domenica 8 novembre 2015

La lezione di Gustave Thibon: Dopo la modernità la Tradizione

“Quando piango sulla rottura di una tradizione è soprattutto all'avvenire che penso. Quando vedo marcire una radice ho pietà dei fiori che seccheranno per mancanza di linfa.
 Gustave Thibon, L'uomo maschera di Dio.

 L'Occidente postmoderno è agitato e tormentato da due convergenti e associati vizi di pensiero: un'oscura, sotterranea e implacabile avversione alla verità cristiana e una ecumenica indulgenza nei confronti delle più abbaglianti adorazioni del progresso e/o del regresso.
 In altre parole: la religione cattolica, alterata e stordita dal tuffo conciliare nel vuoto soggiacente alla finestra buonista, risorge davanti alla porta di una modernità sfondata dai contrari segnali della storia.
 I progressisti rinculano nascondendo la sterilità del loro pregiudizio, puntualmente ridicolizzato da Gustave Thibon: “tutto ciò che non appartiene all'eternità appartiene al tempo perduto”.
 Il progresso meccanico dell'Europa corre in direzione dei vicoli ciechi tracciati dall'impotenza laicista al cospetto dell'islam e affumicati dal fuoco crepuscolare alimentato dalla tradizionale stupidità dei politicanti americani.
 Di qui la ritornante attualità degli impavidi pensatori cattolici e/o reazionari [1], che hanno tentato di arrestare la forsennata corsa della Francia, motrice laica, democratica e progressiva dell'Occidente, verso il traguardo dal gauchismo e/o dalla neo-destra: il patibolo costruito dai laicisti in vista della decapitazione della civiltà cristiana.
 Alla intrepida/irriducibile aristocrazia reazionaria appartiene Gustave Thibon (1903-2001), il filosofo contadino, al quale il molisano Nicola Tomasso ha dedicato un dotto e pregevole saggio, Il realismo dell'incarnazione, pubblicato in questi giorni nella collana della teatina Tabula Fati.
 L'autore sostiene che Thibon è attuale perché dimostra che la fede cattolica è capace di risolvere, senza compromettersi con le suggestioni emanate dal falso ecumenismo, il dilemma che tormenta la Cristianità contemporanea: “Non abbiamo che la scelta tra i due termini di questa alternativa: restaurare, mediante l'armonia un ordine vivente o lasciarci imporre un ordine morto o mortale da una forza senz'anima che annichilirà tutte le altre!”
 Nell'euforia ronzante nel vaniloquio dei nuovi teologi, nella patetica convinzione di poter battere l'ateismo e addomesticare l'invasione islamica, Thibon vede il risultato delle virtù allo sciroppo, alla salamoia o al bagnomaria, che uccidono la fecondità al fine di ritardare un poco la corruzione”.
 Intorno alle tenerezze mentale dei teologi aggiornati si squadernano puntualmente gli effetti della nevrosi moderna: “non si sa più aspettare, ci si precipita fino all'estremo limite di tutte le possibilità di godimento. … Una tale fretta è indizio di un profondo esaurimento del carattere”. In sintonia con Thibon, Tomasso sostiene che tutti gli orrori totalitari discendono dalle dolci illusioni a monte della sanguinaria rivoluzione giacobina.
 Al seguito delle tragedie al seguito della farsa del 1789, sta l'odio degli immoralisti conto il paterno principio di autorità, e con esso la rovente avversione al senso comune: “da un lato si diffonde una incapacità nel classificare razionalmente Dio, dall'altro si mette in discussione l'esistenza di princìpi universalmente validi e quindi inevitabilmente di valori universalmente validi”.
 Puntualmente Tomasso rammenta che tale diagnosi svela la necessità “di una riappropriazione da parte dell'uomo delle radici spirituali e terrestri, di un recupero dei legami tradizionali e del rapporto tipico tra uomo e terra”.
 Il ritorno al realismo della terra “questo perpetuo controllo del fatto sull'idea”, è la via d'uscita dal vicolo cieco battuto dalla ideologia schizofrenica, infatti “il panorama che la modernità ci offre è una separazione arida: da un lato una corsa sfrenata verso la novità, una agitazione ansimante verso il cambiamento, l'adesione a ideologie mortifere e luciferine; dall'altro una schiera di sepolcri imbiancati, che credono di realizzare il regno di Dio su questa terra”.

Piero Vassallo





[1]          Maurice Bardèche, Charles Maurras, Georges Bernanos, Etienne Gilson, Réginald Garrigou-Lagrange, Paul Claudel, Gabriel Marcel, il primo Jacques Maritain ecc. In Italia le idee del cattolicesimo antimoderno furono interpretate dal filosofo Cornelio Fabro e dagli scrittori Giovanni Papini, Domenico Giuliotti, Piero Bargellini, Guido Pallotta e Niccolò Giani.

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