lunedì 29 giugno 2015

Difesa dall'Europa

Le mitologie intorno all'Europa hanno una doppia origine: una lontana, l'illusione germanica di ereditare l'autorità dell'impero romano e di umiliare il papato, l'altra recente, l'internazionalismo concepito dal furore anticattolico di laicisti/internazionalisti della risma di Altiero Spinelli (1907-1986) ed Ernesto Rossi (1897-1967).
 Entrambe le fonti della mania europeista sono avvelenate dall'invincibile avversione dei laicisti   alla tradizione italiana e alla Chiesa cattolica, una ostilità discendente in qualche modo dalla politica degli imperatori tedeschi, Enrico IV, Federico Barbarossa, Federico II i prepadri della  eresia luterana.
 Sull'egemone europeismo di stampo germanico, nipote della tenebrosa ideologia ghibellina, sono peraltro visibili le tracce dei furori ateologici emanati da Lutero e da Boehme, e messi a tema neognostico dagli dalle filosofie di Kant, di Fichte, di Hegel, di Schelling, di Schopenhauer, di Schleiermacher,  di Wagner, di Nietzsche, di T. Mann, di Heidegger.
 L'europeismo professato dagli accaniti esponenti dell'anticlericalismo italiano, Rossi e Spinelli, ha l'impronta nascosta dell'odio teutonico verso la religione cattolica e verso la patria italiana.
 L'Europa che sta affliggendo e immiserendo la vita dell'Italia è frutto della mostruosa copula consumata dal laicismo radicale con la anacronistica, funerea e psicoanalitica passione dei ghibellini tedeschi e della loro dirompente e bellicosa cancelliera.
 Che cosa ha in comune la cultura di una tradizione autenticamente nazionale con il mostriciattolo europeo, generato da un incesto ideologico? E ancora: si conosce, fuori dalla marginalità, una tradizione italiana seriamente infatuata dal mito dell'impero, che Dante, deluso, accusava di aver originato l'italico bordello e  Francesco Petrarca definiva idolo vano, senza soggetto?
 In altri termini, può essere seriamente definita italiana quella fanatica, ostinata frazione della destra estrema, circolante al seguito della marginale setta, che si lasciò infatuare dall'europeismo nazista?
 Dopo la umiliante catastrofe della desta a mente plurima, la cultura italiana ha una sola strategica opportunità: riprendere il filo del ragionamento avviato, nella seconda metà degli anni Venti, da Henri Massis e sviluppata da Asvero Gravelli e dai collaboratori della sua rivista, Anti-Europa.
 Nella pagine di Anti-Europa è infatti indicata, con anticipo di quasi un secolo, la vera causa del movimento crepuscolare, che sta trascinando l'Occidente nel gorgo californiano della porno-thanatofilia: l'apertura della filosofia tedesca al nichilismo/nirvanismo asiatico.
 Annunciato nella prima metà del XIX dal migliore Antonio Rosmini, confermato negli anni Trenta del XX secolo dagli studi hegeliani di Alexandr Kojève, e documentata ultimamente dalle puntuali ricerche di Julio Meinvielle e di Massimo Borghesi, l'irruzione del nichilismo asiatico nella filosofia tedesca è la principale causa della laida rivoluzione sessantottina, non a caso detta francofortese.
 La rivoluzione asiatica/germanica sta producendo la decadenza morale e l'estinzione fisica delle antiche nazioni d'Europa e in special modo dell'Italia.
 Seguire la cometa europea, in definitiva, significa mettersi al seguito della suggestioni diffuse dal nichilismo tantrico/francofortese/californiano, ossia correre verso il precipizio nel quale il pastore asiatico cantato dall'infelice Leopardi cadde obliando il tutto.

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 D'altra parte è ragionevole e doveroso considerare:
a. il costo spaventoso del sistema-Europa, 6 miliardi di euro (all'anno) per la sola Italia, ad esempio;
b. la struttura babelica dei parlamenti europei, nei quali, ad esempio, si aggirano (strapagati) 350 interpreti fissi e 400 interpreti free lance;
c. la perfetta impotenza e vigliaccheria dimostrate dal sistema-Europa di fronte all'emigrazione islamica, che sta rovesciandosi sull'Italia;
d. la invincibilità dei più sordidi interessi nazionali, ad esempio gli interessi francesi, che hanno causato il tragico caos regnante in Libia; 
e. le ragioni della dissidenza greca;
f. infine la vastità e l'importanza politica ed economica dei paesi non aderenti all'unione europea: Russia, Ucraina, Norvegia, Bielorussia, Moldavia, Svizzera, Serbia, Montenegro, Bosnia, Kosovo (in totale 150 milioni di abitanti).

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 Occorre infine rammentare che la pace europea si deve all'equilibrio del terrore, che costringeva Usa e Urss a convenire sull'impossibilità di uno scontro diretto senza ricorso all'uso devastante delle bombe atomiche.
 L'insignificanza dell'autorità europea oggi si legge nei i bagliori di guerra in Ucraina, bagliori che sono incrementati e non oscurati dall'intervento ottuso e servile delle mosche cocchiere europee.
 A partire dal 1945, la pace volava alta sopra l'Europa. Chi vuol fare caso allo storia può rammentare che l'unico intervento europeo per la pace fu compiuto da Amintore Fanfani durante la crisi di Cuba del 1962. E Fanfani rappresentava l'Italia cattolica e non l'Europa illuminista e liberale.  


Piero Vassallo

domenica 28 giugno 2015

ORA A CHI TOCCA? (di Piero Nicola)

Che l'Italia si trovi in una condizione d'alto rischio a causa del cosiddetto terrorismo islamico, è precisa responsabilità dei governanti e della gerarchia ecclesiastica. Tralasciamo il fatto complessivo dell'attuale immigrazione di stranieri, che merita un discorso e una condanna a parte.
  Per assolvere l'obbligo di proteggere i cittadini e i fedeli (più o meno degni di chiamarsi cattolici) vige il dovere di riconoscere l'aggressore e i suoi moventi. 
  Siamo giunti alla seconda strage di europei in Tunisia, ad un altro attentato con uccisione quasi rituale in Francia, e si continua a vedere le cose allo stesso modo illusorio e irresponsabile. Politica? Prudenza? Paura?
Ma la falsità che dipinge d'innocenza  la diffusa colonia  installata da noi, in cui abita il nemico feroce, indebolisce viepiù le menti e le disarma, a vantaggio dei sederi accomodati nelle poltrone istituzionali. E sarebbe una magra consolazione pensare al baratro in cui precipiterà la molle insipienza delle loro teste.
  Con chi abbiamo a che fare dentro e fuori i nostri confini? Con maomettani assai religiosi e che possono avere motivi di rivalsa vecchi e nuovi verso l'Occidente. Anche nei tiepidi, per forza di cose e di crisi, la religiosità è pronta a risvegliarsi.
  Essa a che cosa fa capo? Il mondo maomettano è diviso in parecchie sette, ma il loro comune riferimento consiste nel Corano (rivelato da dio a Maometto) e in una dottrina (bensì desunta da una tradizione), tra i cui capisaldi abbiamo i seguenti:
  L'islamismo non è solo religioso, ma anche politico e giuridico. Esso regola, sotto la legge divina, ogni aspetto della vita e del credente, non distingue fra potere spirituale e temporale.
  "Ai cinque pilastri [delle prescrizioni religiose] se ne aggiunge spesso un sesto, la guerra santa (gihad). Secondo la dottrina musulmana, tutto il territorio che non si trova sotto il dominio dell'islam è dar al-harb, 'zona di guerra'. Esso deve essere conquistato mediante la guerra, che non può avere fine se non con l'assoggettamento di tutto il mondo.
  "Questa teoria ha dovuto molto cedere alla realtà delle cose, pur sussistendo in sede di diritto e costituendo come tale un fenomeno di notevole interesse.
  "L'obbligo della guerra santa è collettivo, non individuale: è sufficiente in altri termini che esso venga assolto da una parte della comunità". Alla quale, si capisce, la "parte" rimanente dev'essere solidale ovunque essa sia.
  "Degli infedeli, sono ammessi a vivere in terra islamica conservando la loro religione solo i possessori di Sacre Scritture, e cioè ebrei, cristiani, e poi anche zoroastriani. Essi sono oggetto di un particolare statuto, per cui vengono sottoposti a tributo e a determinate limitazioni nella vita pubblica, ricevendo in compenso protezione e garanzia di libero culto".
  Cfr. Enciclopedia Cattolica, vol. VII, col. 277 segg.
  Magdi Cristiano Allam, noto giornalista, politico e scrittore, osserva che in Tunisia il primo ministro ha ordinato la chiusura di 80 moschee possibili covi di terroristi, e che in Italia il governo non si sognerebbe di prendere simili provvedimenti. Da tempo, l'Allam ha dato l'allarme con tanto di documentazioni, inascoltato.
  Il terrorismo proveniente da centri religioso-politici dei seguaci di Allah, ha precedenti nell'antica vicenda degli Assassini, affiliati a una setta che imperversò in Siria nel tredicesimo secolo (Enciclopedia Treccani, Vol. IV, col. 984 segg.) D'altronde, il Corano prevede la legge del taglione, le crudeltà degli osservanti del sacro libro sono famose nella storia passata e recente.
  Dal lato della fede, i contrasti tra l'islamismo e il cattolicesimo sono insanabili. Riconoscimenti, amicizia, accoglienza indiscriminata, dimostrati da Roma vaticana a quegli infedeli (che non hanno gerarchia, né unico capo religioso) sono disastrosi per noi, sia nel campo religioso che in quello civile.
  Per gli islamici siamo categoricamente coloro che hanno corrotto la religione, restaurata da Maometto. A causa di antiche contrapposizioni in ordine a interpretazioni teologiche e fatti storici, sciiti e sunniti si combattono a vicenda con indefessa intransigenza, figurarsi il loro atteggiamento nei confronti degli infedeli, discendenti dei Crociati. Essi negano la Trinità, la divinità di Gesù Cristo, la Vergine, i Sacramenti; credono nel predeterminismo, cioè nella creazione degli atti umani da parte del loro dio, pur con l'intervento dell'uomo come esecutore responsabile, nel loro paradiso le incantevoli uri allietano, con una sempre rinnovata verginità, specialmente i caduti in battaglia.
  Con essi abbiamo ben poco da spartire anche riguardo alla morale (p.e. la poligamia). Ma quella massima idiota per cui bisognerebbe badare a quello che accomuna e per cui sarebbe doveroso intrattenere il dialogo col nemico irriducibile, ha animato l'ultimo dei grandi baciatori del Corano: Bergoglio. Il quale andò a predicare dalla barca a Lampedusa (con un'offensiva imitazione del Messia), ammonendo gli italiani ad aprire le porte a tutti quanti: tutti fratelli, tutti innocui, tutti perseguitati e diseredati. Ben sapendo che, anche nelle mani di Renzino e di Alfanuccio, si sarebbe fatta pressappoco d'ogni erba un fascio, sia per politica, sia per servilismo europeista e mondialista, sia per incapacità di governare la situazione.
  Chi avrà avuto la pazienza di leggere quell'incredibile zibaldone dottrinale che è l'Instrumentum laboris, destinato alla prossima sessione del Sinodo dei Vescovi, avrebbe avuto modo di verificare - tra le altre - l'eresia dominante del neomodernismo: l'abolizione dei nocivi, degli strumenti del demonio, e la corrispondente capacità dei fedeli, delle famiglie, di difendersi dalle seduzioni dell'errore. Gli omosessuali dichiarati e impenitenti, i peccatori pubblici, andrebbero compresi e "accompagnati", mantenuti nel gregge  con... misericordia: nessuno scandalo, nessun pericolo; per giunta, ad essi si dà tutto il tempo, se mai vogliano ascoltare la chiesa (ma quale chiesa! quale magistero!), tutto il tempo di offendere Dio! 


Piero Nicola  

venerdì 26 giugno 2015

Sulla bandiera a stelle e strisce fiammeggia la parola sodomia

 Li chiamano liberatori. Se non che io li ricordo bene i volanti mitragliatori americani, correva la seconda decade dell'aprile del 1945, sui monti di Liguria i borghi erano senza difese, i liberatori scendevano indisturbati, volteggiavano allegramente a bassa quota e scaricavano, contro i civili inermi, per lo più donne e bambini, pallottole che bucavano i muri.
 Uccidere i civili era lo sport dei vincitori. Sparavano e uccidevano senza una ragione, gli eroici statunitensi.  La repubblica di Salò era in ginocchio, i tedeschi in fuga disperata, gli alleati avevano attraversato il Po e dilagavano nella pianura padana, le ingrossate squadre dei partigiani stavano per calare sulle martoriate città del Nord Italia, dove avrebbero amministrato - sommariamente - la democratica giustizia.
 Quale senso aveva mitragliare i civili? Quale senso infierire sui vinti incolpevoli? I vincitori non avevano deputato ad altri la punizione degli italiani refrattari? D'altra parte quale aviatore e con quale criterio sapeva riconoscere i reprobi negli anonimi bersagli delle sue micidiali armi?
 Finalmente so che cosa genera la rabbia che definisce le imprese dei vigliacchi: la proverbiale incontinenza dei feroci mercenari di Carlo V, in dialetto detti froci per l'abitudine romana di mangiare vocali e consonanti.
 Vincitori lanzichenecchi e/o bombardieri americani: feroci ossia froci. Malaparte, nel romanzo La pelle, ha appunto dimostrato che la seconda guerra mondiale fu vinta dai pederasti. Oggi lo possiamo affermare senza temere smentite, poiché la corte suprema degli Stati Uniti ha ufficialmente riconosciuto la validità del matrimonio pederastico. Nella prima pagina della costituzione americana fiammeggia la parola Culo.
 Finalmente noi vinti possiamo dire che le strisce della bandiera americana sono sono disegnate dallo sterco dei feroci.
 Il pisciatoio esulta. Il perdonismo sospira piamente. La politica gongola e prepara piste golose per i pedofili. Intanto batte alle porte il terrore islamico. Chi oserà dire ai legislatori che il cieco, bestiale furore dei maomettani è il premio guadagnato e meritato dalla culocrazia? Chi oserà rammentare che Dio non paga il sabato?


Piero Vassallo

Le ombre del pisciatoio

Gentile Signora,
la infausta proposta di legge intesa a introdurre la sodomia nelle scuole italiane conferma tre verità sanamente realistiche:

1. dall'America - liberatrice ed esportatrice di tutte le perversioni e di tutte le sciocchezze oltre che degli orrori atomici - è arrivata in Italia, tramite il galoppante culocrate Herbert Marcuse, quella frenesia pederastica che ha agitato le inconsapevoli, sonnamboliche comparse in fila urlante nelle scene sessantottine

2. la democrazia moderna, ultimamente ricettacolo del delirio francofortese sessantottino, è un errore ben visibile al qualunque lettore non prevenuto di quell'aborto giuridico che è la costituzione italiana - pozzo nero dal quale si leva la figura ributtante del pederasta democratico e della lesbica urlante nel pisciatojo

3. l'egoismo denatalista e la pederastia incensata dal parlamento progressivo rappresentano la volontà di cancellare la nazione italiana, di liquidare la memoria dei Santi Patroni e della folla dei Martiri - si vuole sostituire la nazione cristiana con una nazione intonata alle menzogne del falso profeta maometto (a proposito, visto che il papa bacia il corano io sputo allegramente/ecumenicamente  sul corano, libro idiota, delinquenziale e mefitico)

Onorevole Giannini, non permetta che le ombre del pisciatoio invadano quel che rimane della nostra civiltà e del nostro antico primato. Non trasferisca la scuola nel tempio di Vespasiano! Non si arrenda ai Luxuria!


Piero Vassallo


giovedì 25 giugno 2015

Destra e sinistra, sognando l'antItalia

 Escono contemporaneamente due volumi, La libertà tirannia di Luigi Taparelli d'Azeglio s. j., presentato da Gianandrea de Antonellis ed edito da Solfanelli in Chieti, e Libera e una! L'età del Risorgimento fra Tradizione e Rivoluzione di Corrado Camizzi, edito da Thule in Palermo. Si tratta di due testi divergenti/convergenti, nei quali sono esposte le ragioni del frazionismo legittimista e del movimento unitario.
 Taparelli d'Azeglio, contestatore irriducibile del progetto unitario, nel 1860 dichiarava la sua avversione scrivendo, nella Civiltà Cattolica: "Chi è che non abbia udito la stampa libertina gridare altamente che un popolo non è greggia di pecore, che i popoli non si vendono? Or bene ecco il Piemonte condannato dalla propria iniquità ad entrare risolutamente i codesto traffico di carne umana: eccolo chiedere all'Austria che venda la Venezia ed il resto della Lombardia, agli Estensi Modena, ai Borboni Parma, al Pontefice le Romagne". 
 Ineccepibile alla luce della giurisprudenza pura, l'accusa di padre Taparelli d'Azeglio tendeva a sottovalutare i diritti associati all'esistenza reale di una storia e di una cultura nazionale contraria alla discesa degli europei lurchi.
 La carta geopolitica dell'Italia pre-unitaria, cara ai legittimisti, era, di fatto, disegnata dall'alleanza dei dominatori stranieri con i tiranni nazionali, oltre che dal fantasma della inesistente donazione costantiniana.
 Emblema della disunità è pertanto il Maramaldo, mercenario al servizio di Carlo V, partecipe al sacco di Roma  e assassino di Francesco Ferrucci.
 La legittimità rivendicata in buona fede da Taparelli d'Azeglio era in realtà il prodotto di odiose invasioni straniere (quasi figure della spada di Brenno) e di spregevoli opportunismi e tradimenti italiani.    
 Interprete insigne della destra nazionale, Camizzi riconosce che "l'Italia nacque come formazione politica, nel breve volgere di due anni e in maniera sostanzialmente eversiva, fu cioè il frutto di una serie di usurpazioni, malamente rabberciate da alquanto improbabili plebisciti".
 Se non che Camizzi, a differenza del Taparelli e dei suoi anacronistici continuatori, Angela Pellicciari ad esempio, rammenta che "i principi italiani videro la maggiore garanzia di stabilità, anziché nel consenso e nella fiducia dei loro popoli, nella protezione di una potenza europea interessata a garantire, con la sua influenza omogeneità a sicurezza".
 Al proposito, Camizzi cita la tesi di Francesco Leoni, secondo cui "nel clima della Restaurazione si manifestarono due tendenze nell'opinione pubblica di sentimenti controrivoluzionari, quella di coloro che ritenevano doversi almeno prendere coscienza di quanto era accaduto nell'arco di venticinque anni e dunque adattare la strategia del movimento sanfedista ad una realtà che, bene o male, era mutata e quella degli intransigenti, che respingevano ogni modifica introdotta introdotta nelle menti e nel contesto socio-politico dalla Rivoluzione francese e dall'esperienza napoleonica".
 La radice dell'avversione al risorgimento è la conclamata incapacità di vedere e il tarlo assolutista in azione devastante nelle monarchie europee e, al suo seguito, la folle pretesa di sottomettere le chiese nazionali.
 Non è dunque possibile contestare la puntuale sentenza di Camizzi: "non si può difendere in sede storica un mondo che rappresenta un passato senza alcun avvenire, come pretenderebbero di fare gli storici revisionisti più radicali".
 Le disoneste ombre della massoneria garibaldina, giustificano il rifiuto della malsana strategia liberale, non il rifiuto di un bene prezioso e inalienabile quale è l'unità della Patria.

 La critica dei metodi, in definitiva, non può e non deve rovesciarsi nel rifiuto del risultato, l'impresa unitaria, felix culpa da cui dipende la speranza di non essere schiacciati dalle teutoniche natiche della cancelliera Merkel. 

Piero Vassallo

STORIA E FOGGE DI STATO E DI GOVERNO (di Piero Nicola)

  Non di rado, gli scienziati in materia di uomo civile, di cosa pubblica, di società e di costituzioni, ne sanno molto, allegano autorevoli citazioni, elaborano giudizi, ma il loro sapere li tradisce, li accompagna nella parzialità, contribuisce alla fallacia delle somme tirate. Sicché essi vengono meno alle sintesi vere e possibili.
  Sembrerebbe oltraggioso attribuire loro delle preferenze a priori, per cui i giudizi divengono invalidi, eppure sovente è proprio così. Essi sono comuni esseri umani, dotati per gli studi e per emergere, ma non sono esenti da passioni, ambizioni, interessi.
  Forse inconsapevolmente, essi commettono un errore di principio e di metodo: prendono a modello, per la realtà politica, una perfezione e non se ne discostano. Trovando necessariamente nella storia il vulnus recato da un governante all'ineccepibile perfezione, ne traggono la condanna, una condanna in effetti sommaria, in accordo con le propensioni suddette, quindi immotivata.
  Nessuno di noi nega il diritto alla giusta libertà, i valori della famiglia, e forse la corretta libertà religiosa, l'equo processo giudiziario, il rispetto dovuto all'individuo. Però la morale naturale e cattolica non prescindono mai dalla giusta causa che autorizza, anzi comanda, la necessaria deroga all'osservanza della legge naturale. La Chiesa prevede ed applica la tolleranza: il diritto di valersi d'un male per evitare un male certo e peggiore. Inoltre, essendo il governante uomo fallibile, i suoi errori, quando non sono certi, sistematici e pervicaci, fanno parte della normale fallibilità.
  Per esempio, l'aver eliminato le case di tolleranza, anziché essere stata un'opera di giustizia, è stata un'improvvida e responsabile scelta del male maggiore, che sarebbe stato prevedibile. Per esempio, fare una guerra creduta giusta e invece dubbia. Quando poi fosse colpevole, occorrerebbe appurare se ci fu il ravvedimento dei rei e gli eventuali rimedi attuati e attuabili.
  Ad ogni modo, chi opera senza colpa? Non sarà un sistema politico a rendere impeccabili i suoi agenti! Esso potrà suddividere le responsabilità, e non per questo dev'essere più benefico. Tornerò, in proposito, sull'iniquità, anche tirannica, della democrazia.
  L'esimio studioso, l'esperto della materia, sistemato nel mondo, sovente finisce per ignorare certe regole morali.
  Il giudizio sull'autoritarismo. - Di per sé, esso non è condannabile, se si vuol prestare fede al Magistero tradizionale della Chiesa, che ammise ogni forma di Stato. Inoltre, per contestare il sistema autoritario,  bisognerebbe contestare la società visibile e concreta della Chiesa, essenzialmente monocratica e strettamente gerarchica, oppure cadere nell'errore storicistico, evoluzionistico, ecc., oltretutto denunciato dai fatti: l'uomo odierno è più incapace di prima a difendersi dall'errore e a produrre una degna conduzione della società.
  Uno Stato temporale costituito sul modello della Chiesa, porge la facoltà di una guida retta e ortodossa. Le eventuali limitazioni delle libertà potrebbero essere giustificate. I motivi contingenti addotti per escludere tale soluzione, come quello della mentalità liberale radicata o l'egemonia delle grandi potenze, sono inconsistenti: il popolo cambia facilmente indirizzo, le potenze atlantiche non sono le sole al mondo e spesso devono abbozzare.
  Vediamo le cadute dell'autocrazia: il cesarismo, la tirannia. Di nuovo, occorre prendere in esame la sostanza di tali deviazioni alla luce delle circostanze più gravi. Per esse, si è disposti a concedere a un Papa l'omissione della aperta condanna di un regime indubbiamente empio e iniquo. Con lo stesso metro si dovrà ammettere che un dittatore, magari sottoposto a un sovrano costituzionale, debba esaltare il suo prestigio o bandire l'opposizione politica. I motivi saranno diversi: l'insufficienza dei ministri, le trame di fautori d'un ordine civile seducente e cattivo, che farebbe precipitare il paese nel precedente disordine, le insidie di nazioni estere nemiche. D'altronde, nel rispetto di un unico complesso di valori tradizionali, ovvero eterni, è dato ai cittadini di esprimere le proprie istanze, le proprie idee e critiche costruttive e svolgere una libera attività. Essenziale è che il regime non sia contrario alla Chiesa, alla sua etica, alla  famiglia, al bene comune possibile. È incerto se sia ingiusta la guerra dichiarata dal capo del governo, con il consenso del sovrano e del popolo, contro nemici che hanno attuato ostilità, minacce e gravi offese verso la Patria. Si pensi alle dittature di Spagna e Portogallo - con le quali l'America intrattenne buoni rapporti. Si pensi, invece con molte riserve, ai governi di militari voluti dagli USA.
  Circa il Ventennio, l'Enciclopedia Cattolica non lo condanna, pur accusandone alcuni difetti, per lo più rimediati. Analogo atteggiamento tenne la Chiesa verso di esso, dopo una seconda riconciliazione. Le leggi razziali furono imperdonabili. Ma a quale prezzo si sarebbe potuto emendare quella colpa revocandole? Nella pratica, si cercò di attenuarne gli effetti.
  Una nota merita il comportamento del re. Se era prevedibile la bellica sconfitta, non agì egli forse per la disfatta e per la caduta del fascismo, allontanatosi dalla massoneria e la cui idea aveva conquistato svariate nazioni, minacciando la stessa egemonia anglosassone? Non fu un tradimento che precedette quello commesso di nascosto a danno dell'alleato germanico? I tradimenti avvenuti durante il conflitto in seno all'esercito, ai comandi vicini alla monarchia, concorrerebbero ad accreditare l'ipotesi.
  Il regime alternativo, la democrazia. - I delicati, coloro che, sorgesse un caudillo, deposto l'orgoglio egocentrico,  lo applaudirebbero immedesimandosi in lui, finalmente liberati dall'angustia di dover eleggere gente inetta, di dover sottostare alle peggiori miserie umane, i delicati - dicevo - mettono le mani avanti alla Pangloss: "Questo è il migliore dei sistemi possibile, pur con le sue magagne". E come può essere? Come può essere che i saggi concordino ancora con la fede democratica, dopo la prova che ha dato di sé questa demagogia? Dipende da essa lo sfacelo della civiltà: che non fu democratica e della cui rendita si visse, essendo dura da distruggere.
  Basato sulla corruzione dell'elettore, sulla losca e deleteria concorrenza dei partiti, delle fazioni e degli interessi particolari, dei pubblici poteri, dominato da poteri forti e occulti, questo disordine organizzato è l'habitat di un'oligarchia corrotta e corruttrice, senza rimedio. La sua ingiustizia è radicale, assegnando gli stessi diritti politici a buoni e cattivi, a competenti e sprovveduti, affidando legislazione e governo a uomini d'ogni provenienza. Solo la pazza filosofia liberale, quella d'un Benedetto Croce, può stabilire che da simile giungla sortisca il bene. Infatti ha generato via via, in Italia, la droga, il divorzio, l'aborto, la pornografia, la denatalità, le perversioni rese all'onor del mondo, i matrimoni omosessuali, e chi più ne ha più ne metta.
  Gli studiosi ci spieghino, se ci riescono, come stia al di fuori del liberalismo la genesi del declino occidentale, avvenuto sotto l'influenza da Oltre Oceano, donde da tempo proviene ogni influsso e moda. Essi ne uscirebbero imputando il disastro al piano attuato da un gruppo o da una società di padroni del pianeta? Costoro dove sono nati e cresciuti? Sta di fatto che in quella patria umanitaria della terrena felicità promessa a ciascuno uguale, in quella terra ricca e intraprendente, arata con le libertà, seminata d'illusioni e che ha assorbito tante vittime dell'ingiustizia, la decadenza ha potuto avvenire. Gli studiosi ci spiegheranno perché popoli relativamente indipendenti, come Francia, Gran Bretagna o Svezia, hanno seguito la stessa parabola discendente.
  Siccome io non sono che un ragionatore, chiamo a testimone un'autorità tra noi indiscussa e che deriva le sue sentenze dalla predicazione dei suoi predecessori e dal dato rivelato: Pio XII. Con il Radiomessaggio di Natale 1944, egli si ripromise di fissare i termini della sana e proficua democrazia, egli definì quella viceversa cattiva e, in generale, le condizioni necessarie allo Stato per essere degno e procacciatore del bene.
  Premessa, "secondo gli insegnamenti della Chiesa": "Non è vietato di preferire governi temperati di forma popolare, salva però la dottrina cattolica circa l'origine e l'uso del potere pubblico".
  Basta questa avvertenza per mettere fuori gioco, ossia nell'iniqua ed empia autonomia, le democrazie che stabiliscono l'indipendente sovranità popolare, l'indipendente legislazione e azione di governo, cioè tutti i regimi vigenti.
  Seconda premessa: "La Chiesa non riprova nessuna delle varie forme di governo, purché adatte per sé a procurare il bene dei cittadini" (Leone XIII, Enc. Libertas).
  Entrando nel merito, il Pontefice precisa "i caratteri propri dei cittadini in regime democratico". L'uomo non dev'essere un "oggetto e un elemento passivo della vita sociale", ma "il soggetto, il fondamento e il fine". "Dalla solidità, dall'armonia, dai buoni frutti di questo contatto tra i cittadini e il governo dello Stato, si può riconoscere se una democrazia è veramente sana ed equilibrata, e quale sia la sua forza di vita e di sviluppo". Si metta "il cittadino in condizione di avere la propria opinione personale, e di esprimerla e farla valere in una maniera confacente al bene comune".
  Questo si avrà se il popolo contenuto nello Stato resti popolo e non "massa", se lo Stato sia realmente "l'unità organica e organizzatrice di un vero popolo". "Il popolo vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali - al proprio posto e nel proprio modo - è una persona consapevole delle proprie responsabilità e delle proprie convinzioni". Allora "la vita" "di un vero popolo" "si effonde, abbondante, ricca, nello Stato e in tutti i suoi organi, infondendo in essi, con vigore incessantemente rinnovato, la consapevolezza della propria responsabilità, il vero senso del bene comune".
  Questa vita ideale è mai possibile? Di certo è impossibile in un mondo affetto da peccato originale e da laicismo. Per giunta, alla democrazia che rispetta il popolo organico, s'impone di distinguere il valore specifico degli elettori: da non considerarsi uguali nell'adempimento del loro dovere politico.  
  "Della forza elementare della massa, abilmente maneggiata ed usata, può pure servirsi lo Stato: nelle mani ambiziose d'un solo o di più, che le tendenze egoistiche abbiano artificialmente raggruppati, lo Stato stesso può, con l'appoggio della massa, ridotta a non essere più che una semplice macchina, imporre il suo arbitrio alla parte migliore del vero popolo: l'interesse comune ne resta gravemente e per lungo tempo colpito e la ferita è bene spesso difficilmente guaribile".
  Qui si descrive il fatale ed effettivo essere della democrazia, laica e pluralista come l'attuale Vaticano pretende che debba essere.
  "In contrasto con questo quadro dell'ideale democratico di libertà e d'uguaglianza in un popolo governato da mani oneste e provvide, quale spettacolo offre uno Stato democratico lasciato all'arbitrio della massa! La libertà, in quanto dovere morale della persona, si trasforma in una pretensione tirannica  di dare libero sfogo agl'impulsi e agli appetiti umani a danno degli altri. L'uguaglianza degenera in un livellamento meccanico, in una uniformità monocroma: sentimento del vero onore, attività personale, rispetto della tradizione, dignità, in una parola, tutto quanto dà alla vita il suo valore, a poco a poco, sprofonda e dispare. E sopravvivono soltanto, da una parte, le vittime illuse del fascino appariscente della democrazia, confuso ingenuamente con lo spirito stesso della democrazia, con la libertà e l'uguaglianza; e, dall'altra parte, i profittatori più o meno numerosi che hanno saputo, mediante la forza del denaro o quella dell'organizzazione, assicurarsi sugli altri una condizione privilegiata e lo stesso potere".
  Quanto ai "caratteri degli uomini che nella democrazia tengono il pubblico potere", se i reggitori devono essere riconosciuti e ubbiditi assolutamente, "alla luce della sana ragione, e segnatamente della fede cristiana", quell'ordine "non può avere altra origine che in un Dio personale, nostro Creatore"e "la dignità dello Stato è la dignità della comunità morale voluta da Dio, la dignità dell'autorità politica, la dignità della sua partecipazione all'autorità di Dio".
   "Soltanto la chiara intelligenza dei fini assegnati da Dio ad ogni società umana, congiunta col sentimento profondo dei sublimi doveri dell'opera sociale, può mettere quelli, a cui è affidato il potere, in condizione di adempiere i propri obblighi di ordine legislativo, sia giudiziario od esecutivo, con quella coscienza della propria responsabilità, con quella oggettività, con quella imparzialità, con quella lealtà, con quella generosità, con quella incorruttibilità, senza le quali un governo democratico difficilmente riuscirebbe ad ottenere il rispetto, la fiducia e l'adesione della parte migliore del popolo".
  "La questione della elevatezza morale, della idoneità pratica, della capacità intellettuale dei deputati al parlamento, è per ogni popolo in regime democratico una questione di vita o di morte, di prosperità o di decadenza, di risanamento o di perpetuo malessere".
   "Una sana democrazia, fondata sugl'immutabili principi della legge naturale e delle verità rivelate, sarà risolutamente contraria a quella corruzione, che attribuisce alla legislazione dello Stato un potere senza freni né limiti, e che fa anche del regime democratico, nonostante le contrarie ma vane apparenze, un puro e semplice sistema di assolutismo.
  "L'assolutismo di Stato (da non confondersi, in quanto tale, con la monarchico assoluta, di cui non si tratta) consiste infatti nell'erroneo principio che l'autorità dello Stato è illimitata e che di fronte ad essa - anche quando dà libero corso a mire dispotiche, oltrepassando i confini del bene e del male - non è ammesso alcun appello ad una legge superiore e moralmente obbligante".
  "Questa maestà del diritto positivo umano allora soltanto è inappellabile, se si conforma - o almeno non si oppone - all'ordine assoluto, stabilito dal Creatore e messo in una nuova luce dalla rivelazione del Vangelo. Essa non può sussistere se non in quanto rispetta il fondamento sul quale si appoggia la persona umana, non meno che lo Stato e il pubblico potere".
  Il buon intenditor non avrà bisogno di commento.

Piero Nicola

  

Luce dal sepolcro. Indagine sull’autenticità della Sindone e dei Vangeli (Recensione di Emilio Biagini)

Questo saggio, Luce dal sepolcro. Indagine sull’autenticità della Sindone e dei Vangeli (Fede & Cultura, Verona 2015), scritto a due mani Emanuela Marinelli e Marco Fasol, si propone, con pieno successo, di porre in evidenza non solo l’autenticità della preziosa reliquia di Torino e dei Santi Vangeli, ma di mostrare come queste due fonti si integrino a vicenda, e trovino conferma l’una nell’altra. Premetto che non ho competenza specifica di studi sindonici, che mi sono limitato a seguire, semplicemente documentandomi su quanto si veniva via via pubblicando, dopo essere stato introdotto a questo tema affascinante dal mio venerato maestro, il salesiano Prof. Pietro Scotti.
Emanuela Marinelli ha due lauree, in Scienze Naturali e in Geologia, ed è forse la massima autorità al mondo in fatto di studi sulla Sindone, sulla quale ha scritto una montagna di articoli e sedici libri tradotti in varie lingue. Ricercata conferenziera, ha tenuto conferenze sul Sacro Telo in tutto il mondo.
Marco Fasol, laureato in Filosofia alla Cattolica di Milano e diplomato in Scienze religiose presso lo Studio Teologico “San Pietro Martire” di Verona, è autore di vari saggi, ed è particolarmente esperto di apocrifi gnostici, oltre ad aver approfondito il tema centrale dell’amore cristiano a confronto con il concetto pagano di amore.
Nella suo studio sulla Sindone, la professoressa Marinelli ripercorre dapprima la storia delle ricerche, iniziata nel 1898 con le foto dell’avvocato Secondo Pia. Le indagini sui pollini compiute dal botanico Max Frei hanno scoperto decine di specie provenienti da tutte le regioni in cui il Sacro Telo si è trovato: di fondamentale importanza la scoperta dello Zygophillum dumosum, che cresce solo a Gerusalemme e in zone finitime. Lo studio dei pollini permette pure di chiarire il rituale della sepoltura, in pieno accordo con le descrizioni storiche delle pratiche funerarie in uso al tempo di Gesù. Pierluigi Baima Bollone ha identificato particelle di aloe e mirra, usate nel trattamento del cadavere, soprattutto nelle zone macchiate di sangue. Di tale sangue, di indubbia origine umana, è stato pure possibile determinare il gruppo, lo AB, che è molto raro ed è lo stesso che si ritrova nei campioni ematici dal miracolo eucaristico di Lanciano e sul sudario di Oviedo, ed è frequente solo tra gli Ebrei “babilonesi” e della Palestina settentrionale.
Nonostante il parere contrario di vari studiosi, la Curia torinese ha voluto sottoporre la Sindone alla prova del radiocarbonio; tale parere contrario era ben motivato: il Telo ha subìto troppe contaminazioni (funghi e batteri che coprono come una patina le fibre del tessuto e non sono eliminabili coi normali metodi di pulizia dei campioni), senza contare i rammendi, ed è stato più volte minacciato da incendi che possono aver causato scambi di isotopi. Nonostante ciò, lo studio al radiocarbonio del Sacro Telo è stato affidato alle “cure” di tre università in ambienti accademici massonici ultralaicisti: a Oxford, a Tucson nell’Arizona, e a Ginevra. I risultati, annunciati con sorrisi di soddisfazione da un orecchio all’altro in una solenne conferenza stampa di fronte alle telecamere di tutto il mondo, attribuivano alla Sindone una data tra il 1260 e il 1390 d.C. Sugli autori dell’“indagine” piovvero lodi sperticate e finanziamenti di milioni di dollari da parte di ben noti circoli massonici. Cominciarono ad apparire, specie nei paesi di lingua inglese, libercoli blasfemi e pieni di insinuazioni, quanto scientificamente nulli, che parlavano di “mafia della Sindone” e di “divino imbroglio”. Il “prestigioso” Museo (massonico) della “Scienza” di Londra allestì una trionfale mostra sulla Sindone, “falso medievale”. Tuttora il museo esibisce un’intera vetrina dedicata alle datazioni al radiocarbonio che porta come unico esempio dei “successi” di tale tecnica, la datazione “medievale” della Sindone, senza alcun accenno ad altre contrastanti datazioni. Un mio tentativo di far osservare, per lettera, alla direzione del museo e al Times, che le norme di comportamento della ricerca scientifica impongono almeno di riferire l’esistenza di datazioni diverse ottenute con altri metodi non ha ottenuto alcuna risposta. Tanto meno il prestigioso museo londinese si è preoccupato di informare i visitatori della scarsissima attendibilità che spesso accompagna le datazioni al radiocarbonio.
Il fatto che i risultati del radiocarbonio fossero in totale contrasto con tutti i risultati delle ricerche precedenti non fu neppure preso in considerazione, come pure nessuno dei tripudianti laicisti riconobbe che il campione di tessuto era stato prelevato proprio nell’angolo più inquinato da impurità e dall’esistenza di un rammendo. Analogamente non si tenne in alcun conto la scarsa attendibilità della datazione al radiocarbonio, che raggiunge livelli esilaranti. Una mummia egizia conservata nel Museo di Manchester ha fornito date con uno scarto di mille anni tra le ossa e le bende, risultate più “giovani”. Aggiungo che una chiocciola deceduta immediatamente prima che la scienza ne prendesse in carico la salma è stata datata a ben cinquemila anni fa. Un corno da bere vichingo, sicuramente antico di circa mille anni, è stato datato nel futuro, all’inizio del terzo millennio.
Metodi alternativi di datazione, basati sulla spettroscopia vibrazionale, sulla degradazione delle catene polimeriche sottoposte a trazione meccanica, hanno dato risultati del tutto compatibili con la datazione del Telo all’epoca di Cristo. Ulteriori analisi potrebbero farsi basandosi sulle alterazioni della cellulosa (depolimerizzazione, carbossilazione, metilazione).
Caratteristica peculiare della Sindone è la presenza di informazioni tridimensionali, ottenute trasformando le diverse intensità dei punti dell’immagine in rilievi verticali di distanza del corpo dal tessuto: ciò ha permesso di ottenere un’immagine tridimensionale proporzionata e senza distorsioni. Niente di simile è stato possibile ottenere da tutti coloro che hanno cercato di ottenere immagini simil-sindoniche per dimostrare la falsità del Sacro Telo: né la teoria della pittura, né quella della camera oscura e del pirografo, né del bassorilievo strofinato o riscaldato, né alcun altro fantasioso tentativo, hanno ottenuto risultati. Appare invece assai promettente l’ipotesi della formazione dell’immagine in seguito ad un intenso lampo di energia.
Nella rivelazione a Maria Valtorta, il Divino Maestro conferma l’autenticità della Sindone e ne spiega l’origine. Nel libro pubblicato insieme al giornalista Saverio Gaeta nel 2013, il Professor Giulio Fanti propone un’interessante correlazione con il “razzo di fuoco” descritto dalla mistica: “Tale meteora potrebbe essere entrata nel sepolcro, per ridare vita al corpo esanime, agendo dall’alto della cavità, secondo quanto ipotizzato dai modelli computerizzati basati sull’effetto corona.” Tramite la stessa veggente, è lo stesso Signore Gesù a fornire la spiegazione circa l’agente chimico più potente nel miracolo sindonico. In seguito alle contusioni feroci, le reni di Lui sono divenute incapaci di filtrare (blocco renale) e l’urea si è accumulata e diffusa nel sangue provocando le atroci sofferenze dell’intossicazione uremica: trasudando dal Cadavere l’urea ha fissato l’impronta sulla tela in modo indelebile (L’Evangelo come mi è stato rivelato, Cap. 613). Le cause della morte furono sicuramente molteplici, e il Divino Maestro indicò alla Valtorta appunto l’intossicazione uremica, ciò che non contrasta, naturalmente, con l’episodio terminale dell’emopericardio che risulta dall’esame della Sindone.
Impossibile, nel breve spazio di una recensione, dar conto di tutte le ulteriori prove sull’autenticità del Sacro Telo. Basti aggiungere che la forte coincidenza del volto sindonico con rappresentazioni artistiche antiche, rilevata mediante la tecnica della sovrapposizione in luce polarizzata, rivela chiaramente che la Sindone era conosciuta fin dal III-IV secolo. La mancanza di rappresentazioni ancor più antiche si spiega con la necessità di tener nascosta la preziosissima reliquia a causa delle persecuzioni.
L’autrice ricostruisce poi la storia degli spostamenti della Santa Sindone e analizza dettagliatamente le tracce delle tremende sofferenze della Vittima quali appaiono dall’impronta, ponendo a confronto gli atroci dettagli delle immagini con le descrizioni dei Vangeli e con le dettagliate profezie della Passione nell’Antico Testamento. La corrispondenza appare perfetta e indiscutibile.
Entra a questo punto in scena il prof. Fasol, il quale svolge una serrata analisi che dimostra l’autenticità dei Vangeli, e fornisce quindi il supporto storico all’evidenza archeologica della Sindone: entrambi si confermano e chiariscono a vicenda. Vi è anzitutto il problema se il testo evangelico a noi giunto sia conforme all’originale. La risposta è senz’altro positiva. Nella Palestina dell’epoca di Gesù meno del 10% della popolazione sapeva leggere e scrivere, e l’apprendimento mnemonico era fondamentale, ed avveniva sotto il controllo dei maestri, il cui insegnamento consisteva in una continua ripetizione a memoria del patrimonio di conoscenza ereditato. Ciò non riguardava solo la cultura giudaica, ma era prassi comune di tutte le civiltà antiche, come testimoniato anche a Cicerone. Questo impediva qualsiasi modifica o invenzione, garantendo un’omogeneità della tradizione orale sostanzialmente concordante in tutte le comunità del Mediterraneo, che ritroviamo nei testi canonici riguardo alla predicazione e agli eventi principali.
Sulla base di questa solida e concorde tradizione orale, i quattro evangelisti stesero, entro il primo secolo, i loro testi, poi trasmessi per copiatura a mano da parte degli amanuensi. E costoro manipolarono e alterarono forse il testo? No. Esistono, dei quattro Vangeli, oltre 15.000 manoscritti, sicuramente concordanti, pur copiati in epoche diverse e nei più diversi centri mediterranei, sia pure con gli inevitabili errori ortografici e di trascrizione, dei quali tuttavia nessuno intacca minimamente la dottrina. E certo gli amanuensi non avevano a disposizione le moderne tecniche di comunicazione per accordarsi su eventuali aggiunte e manipolazioni. A ciò va aggiunto l’immenso numero di citazioni degli scrittori cristiani dei primi tre secoli, oltre 20.000, che permetterebbero addirittura di ricostruire quasi tutto il Nuovo Testamento solo raccogliendo queste citazioni.
Tutti gli altri testi antichi dispongono di una documentazione di gran lunga inferiore: dell’Iliade e dell’Odissea sono rimasti circa 600 manoscritti, ed è un record; per altri autori antichi le cifre sono assai più basse: Virgilio ha poco più di 100 codici, Platone e Cesare solo una decina, Tacito per alcune opere solo uno e incompleto. Eppure nessuno ha mai dubitato della loro esistenza. Inoltre la distanza fra il testo originale, perduto, e i primi codici conservati, è solitamente di vari secoli. Ma nel caso dei Vangeli, i primi manoscritti distano dall’originale non più di qualche decennio. Il gigantesco lavoro di generazioni di studiosi di filologia garantisce che il testo dei Vangeli a noi pervenuto è quello di gran lunga più controllato e documentato del mondo antico.
Fondamentale è poi lo studio linguistico dei Vangeli: furono scritti in greco per facilitarne la diffusione, ma recano tracce rivelatrici di un forte substrato ebraico-aramaico, la lingua di Gesù. La lingua madre del Redentore era la variazione galilaica dell’aramaico occidentale. I testi evangelici contengono numerose parole aramaiche o ebraiche, evidentemente rimaste impresse in modo indelebile nella memoria dei discepoli, e riportate quindi senza traduzione, come Abbà, Amen, e molte altre. Notevole l’uso verbale del passivo che lascia intendere che l’agente è Dio stesso, il cui Nome sacro non poteva essere esplicitamente pronunciato: quindi un passivo teologico che testimonia una predicazione unica, diversa da tutta la letteratura antica. La costruzione della frase, paratattica (basata su coordinate) invece che ipotattica (a base di subordinate), l’anticipazione del predicato rispetto al soggetto (“In principio era il Verbo”, invece di “Il Verbo era in principio”, come avrebbe scritto un greco), la ripetizione dei termini, sono tutti elementi caratteristici della tradizione orale semitica e del tutto estranei alla cultura greca.
Le parabole, a loro volta, rappresentano qualcosa di unico in tutta la letteratura, sovrabbondano di aramaismi e di parallelismi antitetici che dovevano aiutare gli ascoltatori a ritenere a memoria l’insegnamento ricevuto. L’attendibilità degli autori è avvalorata dal fatto che molti di loro e dei discepoli non esitarono ad affrontare il martirio pur di non rinnegare l’insegnamento ricevuto. Inoltre un popolo intero aveva assistito agli eventi narrati dai Vangeli, e non ci è pervenuto alcun testo contemporaneo che tenti di smentire i fatti che i sacri testi narrano.
Ma quello che i Vangeli raccontano è realmente accaduto? L’autore esamina le diverse ipotesi avanzate da illuministi e razionalisti per demolire la storicità dei Vangeli, dimostrandone l’inconsistenza. Il racconto evangelico soddisfa tutti i criteri di autenticità storica: attestazione multipla (conferme da più fonti indipendenti, anche pagane), discontinuità/continuità (evento in continuità con la tradizione storica e culturale dell’epoca, ma che rivela al tempo stesso elementi di novità e originalità), spiegazione necessaria (quando a un complesso di fatti viene offerta una spiegazione illuminante e armonica). Questa spiegazione chiave è data dai miracoli, senza i quali non si comprenderebbe la fede degli apostoli e dei discepoli; e senza il più grande miracolo, quello della Resurrezione, risulterebbe del tutto inspiegabile il radicale, repentino cambiamento degli apostoli, increduli, depressi, terrorizzati dopo la Passione; e di colpo, grazie alle apparizioni del Risorto, divenuti impavidi evangelizzatori, pronti a sfidare il martirio.
L’autore demolisce facilmente le obiezioni più frequenti. Gli evangelisti erano testimoni “di parte”? Ma dove si troverà un testimone “neutrale”? Dovrebbe tacere perché, come apre bocca, prende posizione e non è più “neutrale”? Come potremmo uscire da noi stessi per inseguire una fantomatica “neutralità”? Pretenderla è assurdo. Il drastico e fulmineo cambiamento dei discepoli dopo aver visto e ascoltato il Risorto, come pure lo stile comunicativo, scarno, disincantato e critico dei testi evangelici, rivela che la fede nel Risorto non era certo un pregiudizio dei discepoli stessi, ma il risultato di un’esperienza vissuta, e non da poche persone. Né bisogna dimenticare, quale criterio di veridicità, l’imbarazzo: i Vangeli non esitano a riferire anche i fatti più imbarazzanti, che avrebbero potuto tacere per rendere più accettabile il racconto: il concepimento di Gesù dallo Spirito Santo (cosa assolutamente inaudita), il pianto di Gesù e la Sua umiliazione, le colpe degli Apostoli come la disputa su chi fosse il più grande, il rinnegamento di Pietro, la mancanza di Fede durante la Passione e la fuga di tutti gli Apostoli meno uno, mentre le donne coraggiosamente rimasero e furono le prime testimoni della Resurrezione, e questo benché la testimonianza femminile non fosse accettata all’epoca.
La storicità di Gesù viene pure confermata da documenti pagani. Di Cristo e del cristianesimo hanno parlato Plinio il Giovane, Tacito, Svetonio, Giuseppe Flavio (in modo particolarmente esplicito e dettagliato), ed altri. Né vi è alcun motivo per escludere le testimonianze paleocristiane, del I e II secolo, come la Didaché (ca. 70 d.C.), la Lettera di Clemente Romano ai Corinzi, ed altre.
Totalmente diverso è il caso dei cosiddetti “vangeli apocrifi”, opere di tardi falsari che ignorano le istituzioni ebraiche, non citano l’Antico Testamento, usano un linguaggio chiaramente non semitico e (nel caso dei cosiddetti “vangeli gnostici”) sono basati su un impianto cosmologico mitico estremamente confusionario in cui si incontrato strani spiriti e “divinità”. Basarsi su simili fantasticherie per conoscere Gesù non può che essere quanto mai fuorviante. Solo chi legge acriticamente Dan Brown può essere tratto in inganno da simili fantasticherie.
A questo punto l’autore, nell’ultimo capitolo, intitolato come il libro stesso Luce dal sepolcro, conclude approfondendo il significato del messaggio cristiano, che è un messaggio di amore che dà un senso alla nostra vita e ha rivoluzionato il mondo. I pagani conoscevano l’eros, il Vangelo ha annunziato l’agape o charitas. La donna, il bambino, lo schiavo, il malato cronico, il disabile, sono divenuti esseri da amare e da proteggere, mentre per il pagano erano da disprezzare, da sfruttare, talora da uccidere impunemente. Così la Chiesa è venuta in soccorso dei malati, inventando gli ospedali. Così il Vangelo ci ha rivelato che l’autorità è al servizio dei cittadini, specie dei più deboli e bisognosi. L’amore è entrato nel mondo, e solo l’amore è credibile
Questo prezioso libro, che è tutt’altro che un’anacronistica apologia ma piuttosto una serrata analisi scientifica, si distingue anche per il vasto apparato bibliografico e di note, oltre che per un ricco corredo iconografico a colori, e reca una presentazione del Card. Agostino Vallini, Vicario Generale per la Diocesi di Roma.
È un grave segno degli infausti tempi in cui ci è toccato di vivere, il fatto che, mentre prima che divampassero i fuochi fatui dell’Illuminismo la gente credeva senza affaticarsi in elucubrazioni, mentre oggi non crede e resta immersa nell’ignoranza, pur disponendo di formidabili prove scientifiche a sostegno della Verità evangelica. Non meno grave il fatto che l’odierno dilagare del relativismo e del neopaganesimo oscurino sempre più la credibilità dell’amore e la luce che emana dal sepolcro. Sappiamo però, per fede certa, che alla fine il Risorto vincerà.

Emilio Biagini

martedì 23 giugno 2015

QUESTA NON È LA CHIESA (di Piero Nicola)

    Il Centro studi Giuseppe Federici, avente sede in Santarcangelo di Romagna, ha diffuso un comunicato su "La fede cattolica assalita dai Valdesi e difesa da Don Bosco".
  È questo il titolo del capo XX, vol. IV delle Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco, dovute al sacerdote salesiano G.B. Lemoyne.
  Sebbene manchi un accenno a Bergoglio, è palese l'intento nei suoi confronti.
  Il biografo riferisce fatti storici. Dopo che Carlo Alberto aveva emancipato i protestanti nel suo regno, sebbene lo Statuto affermasse che la Religione Cattolica, Apostolica, Romana era la sola Religione dello Stato e sembrasse che la libertà concessa fosse soltanto quella di professare esternamente il culto acattolico, i valdesi scatenarono una campagna propagandistica per far proseliti, alterando le Scritture, denigrando pesantemente la Chiesa. Il mondo cattolico si trovò impreparato a respingere l'attacco, molti fedeli sprovveduti e incauti, alcuni persino indotti da vantaggi materiali, abbracciarono la proposta eresia che, come la maggioranza delle eresie, seduce con la novità e con la facilità.
  Allora, Don Bosco si diede a combattere il flagello con le stesse armi del nemico. Fece stampare opuscoli di carattere dottrinale accessibili al vasto pubblico, colmando la lacuna manifestatasi in quel frangente. "Compose e pubblicò pertanto alcune tavole sinottiche intorno alla Chiesa Cattolica, foglietti volanti, ricchi di ricordi e di massime morali e religiose adattate ai tempi, e si diede a spargerli gratuitamente tra i giovani e tra gli adulti a migliaia di copie, specialmente in occasione di esercizi spirituali, di sacre missioni, di novene, di tridui e di feste".
  Egli curò la ristampa del suo Il giovane provveduto, aggiungendovi "sei capitoli in forma di dialogo", sotto il titolo Fondamenti della Cattolica Religione. "Questi dimostravano, una sola essere la vera religione: le sette dei Valdesi e dei Protestanti non avere i caratteri della Divinità, non trovarsi in esse la vera Chiesa di Gesù Cristo; essere i Protestanti separati dal fonte della vera vita, che è il Divin Salvatore".
  Sono punti dogmatici sempre affermati dal Magistero, insiti nell'istruzione catechistica e nella generale predicazione, ma occorreva proporli al popolo per metterlo in guardia contro i suoi seduttori.
  Quando i Valdesi ottennero l'autorizzazione a edificare un loro tempio in Torino (quello in cui Bergoglio ha confermato l'amicizia con loro), "i Torinesi, anzi tutti i Cattolici del Piemonte, ne furono vivamente addolorati e pregarono il Signore a tener lontano dal paese tanto scandalo. I Vescovi reclamarono in una lettera, colletti al Re, in nome della Religione, dello Statuto, dell'onore Casa Savoia, citando le disposizioni del codice penale e codice civile. Ma non si tenne conto di questi reclami e si dette subito mano alla costruzione..."
  Il Santo "appena seppe di queste mene, non ancor pago di ciò che aveva già fatto, compose e pubblicò un libretto col titolo: Avvisi ai Cattolici. "Aprite gli occhi" scriveva, "tendono a voi moltissime insidie col tentare di allontanarvi da quell'unica, vera, santa Religione, che solamente conservasi nella Chiesa di Gesù Cristo. Questo pericolo fu già in più guise proclamato dai nostri legittimi Pastori, dai Vescovi, posti da Dio a difenderci dall'errore ed insegnarci la verità. La stessa infallibile voce del Vicario di Gesù Cristo avvisò di questo insidioso laccio teso ai Cattolici, cioè molti malevoli vorrebbero sradicare dai vostri cuori la Religione di Gesù Cristo [...] Gesù disse a S. Pietro: Tu sei Pietro e sopra questa pietra fonderò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno non la vinceranno mai, perché io sarò coi Pastori di essa tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli. Questo disse a S. Pietro e ai suoi successori, i Romani Pontefici, e a nessun altro".
  Ma quando Bergoglio viene ricevuto in quel tempio che non è della Chiesa, ma degli eretici, e tratta con loro amichevolmente, secondo l'invalsa falsa dottrina e prassi di badare piuttosto a ciò che si avrebbe in comune (errore eretico e assurdo: la Chiesa non può avere niente in comune con una falsa chiesa), allora che cosa può mai egli rappresentare se non un'altra falsa chiesa?
  D'altronde, quanto predica San Giovanni Bosco corrisponde in pieno al Magistero, ai dogmi sull'eresia. Essa fu sempre chiaata peste, pericolosa in qualsiasi circostanza storica. Lo dissero gli Apostoli, che nella Rivelazione narrano le loro opere di pastori in difesa del gregge contro gli eretici. Lo insegnarono i martiri, anche quelli uccisi dai falsi cristiani. Ma quale sorta di pastore è mai Bergoglio che mena il gregge nella tana del lupo, e non già per avventura, ma basato sulla dottrina del Concilio e dei suoi predecessori?
  Se oggi sembra che gli acattolici e i miscredenti non attentino più alla fede dei fedeli, ciò si deve alla pace conclusa con loro mediante la rovina della dottrina, resa simile a quella delle varie sette e filosofie, mentre queste non cessano il loro sotterraneo lavoro di demolizione.
  E sarebbe un'altra eresia sostenere che l'uomo è cambiato, che il fedele non ha più bisogno di protezione, che tutti hanno fede implicita per grazia di Dio e per grazia di Dio possono comunque salvarsi, siano acattolici o altro, senza la Chiesa.
  È fuor di dubbio che la vera Chiesa, professata dai veri credenti, non è quella dimostrata da Bergoglio, non è quella spiegata dal Catechismo autentico.
  Don Bosco non si accontentò. A compimento della sua crociata diede alle stampe Il Cattolico istruito nella sua Religione.
  "Se questa operetta tornò gradevolissima a tutti i buoni, inasprì i Protestanti e li fece montare in sulle furie [...] Con questa pubblicazione e con le altre molte che la seguirono, Don Bosco indicava al secolo l'arma più potente per combattere i nemici della Religione e segnava la strada a quanti volessero correre in difesa della società cristiana minacciata".
  Ora, Bergoglio dà un esempio opposto, uno scandalo incredibile, per chi resiste all'errore, e dà una lezione eretica conforme all'alleanza stretta con gli eretici, grata a quanti amano farsi sedurre dall'eresia.


Piero Nicola

Il ruolo di SS Pio XII nella lotta per la libertà e la difesa della persona: La resistenza a Roma (di Giulio Alfano)

Leggendo gli “Apopthegmata Patrum” ci si ricorda che il demonio è incapace di conoscere i nostri pensieri,perché è di un’altra natura dalla nostra,ma si capisce anche come egli possa indovinarli attraverso l’osservazione dei movimenti del nostro corpo. Mediante questo segnale approfitta delle nostre debolezze per tenderci dei tranelli e di qui nasce l’importanza assegnata da sempre al comportamento esteriore e la spontanea venerazione per chi l’abbia perfetto,con un atteggiamento “ierocratico”. E’ il caso di papa Pio XII,che già nel suo aspetto nobile,superiore alle umane debolezze,dimostrava quella “sapientia cordis”che ha fatto del suo lungo pontificato uno degli eventi salienti del ventesimo secolo;tuttavia la sua figura non solo non è stata appieno approfondita,come un’anima tanto significativa meritava,ma è oggetto di denigrazioni che hanno certamente qualcosa che sfugge alle intelligenze integre,perché gli avversari di papa Eugenio Pacelli,sono sovente animati da quella acredine che confina con l’odio. Sembra curioso parlare di insidie contro la memoria di un pontefice,ma la “locutio contra mentem” è,soprattutto oggi,il principale avversario della “veritas” cristiana,che quel pontefice con giusto vigore ha affermato. All’inizio del secondo conflitto mondiale Pio XII è al soglio pontificio da pochi mesi,ma ha alle spalle una lunga presenza diplomatica,non solo nei sacri palazzi,nei quali è entrato giovanissimo,ma negli ambienti della mitteleuropa,che conosce con finezza e profondità. Conosce benissimo l’ambiente diplomatico tedesco per essere stato a lungo nunzio apostolico negli anni dell’ascesa del nazismo,ma,soprattutto,in quelli della repubblica di Weimar. Ha conosciuto l’esordio,l’incubazione violenta di quelle che,alcuni studiosi contemporanei,definiscono le “grandi narrazioni del XX°secolo”. In quel periodo comprende come il piede forcuto del demonio stia entrando nella politica dell’Europa centrale;non appaiano peregrine queste affermazioni perché la natura esoterica del nazismo e il valore anticristiano del comunismo di quegli anni sono fatti assolutamente documentati in sede storica. In quegli anni,tra la fine dei venti e l’inizio dei trenta,monsignor Pacelli è conosciuto anche per la sua forza spirituale:è un mistico che si nutre di preghiera,che ha avuto la forza di creare intorno a sé un anello di purezza inviolabile,a beneficio di quanti gli sono prossimi. San Francesco,che da pontefice proprio papa Pacelli eleverà a compatrono d’Italia insieme a S. Caterina da Siena,diceva “Beato quell’uomo che non vuole nei suoi costumi e nel suo parlare essere veduto né conosciuto,se non in quella pura composizione e in quell’adornamento semplice del quale Dio lo adornò e compose”. Sono parole che si applicano al giovane m ons. Pacelli che in terra germanica vede la difficoltà di essere “Christifideles”,ma capisce anche come la Chiesa ha una forza insopprimibile che Le proviene dal Vangelo del Cristo fattosi uomo. La sua presenza è vista con sospetto dagli ambienti vicini ad Adolf Hitler,che egli ben conosce nelle perverse mire politiche ed anche pseudo religiose. Non dobbiamo dimenticare che il predecessore di papa Pacelli,Pio XI,comprende dal 1931,con la lettera “Non abbiamo bisogno!”,la natura intrinsecamente pagana del fascismo italiano e non a caso chiama Pacelli come Segretario di Stato,proprio per la conoscenza dell’ambiente europeo e germanico in particolare. Appena eletto al soglio pontificio Pio XII rivolge un’accorata supplica ai contendenti europei:”Niente è perduto con la pace,tutto può esserlo con la guerra!”. Si trova di fronte ad Hitler che,certamente non voleva,almeno in quel momento,scatenare una guerra mondiale perché non preparato,ma realizzare estensioni territoriali col “blitzkrieg”,la guerra lampo,ma che non risponde all’appello pontificio. Non solo;nell’inverno del 1939 Pio XII si reca in visita al re Vittorio Emanuele III al palazzo del Quirinale,ed è la prima volta che un romano pontefice vi mette piede dal 1870. Il significato di quella visita epocale è un chiaro segnale per la pace:convincere il sovrano d’Italia,che non era comunque favorevole aqlla guerra e che era comunque il capo dello stato,ad intercedere su Mussolini,che è comunque il “suo” presidente del consiglio,affinchè trasformi la strana “non belligeranza”inventata per non infastidire l’intraprendente alleato nazista,in una dichiarazione di pace attraverso la neutralità! Il messaggio non è compreso dal re,che anzi non solo non muove un dito per mantenere l’Italia neutrale,ma,come i fascisti intransigenti,trasforma la sua iniziale ostilità all’entrata in guerra in un progressivo favore perche’ l’Italia ha aspettato anche troppo di partecipare ad una guerra facile. Pio XII non demorde e scrive personalmente a Mussolini,esortandolo,come hanno già fatto il presidente degli Stati Uniti e quello francese,a non legarsi al carro tedesco,che non solo segnerebbe la disfatta dell’Italia,ma accrediterebbe l’idea che Hitler possa scatenare una guerra planetaria dagli esiti imprevedibili. Ma il Duce nel suo cinismo riottoso,non rispose per nulla all’interlocutore francese,mentre al presidente Roosevelt affermò le ragioni della scelta bellica;al pontefice riservò un trattamento apparentemente più tranquillo probabilmente per l’intervento di padre Tacchi-Venturi,ma nella sostanza,ammonendo che “..Ella,Beatissimo Padre,mi insegna che la stessa chiesa non ha mai perseguito la via della pace fine a sé stessa!” e rifiutando con improntitudine ogni intervento pacificatorio. Pio XII perorò sempre la via della pace fino,come illustra il bel volume di Domenico Bernabei,”Orchestra Nera”,ad arrivare a sostenere una cospirazione,alla vigilia del conflitto,contro Hitler tra le stesse fila del partito nazista,di qui l’espressione spregiativa “orchestra nera”rivolta dal Fuhrer in persona ai sacerdoti della curia. Purtroppo il tentativo non sortì l’effetto sperato,ma Pacelli non si perse d’animo e pregò il nunzio apostolico,monsignor Orsenigo,di intercedere presso la cancelleria del Reich in favore degli ebrei perseguitati. Anche questa missione fallì,perché lo stesso Hitler,non appena Orsenigo pronunciò la parola “ebrei”lanciò un intero calamaio contro la parete che aveva dinnanzi. Già nel 1938 il predecessore di Pacelli,Pio XI,aveva rifiutato qualsiasi incontro con Hitler in visita in Italia,dando ordine di chiudere i Musei Vaticani e ritirandosi egli stesso nella villa di Castelgandolfo;andrebbero studiati maggiormente i contorni dell’improvvisa morte di Pio XI nel febbraio 1939,dopo che aveva scritto la discussa enciclica a favore degli ebrei,andata perduta per decenni,e rivolto un discorso molto duro al collegio teutonico dal titolo “Siamo Semiti!”. Archiatra pontificio era il professore Francesco Saverio Petacci,padre dell’amante del Duce il quale desiderava ardentemente affidare all’illustre clinico una speciale missione probabilmente di eliminare la lettera,nel timore non recondito di essere scomunicato ,per poter preparare meglio la scellerata alleanza con la Germania nazista. Già all’indomani dell’elezione al soglio pontificio Hitler,che non invia alcun messaggio scritto al nuovo pontefice,raccomanda al proprio ambasciatore a Roma di fare congratulazioni verbali al neoeletto Pio XII,ma non eccessivamente cordiali. In quegli anni viene riscoperta l’importanza degli studi tomistici sulla persona,che pure la Chiesa aveva ripreso al massimo livello del Magistero già col pontificato di Leone XIII che nella sua prima enciclica Aeterni Patris” del 1879 aveva riconosciuto alla Scolastica e al tomismo il fondamentale ruolo anche in sede sociale. Tommaso è molto chiaro:posto che non si tratta di disobbedienza perché l’obbedienza è una “virtù” dal momento che la libertà di per sé non lo è ma senza le virtù quali prudenza, perseveranza,pazienza e l’obbedienza,non si può vivere appieno la vera libertà come creatività partecipata,nel momento della tirannia si lede la “dignità”dell’uomo quindi si è “in-dignati”,privati della dignità,quindi “bisogna agire”nell’atto di usurpazione della dignità di fronte al potere oppressivo. Questo era stato già abbondantemente realizzato nel periodo immediatamente precedente al conflitto,basti pensare alla breve ma pur intensa stagione della rivista “Principi”animata da Giorgio La Pira(1904/1977)all’interno della consolidata tradizione della rivista domenicana “Ascetica e Mistica” . Va ricordato che l’Italia entrata in guerra nel giugno 1940 senza neppure riunire un consiglio dei ministri ,già nel 1941 aveva avuto tangibili i segni dell’incipiente sconfitta soprattutto in ordine al riconoscimento del principio della “resa in campo aperto”decretata da Mussolini stesso come Comandante delle FF. Armate e Maresciallo dell’Impero,offrendo la possibilità ai generali di arrendersi senza avvertire i comandi superiori o di zona. Il Duce dal febbraio 1943 deteneva le cariche di ministro degli esteri,interni,guerra,dovuto al primo rimpasto effettuato dopo vent’anni di regime in relazione ai suoi poi fondati timori di ribellione interna al regime stesso da parte dei più importanti gerarchi, in considerazione della conferenza di Casablanca del gennaio precedente che aveva stabilito per l’Italia la “Incondicional Surrender”,la resa incondizionata,quindi comandi militari,Corona e forze economiche cercarono in ogni modo di eliminare un contraente indesiderato:Mussolini. Che aveva trasformato un regime autoritario in uno cesariano intorno al culto della sua persona,tanto da avere deluso anche gli ex nazionalisti dell’ANI ai quali negli anni venti ,al momento della fusione col PNF, aveva pur promesso di elaborare una concezione organica del fascismo,in mancanza della quale esso restò sempre una dottrina del gesto e dell’azione e non divenne mai neppure un ideologia. Già all’indomani della crisi della sfortunata impresa Barbarossa con cui Hitler aveva nell’estate ’41 aggredito l’URSS,si cominciò a pensare ad un eventuale pace separata ed il Re confidò in Dino Grandi (1895/1988),come soggetto di alta gerarchia in grado di scardinare dall’interno il regime fascista che dal 1939 aveva persino trasformato il Parlamento in Camera dei Fasci e delle Corporazioni di cui Grandi,peraltro sgradito ai nazisti,era diventato Presidente. Nell’aprile 1943 Luigi Marchesi giovane aiutante di campo del generale Giuseppe Castellano,venne incaricato di portare i bollettini di guerra al Duce direttamente a palazzo Venezia per la censura da apporre prima di farli trasmettere dai notiziari EIAR . Tuttavia con una missione segreta:verificare “in loco”la possibilità di arrestare Mussolini;ne ricavò un opinione negativa giacchè la milizia era presente dappertutto e quindi il generale Castellano consultatosi con il generale Ambrosio capo di stato maggiore della difesa,carica peraltro creata da Mussolini stesso nel 1925 e ricoperta per lunghi anni da Badoglio,propose al Re un alternativa fattibile:arrestare il Duce nell’unica sede dove entrava senza scorta:il Quirinale. Si era pensato di effettuare l’arresto,ma poiché all’indomani delle conclusioni del Gran Consiglio del sabato 24 luglio Mussolini, che di solito si recava dal Re il lunedi,aveva chiesto un anticipo dell’udienza per il giorno precedente,domenica 25 luglio e nei giorni festivi durante la guerra il Sovrano risiedeva a Villa Savoia,quindi l’arresto venne effettuato in quel luogo dall’ufficiale Frignani,poi martirizzato dai nazisti alle Ardeatine , e l’ormai deposto Duce venne caricato sulla famosa ambulanza targata CR 1732,una di quelle che la settimana prima aveva portato soccorso alle vittime del bombardamento del quartiere di S. Lorenzo. Mussolini poteva in effetti essere liberato in mezz’ora se il regime già corrotto da vent’anni di compromessi,non fosse stato incarnato da personaggi che cercarono la prima via di fuga ,molti presso villa Wolkonsky sede dell’ambasciata tedesca,altri mimetizzandosi,ma lo stesso Mussolini portato prima nella caserma Podgora e poi in quella di via Legnano prima di essere trasportato col Persefore a Ponza, scrisse una lettera di risposta a Badoglio che gli illustrava i motivi della detenzione ufficialmente per evitare reazioni popolari,dicendo che come Capo del Governo aveva servito lealmente il Re ed era a disposizione. Ovviamente intercettato questo messaggio anche il generale Enzo Galbiati,capo della Milizia,non effettuò nessuna reazione in difesa del Duce restandosene nel suo comando di viale Romania.. Solo Manlio Morgagni,vecchio compagno di Mussolini ed allora capo dell’agenzia di stampa Stefani,si suicidò alla notizia dell’arresto del Duce sparandosi un colpo di pistola nella sua lussuosa casa romana di via Antonio Nibby 20 al quartiere Nomentano,non distante da villa Torlonia residenza dell’ormai ex capo del governo,per il resto non si mosse nessuno,ragion per cui quando molti mesi dopo ormai creata la Repubblica Sociale,quando sarà liberata Roma dagli alleati il 4 giugno 1944 Mussolini decreterà 3 giorni di lutto nazionale nel suo stato di Salò,vassallo dei nazisti. In questo contesto va collocata l’opera di papa Pacelli che nel 1942,in un celeberrimo radiomessaggio indica cosa sarebbe dovuto e potuto essere lo stato all’indomani della guerra mondiale come infatti fu;in tale ambito si maturano due iniziative che certamente vedono l’interesse di Pio XII molto attento e vigile:da un lato la ripresa dell’iniziativa politica dei cattolici con la fondazione in casa Falck e sotto la guida di Alcide De Gasperi,della Democrazia Cristiana come soggetto politico e dall’altro l’incontro, dal 18 al 24 luglio 1943 a Camaldoli, di personalità del mondo e dell’associazionismo cattolico per riflettere cosa fare e come trasformare quello stato che aveva condotto l’Italia e con essa l’Europa e il mondo in un conflitto immane ed assurdo ,in un momento certo difficile per l’Asse che aveva riportato la sconfitta di El Alamein,ma non si pensava ancora ad una disfatta certa delle armate naziste,anche se si profilava già un crollo o comunque una crisi molto forte dello stato fascista con le maglie del regime abbondantemente allargate e corrotte. Perché si era giunti ad un punto così critico?Come mai ci si era imbattuti in una angolo così buio della storia e soprattutto perché si era lasciato compiere scelte tanto negative al punto di ritrovarsi nel cuore di una così immane tragedia?Si era arrivati a quel punto perché quello stato e in genere quella cultura di antica ascendenza hegeliana aveva realizzato .uno stato etico e non aveva operato per il raggiungimento di un etica dello stato,anzi aveva contribuito a corrompere lo stato,avendo rimosso la persona dal centro dell’attenzione politica astraendola in un assoluto “sine nomine” che il fascismo aveva sublimato in uno stato corporativo all’interno del quale l’uomo diventava un idea e il suo spessore era ridotto ad una mistica dell’azione senza riflessione,ragion per cui un intera generazione imbevuta dal mito e dall’illusione si era ritrovata inconsapevole vittima sui campi di battaglia in una guerra di cui ignorava le motivazioni e non capiva le finalità. Lo stato etico fascista era uno stato che non aveva nulla contro,nulla fuori ma soprattutto non aveva nulla sopra di sé:era Dio!Questo era la conclusione del percorso cui aveva condotto il neoidealismo di Giovanni Gentile attraverso l’itinerario filosofico dell’autoctisi e questo era alla base dell’inganno fascista distante e distinto dal percorso filosofico politico e morale del cristianesimo,che pone viceversa al centro dell’azione pastorale e sociale l’uomo come persona,al quale si doveva tornare ,come poi si tornò, attraverso una forma istituzionale e un modello politico che facessero crescere e vivificare le migliori qualità della persona come soggetto e non come passivo oggetto. Di ciò percepì’l’importanza il Santo Padre,confortato dalla tenace azione del Padre Mariano Cordovani(1883/1950),domenicano,Maestro del Sacro Palazzo dal 1935 e che papa Pacelli proprio in quel 1942 aveva voluto elevare al rango più significativo di”Teologo della Segreteria di Stato”,carica appositamente creata per lui dal Pontefice a cui già però aveva pensato il predecessore Pio XI all’indomani della guerra di Spagna scatenata dalle provocazioni dell’ateismo comunista e realizzata dall’intervento nazifascista con la vittoria del Caudillo Francisco Franco che comunque pacificò quel paese da “soldato di Dio”come era stato definito dai cattolici vessati e perseguitati dal bolscevismo. Padre Cordovani tra il 1942 e il 1943 svolse un ruolo fondamentale in collaborazione col Pontefice ma anche in stretto contatto con mons. Montini sostituto alla Segreteria di Stato e profondo conoscitore del mondo associazionistico cattolico,ma anche attento a quella rivoluzione del pensiero filosofico politico che fu in quegli anni l’irrompere del personalismo di Jacques Maritain e di Emmanuel Mounier. Lo stesso Padre Mariano.che già nel 1926 era stato aggredito dai fascisti al congresso della FUCI a Macerata era stato il primo professore religioso,frate ad accedere come docente “honoris causa”all’università di Firenze nel 1933 per iniziativa dell’allora ministro dell’Educazione Nazionale Solmi. Cordovani e Montini scelsero Camaldoli come luogo e fucina di una riflessione profonda da compiere sul futuro dell’Italia e del mondo cattolico in ordine alle scelte da effettuare e alle responsabilità da assumere in quella urgente ora. Peraltro Camaldoli fu scelta proprio da Cordovani che era nato nei pressi,a Serravalle Casentino nel febbraio 1883 e in quel momento era forse il consigliere più ascoltato di Pio XII. Va ricordato,per inciso,che proprio nel 1942 il professor Gedda allora Presidente della GIAC fondava la Società Operaia per l’evangelizzazione dei laici,intorno al culto del Getsemani in un momento così difficile,primo sodalizio totalmente laico di consacrazione religiosa e di predicazione pastorale. E sempre Luigi Gedda in quell’anno immortala in un famoso film ,“Pastor Angelicus”,la vita e la quotidianità del Romano Pontefice. Papa Pacelli anticipa un quello che oggi si chiamerebbe “ontologia sociale”,perché vuole circondare di valore,di importanza e di forza propositiva tutte le funzioni sociali che hanno in sé un valore che contiene qualcosa di infinito e di sacro e perciò debbono essere animate dal più alto rispetto. Ogni funzione sociale ha un carattere di alta religiosità perché rappresenta l’ordine,la pace sia esteriore che interiore,la pace santa delle cose e delle anime,quella nella quale gli uomini possono provvedere ai loro interessi e alle loro destinazioni sociali e spirituali. L’apostolo Paolo nell’epistola ai Romani ammonisce “Flere cum flentibus,gaudere cum gaudentibus”,piangere con chi piange,allietarsi con chi si allieta,e la carità è proprio qui,nell’armonia delle anime tra loro perché senza comunicazione tra gli uomini non c’è società,non c’è realtà,non c’è politica!L’uomo non è un “silvano”un essere della selva che nasce solo e da solo muore,ma è un “Civis”un uomo che vive nella città la quale,tuttavia,non dev’essere per lui un luogo dove sentirsi più solo,ma uno “stato” nel quale esercita con più effettiva e piena libertà la carità. Ecco ,’importanza che Pio XII attribuisce allo stato sociale,nel quale l’uomo può amare l’altro uomo con più efficace azione e l’amore può trasformarsi in efficace azione di promozione e di progresso che il Santo Padre segue con attenzione quando proprio il professor Gedda gli proporrà la creazione del centro cattolico cinematografico,dei Comitati Civici e di tante iniziative tese allo sviluppo armonico della personalità dell’uomo fino alla fondazione dell’AIART,associazione di telespettatori creata all’indomani della nascita della TV in Italia nel 1954. L’uomo non vive una vita astratta fuori dal mondo ma con la sua intelligenza e la sua volontà prende possesso di tutta la sua realtà crea e vive la sua vita proprio appropriandosi e trasformando secondo l’esigenza della sua natura tutta la stessa realtà. La famiglia,la società,lo stato,le situazioni economiche,i cosiddetti fenomeni sociali non sono altro che la vita piena dell’uomo la pienezza della sua volontà,della sua natura la quale riesce sempre a porre se stessa e a ridurre a se stessa tutto il complesso e delle condizioni empiriche e naturali della vita,della “persona”. Pio XII agisce e rischia per la difesa dei perseguitati,ma sa bene i pericoli che l’intera comunità cristiana correrebbe se le sue iniziative si presentassero in maniera imprudente,esponendo molti innocenti alle rappresaglie tedesche. In Olanda avviene la deportazione dell’intero Carmelo dove viveva la beata Edith Stein e i nazisti vi avevano fatto irruzione a seguito anche della protesta dell’episcopato di quel paese per l’invasione. Riferisce Suor Pascalina,collaboratrice del pontefice,che a seguito del martirio di quelle suore,egli aveva scritto una lettera di protesta molto dura alle autorità tedesche,ma che poi,consigliato anche da monsignor Montini,preferì addirittura bruciarla non solo perché i nazisti avrebbero reagito in maniera ancora più violenta di fronte ad una presa di posizione del Romano Pontefice rispetto a quanto avevano fatto per una semplice lettera episcopale,ma anche perché vi era il fondato timore che potessero fare irruzione addirittura in Vaticano. E’ una testimonianza assolutamente vera,se si pensa che Hitler aveva allestito un vero e proprio tentativo di rapimento,denominato “operazione Rabat”,che prevedeva il trasferimento forzato del Papa a Monaco per costringerlo a firmare un enciclica filonazista.;per questo motivo il console tedesco a Roma,Eithel Moellahusen,che era cattolico,viste queste intenzioni,preparò un falso dossier su Pio XII facendolo artatamente apparire agli occhi di Hitler prono alle idee naziste. Questo dossier,una volta trasferitosi il console al nord e poi in Germania,capitò,nel dopoguerra, nelle mani della STASI,la polizia segreta della Germania dell’est,che,credendolo vero,accreditò la famosa storia del “Papa di Hitler”. L’”operazione Rabat” non si realizzò anche per l’intervento dello stesso Karl Wolf,capo delle . S. S. in Italia che si recò dal Papa il 4 maggio 1944,in abiti borghesi prestatigli da donna Virginia Agnelli,esattamente un mese prima dell’arrivo delle truppe alleate a Roma,per chiedere,rivelando i dettagli dell’operazione,l’intervento del pontefice per convincere gli americani a sganciarsi dall’alleanza con Stalin e fare una pace separata coi tedeschi. Pacelli indicò al gerarca nazista un possibile contatto attraverso il cardinale Schuster,che in effetti lo mise in collegamento con gli alleati,ma si trovò di fronte alla ferma opposizione di Churchill che volle proseguire la guerra a fianco dei sovietici,perchè il nemico era uno solo,”one men,one men only”,Hitler! Anche durante la razzia delle S. S. di Kappler nel ghetto di Roma,il 16 ottobre 1943,che costò la deportazione a migliaia di ebrei,Pio XII intervenne avvertito dalla principessa Enza Pignatelli d’Aragona ed incaricò il segretario di stato,cardinale Maglione,di convocare l’ambasciatore von Weizeker. Questi,in effetti,giocò un brutto scherzo al cardinale,perché lo pregò di non fare sapere nulla ai suoi superiori a Berlino,in quanto avrebbe agito diplomaticamente in modo fattivo;in realtà non solo non fece niente,ma fu il motivo per cui Pio XII è accusato,ancora oggi, dalla comunità ebraica di non essere intervenuto cosa non vera!. Va detto,in base agli atti del processo ad Albert Kesserling nel dopo guerra,che i tedeschi non pensarono minimamente a richiedere i responsabili dell’attentato a via Rasella a Roma il 23 marzo 1944 quindi anche in quel caso l’urgenza da parte nazista di portare a termine la rappresaglia,impedì qualsiasi intervento del pontefice. Nei terribili mesi dell’occupazione tedesca della capitale moltissimi furono gli episodi in cui l’intervento della S. Sede favorì la salvezza di molti perseguitati;anche il ruolo svolto da mons. Roberto Ronca,rettore in quegli anni terribili del Seminario Lateranense non avrebbe potuto realizzarsi senza il consenso del Papa. Ronca salvò anche illustri personaggi,come lo stesso Alcide De Gasperi che restò in Seminario nascosto alle S. S. sotto il falso nome di Alfonso Porta,o Pietro Nenni,prelevato dalla casa di monsignor Pietro Barbieri in via Cernaia dal futuro cardinale Palazzini e condotto addirittura in tram presso il seminario e Nenni stesso nelle sue memorie intitolate “I conti con la storia”(ed.Sugarco,Milano,1980),offre un ritratto assai lusinghiero di papa Pacelli. Senza contare poi i numerosi salvataggi messi in atto dal futuro cardinale Fiorenzo Angelini,allora viceparroco della Natività in via Gallia,che salvò numerosi ricercati,tra i quali il futuro giornalista televisivo Ugo Zatterin. Cosa dire poi dell’attività di don Pietro Pappagallo,ispiratore della figura del protagonista del film di Rossellini,”Roma,città aperta”,interpretata magistralmente da Aldo Fabrizi,che prima fu torturato nell’opificio dell’orrore di via Tasso e poi offrì la vita alle Ardeatine? Nell’immediato dopoguerra ci furono due figure fondamentali della cultura ebraica che non solo dovevano la vita al papa “del silenzio”,ma addirittura si convertirono:il primo,il rabbino Zolli,assunse il nome di battessimo di Pacelli,Eugenio,perché ebbe salva la vita durante la razzia del ghetto;l’altro è meno conosciuto. Si tratta dello scultore ebreo Arrigo Minerbi che,nascosto dagli orionini in via Tortona,imparò quasi a memoria il Paradiso dantesco,oltre alle liturgie cristiane per timore che gli sgherri fascisti,servi dei nazisti,fatta eventualmente irruzione, scoprissero che si trattava di rifugiati,come già era accaduto alla Basilica di S. Paolo e come poi ha illustrato molti anni dopo Rossellini nel suo bel film “Era notte a Roma”. Dopo la liberazione della capitale,Minerbi si convertì al cristianesimo e volle farlo con un gesto concreto,riprendendo i lavori dell’interrotto monumento che Mussolini nel 1939 voleva farsi erigere a Monte Mario,il cosiddetto “Colosso Littorio”,con basamento in oro,più alto della statua di Garibaldi al Gianicolo e soprattutto più imponente della cupola di S. Pietro. Minerbi costruì la bella statua di Maria che oggi campeggia sulla collina di Monte Mario accanto al collegio degli orionini,che nei desideri del Duce in delirio di onnipotenza,doveva essere sede degli accampamenti della Gioventù Italiana del Littorio(GIL). In quella statua il volto di Maria è effigiato secondo la preghiera di S. Bernardo alla Vergine nel XXXIII canto del Paradiso dantesco “Giuso infra i mortali,fontana verace”. E fontana di verità mistica e di pietà cristiana fu veramente il “Pastor Angelicus”,Eugenio Pacelli,al soglio pontificio Pio XII,successore di Cristo nei giorni che sconvolsero di odio il mondo. Giulio ALFANO