti, che non avevano voluto pentirsi, nonostante i miracoli che Egli vi aveva fatto.

“Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida! Perchè se aTiro e a Sidone fossero avvenuti i miracoli compiuti in mezzo a voi, già da gran tempo avrebbero fatto penitenza cinti di cilicio e ricoperti di cenere. Perciò vi dico: nel giorno del Giudizio Tiro e Sidone sarano trattate meno severamente di voi. E tu Cafarnao, sarai esaltata sino al cielo? Tu discenderai all’inferno: perchè se in Sodoma fossero avvenuti i miracoli operati in te, oggi ancora sussisterebbe. E però vi dico, che nel giorno del giudizio il paese di Sodoma sarà trattato meno dura­mente di te” (Mt 11, 21-24).

Il parallelo con le antiche città pagane ha lo scopo di mettere nel massimo rilievo la gravità del peccato delle città ebraiche, che avevano rifiutato la “conversione” pur avendo visto i miracoli operati da Nostro Signore. Avevano peccato nella fede, contro lo Spirito Santo, possiamo dire. Tiro, Sidone, Sodoma, Gomorra erano diventate per gli Ebrei simboli della corruzione del mondo pagano, privo del vero Dio e nell’ignoranza della Salvezza. Ma questo non si poteva dire de­gli Ebrei, ragion per cui il loro peccato era più grave: più grave degli abomini carnali dei pagani era la loro incredi­bile mancanza di fede.
Per quanto riguarda Sodoma e il suo particolare peccato: nel giorno del Giudizio essa sarà trattata “meno duramente” delle città ebraiche impenitenti ma non sarà certamente assolta. Anzi, proprio la condanna di Sodoma serve da punto di riferimento, da metro di giudizio per determinare la gravità di un peccato e quindi per affermare che l’incredulità degli Ebrei è addirittura più grave di un peccato così grave come quello di Sodoma e Gomorra, di “Tiro e Sidone” in quanto ad esso assimilabile: la corruzione dei costumi spinta sino alla ribellione contro la legge naturale stabilita da Dio, in odio a Dio.

 Il carattere esemplare del peccato e della condanna di Sodoma erano già ben presenti nella tradizione profetica. Li ritroviamo nel libro di Ezechiele.

Dio ammonisce Israele per i suoi tradimenti e le sue “abominazioni idolatriche”, tramite la voce dei Profeti. Nel libro di Ezechiele già compare il parallelo tra le colpe di Ge­rusalemme e quelle dei pagani, utilizzato anche da Nostro Si­gnore: le colpe di Gerusalemme verso Dio sono più gravi di quelle dei pagani, pur di per sé gravissime. Gerusalemme ha, infatti, avuto la Rivelazione, al contrario dei pagani.

“Com’è vero che io vivo, dice il Signore Dio, tua sorella Sodoma e le sue figlie [le città dipendenti] non furono sì perverse come te e le figlie tue. Ecco, questa fu la colpa di Sodoma, tua sorella e delle sue figlie: superbia, sovrabbondanza di cibo e pigrizia: non aiutavano il povero e l’indigente; ma insuperbirono e fe­cero ciò ch’è abominevole davanti a me: per questo io le distrussi non appena vidi la loro condotta” (Ez 16, 48-50).

Sodoma è rappresentata qui dal profeta come “sorella” nella colpa di Ge­rusalemme, “adultera” nella fede. La punizione di Sodoma sarà anche quella di Gerusalemme colpevole, ed anzi ancor più colpevole; sarà la punizione inferta alle “adultere e omicide” (ivi, 38). Il profeta, ispirato da Dio, descrive la colpa di Sodoma: la superbia innanzitutto, nutrita dal benessere materiale, che comportava pigrizia e disprezzo per “il povero e l’indigente”. L’ozio prodotto dal benessere è il padre dei vizi, come si suol dire. E alla base della ribellione contro la legge divina e naturale nei rapporti sessuali c’è la superbia e la mancanza di giustizia: “insuper­birono e fecero ciò ch’è abominevole davanti a me”. Un gran benessere materiale, il narcisismo e la superbia all’origine dell’omosessualità. Dal narcisismo e dalla superbia la ribellione contro Dio e le sue leggi. Tutto ciò lo vediamo riprodursi oggi, nelle nostre sventurate società, e in molti casi con la complicità dello Stato.

Vangelo di san Luca

Luca riporta l’invettiva di cui a Mt 11, 21-24, in modo quasi identico, aggiungendovi un illuminante commento del Signore stesso.

“Io vi dico che, nel gran giorno [del Giudizio], Sodoma sarà trattata meno rigorosamente di quella città [dove non vi avranno accolti]. Guai a te , Corazin!, guai a te, Betsaida! […] E tu Cafarnao, sarai forse elevata fino al cielo? Tu sarai precipitata sino all’inferno! Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me. Chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato” (Lc 10, 12-15).

Ma Nostro Signore nominò di nuovo Sodoma nelle profezie sugli ultimi tempi, che avrebbero visto il ritorno del Figlio dell’uomo, predetto quale avvenimento improvviso e fulminante, che non avrebbe lasciato scampo a nessuno.

“E come avvenne al tempo di Noè, così avverrà al tempo del Figlio dell’uomo: mangiavano e bevevano, si sposavano e facevano sposare i propri figliuoli, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca; ma venne il diluvio e li fece tutti perire. Altrettanto avvenne al tempo di Lot: mangiavano e bevevano, compravano e vendevano, piantavano e costruivano; ma il giorno in cui Lot uscì da Sodoma, Dio fece piovere fuoco e zolfo dal cielo e fece perire tutti”. (Lc 17, 26-29).

Continuando nella profezia, Nostro Signore aggiunse: “Lo stesso avverrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo dovrà apparire”. In quel giorno nessuno dovrà voltarsi indietro, non gli sarà consentito: “Ricordatevi della moglie di Lot! Chi cercherà di salvare la sua vita, la perderà; e chi la perderà, la conserverà” (ivi, 30-32).

Il Diluvio e la fine di Sodoma sono dunque proposti più volte da Nostro Signore quali esem­pi della giustizia divina, esempi classici, si potrebbe dire, nella cultura e nella mentalità ebraiche. Ciò significa che Egli approvava quelle condanne e quei castighi; riteneva giusto che l’umanità fosse punita per i suoi peccati nel modo che Dio ritenesse opportuno, a seconda della loro gravità. Riteneva quindi giusto che il peccato contro natura dei sodomiti fosse stato punito col fuoco e lo zolfo caduti subitaneamente dal cielo. Si noti la sfumatura: ricorda che al tempo di Noè gli uomini, tra le altre cose, “si sposavano e facevano sposare i propri figli”; al tempo di Lot invece, cioè a Sodoma e Gomorra, tra le loro molteplici attività (“piantavano e costruivano”) mancava ovviamente il costruir famiglie, lo sposarsi e far figli secondo natura, realtà dalle quali i sodomiti (omosessuali e lesbiche) si escludono a priori, perché da loro detestate.
Riscontrato tutto ciò sui Sacri Testi, come si fa a dire che Gesù non ha mai parlato dell’omosessualità e quindi non l’ha (per ciò stesso) mai condannata? Nella più perfetta tradizione ebraica, ha portato o no più volte a monito, approvan­dola, la condanna di Sodoma quale esempio di condanna divina esemplare dei peccati gravi e ostinati di un’intera comunità? E ciò non basta a dimostrare che Egli ha condannato l’omosessualità e la conseguente falsità radicale della tesi degli omofili? Che altro doveva dire? Aveva forse bisogno di fare tanti discorsi per condannare il peccato e un peccato come quello? Invece di cercare di falsare il senso autentico delle Sacre Scritture, i propagandisti e sostenitori a vario livello della presente, terrificante deriva omosessualista (attivi purtroppo anche nella Gerarchia!), non farebbero meglio a meditare le parole stesse di Nostro Signore sul giusto castigo di Sodoma sventurata? Sembrava ai depravati che tutto dovesse continuare in eterno come prima, immersi nel benessere, nelle loro intense attività e nei loro vizi, ma improvvisamente un giorno, “il giorno in cui Lot uscì da Sodoma, Dio fece piovere fuoco e zolfo dal cielo e fece perire tutti”. Senza preavviso fece perire tutti di una morte orribile, tutti inceneriti in un batter d’occhio, come i poveri giapponesi a Hiroshima e Nagasaki, peraltro vittime innocenti della crudeltà della guerra. Anzi, peggio, perché in Giappone ci furono dei superstiti e la vita è tornata nelle città ricostruite. A Sodoma e Gomorra, invece, non si è salvato nessuno e il luogo, inizialmente fertilissimo, è da allora un tetro e spettrale deserto di sale, acqua salmastra e bitume. Se si continuerà ad offendere gravemente Dio, come a Sodoma, andrà a finire anche per noi come a Sodoma, quale che sia la forma specifica del castigo, se l’acqua o il fuoco o la terra, che si spalancherà sotto di noi.


2. L’omosessualità deve ritenersi inclusa da Gesù nella condanna di tutte le “fornicazioni” .

Polemizzando contro il legalismo dei Farisei e la loro ossessione con le purificazioni rituali, Gesù dissse ai discepoli, che ancora non avevano afferrato adeguatamente il concetto:

“Non capite che quanto entra per la bocca, passa nel ventre e va a finire nella latrina? Ma quel che esce dalla bocca viene dal cuore, ed è questo che contamina l’uomo; poichè dal cuore vengono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie: queste cose contaminano l’uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non contamina l’uomo” (Mt 15, 17-20).

Egli distingue nettamente tra “adulteri” (adulteria, moichetai) e “fornicazioni” (fornicationes, porneiai).
L’adulterio è l’infedeltà coniugale. E le fornicazioni? Evidentemente, tutti i rapporti sessuali di persone non sposate. E quindi tutte le violazioni del Sesto Comandamento, secondo natura e contro natura che siano. Anche l’adulterio è “fornicazione”, però con aggiunto il peccato della violazione della fede coniugale. Nell’adulterio ci sono due peccati in un unico atto.
Potrebbero le “fornicazioni” qui menzionate dal Signore escludere quelle contro natura? Non potrebbero, evidentemente: per la natura stessa del concetto, tale da impedire di per sé simile eccezione. Inoltre, il termine porneia (scortatio, fornicatio), che risale a Demostene ed è usato dai LXX, anche nel Nuovo Testamento indica “ogni uso illegittimo della venere, compreso l’adulterio e l’incesto. In Mt 15, 19 si distingue dalla moicheia ossia dall’adulterio. Vedi anche Mc 7, 21, [passo parallelo]”[2]. E a riprova di tale impossibilità abbiamo l’evidente approvazione manifestata (tre volte) da Gesù per la condanna di Sodoma e Gomorra, rappresentate addirittura come esempio di grave peccato che merita di esser colpito anche in questo mondo dall’ira divina, con tutta la sua terribile potenza, quando un intero popolo vi si induri.

Lo scopo di quest’articolo è solo quello di ricordare la condanna evidente e manifesta del peccato di omosessualità da parte del Cristo, per sbarazzare il campo dalle falsità pullulanti sulla nostra religione e ristabilire il vero. Per completezza di documentazione, voglio ricordare che Sodoma e Gomorra sono rammentate anche nella Seconda Lettera di san Pietro, allo stesso modo di Nostro Signore e con ulteriori precisazioni, relative alla sopravvivenza e comunque alla salvezza dell’anima dei giusti che siano costretti a vivere in una società dominata dall’empietà.

“[…] se Dio condannò alla distruzione e ridusse in cenere le città di Sodoma e Gomorra, perchè fossero di esempio a tutti gli empi futuri, e se liberò il giusto Lot, rattristato dalla condotta di quegli uomini senza freno nella loro disso­lutezza – poiché quest’uomo, pur abitando in mezzo a loro, si manteneva giu­sto di fronte a tutto quello che vedeva ed ascoltava, nonostante che tormen­tassero ogni giorno la sua anima retta con opere nefande – il Signore sa liberare dalla prova gli uomini pii e riserbare gli empi per esser puniti nel giorno del Giudizio, specialmente quelli che seguono la carne nei suoi desideri immondi e disprezzano l’autorità. Audaci e arroganti, essi non temono d’insultare le glorie dei cieli , mentre gli stessi angeli ribelli, pur essendo supe­riori a costoro per forza e potenza, tuttavia non osano portare contro di esse un giudizio ingiurioso davanti al Signore” (2 Pt 2, 6-11).

Paolo Pasqualucci




[1] San Paolo condanna l’omosessualità, sia maschile che femminile, con la dovuta severità nella Lettera ai Romani, 1, 24-32. Nella prima Lettera ai Corinti, ribadisce tuttavia che anche “effeminati e sodomiti” possono salvarsi, al pari degli altri tipi di peccatori menzionati nella Lettera (fornicatori, idolatri, ladri, adulteri, avari, etc.), se si convertono a Cristo. E lo dice a proposito, perché tra i giustificati nel nome di Cristo della comunità di Corinto c’erano anche omosessuali guariti dal loro vizio: “E tali eravate alcuni di voi, ma siete stati lavati, ma siete stati santificati, ma siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo, e mediante lo Spirito del nostro Dio” (1 Cr 6, 9-11).
[2] Francisco Zorell, S.I., Lexicon Graecum Novi Testamenti, rist. anast. ed. 1961, Rome Biblical Institute Press, 1978, voce porneia. Per la traduzione italiana del Nuovo Testamento mi sono servito de La Sacra Bibbia a cura della CEI, Edizioni Paoline, 1963. C’è poi anche l’uso figurato del termine, tipico dell’Antico Testamento, l’immagine della “fornicazione con gli idoli”, ossia dei tradimenti di Israele nella fede, duramente condannati dai Profeti, con il loro ben noto esprimersi in immagini dirette e senza ipocriti veli.