sabato 29 agosto 2015

Sartre banditore della rivoluzione islamica

 La gongolante frenesia dei buonisti di risma atea e/o conciliare, esaltazione chimerica, che applaude la disgraziata invasione islamica in atto, suggerisce una visita alle tossiche, nascoste e lontane fonti dell'ecumenismo spurio, oggi in rovinosa e incontrollata circolazione tra le macerie del comunismo e/o nei circoli cattolici ubriacati e intossicati dalla teologia avventizia, declinata dal modernizzante clero di Germania.
 Plauditore della rivolta islamica contro l'Occidente cristiano, in quel tempo rappresentato (non felicemente, a dire il vero) dal governo francese, fu (curiosamente) il pensatore nichilista Jean Paul Sartre, il quale, approvò e lodò l'azione terroristica del Fronte di liberazione algerino, quale legittima insorgenza contro la civilizzazione europea, a suo parere incapace di interpretare fedelmente i luminosi  principi dell'umanesimo socialista. 
 L'approvazione del terrorismo islamico si legge a chiare lettere nella prefazione di Sartre al saggio di Henri Fanon, I dannati della terra, apologia della rivolta algerina, un testo edito da Einaudi in Torino nel 1961.
 Sartre apprezzava e lodava il terrorismo algerino quale rivolta contro la colonizzazione  civilizzatrice avviata dalla monarchia cattolica nel 1831.
 Secondo l'estremo esponente della sinistra esistenziale, i terroristi islamici rappresentavano la versione islamica del partigiano libertario, che uccidendo l'invasore ottiene un doppio, magnifico risultato: “un uomo in più [l'assassino] e un oppressore in meno”.
 Uccido, dunque sono uomo. Un Cartesio furente e sanguinario corre nelle righe di Sartre. L'orizzonte della sua filosofia è l'omicidio sociale, che genera la libertà senza aggettivi e senza reali prospettive.
 Sartre ha coniugato la volontà di potenza con l'odio di classe e con il risentimento  del terzo mondo. Se non che la rivoluzione esistenzialista da lui promossa naviga nelle acque nere della negatività assoluta.
 Sotto questo profilo la lettura dell'opera teatrale Il diavolo e il buon Dio, si legge  quale manifestazione della tendenza, dominante nel pensiero post-moderno, a traslocare il trucido nichilismo di Nietzsche sull'esausto carro della rivoluzione marxiana.
 Sartre contempla nell'uomo la marionetta di una passione inutile. La rivoluzione nei suo scritti è destinata a naufragare nelle acque sgorganti dalle ferite dell'essere.
 Ambientato nella torbida Germania del XVI secolo, Il diavolo e il buon Dio, mette in scena Goetz, l'eroe dialettico, che raduna in sé le insanabili contraddizioni dell'essere.
 Capitano di ventura, Goetz è inteso alla repressione delle rivolte contadine, un atto di feroce giustizia, che si appresta a compiere dopo aver disatteso le suppliche delle sue potenziali vittime.
 Se non che a contrastare il disegno di Goetz insorge Heinrich, un prete che gli dimostra l'inutilità della ferocia quantunque ispirata dalla giustizia e perciò induce il guerriero a scommettere sulla buona causa.
 Ammaliato dalla teologia di Heinrich, Goetz rinuncia a condurre la guerra contro gli insorgenti, distribuisce le sue terre ai poveri e con essi fonda una Città del Sole.
 Se non che la Germania è intossicata da opposti e invincibili furori: nel loro cieco turbinare il pio disegno della Città del Sole si capovolge in una rivolta insensata e sanguinaria.
 Sconfitto Goetz si reca all'incontro con Heinrich, al quale manifesta le conclusioni suggerite dalla sua esperienza: Dio non si allea con gli operatori del bene, pertanto l'uomo è solo di fronte all'enigma del male.
 Il sacerdote contesta l'opinione di Goetz, il quale reagisce uccidendolo: la conclusione del dramma dimostra che sopprimendo il testimone della fede in Dio l'uomo può diventare padrone del proprio destino.
 Discendente ultimo dell'eroe nietzschiano, Goetz incarna la volontà di eliminare i credenti al fine di instaurare il regno dell'uomo assoluto.
 Se non che l'orizzonte della filosofia sartriana rappresenta l'uomo quale passione inutile. La rivolta contro la religione è pertanto fine a se stessa. L'opera di Sarte svela l'orizzonte nichilista della rivoluzione impotente.
 Non è lecito, tuttavia, sottovalutare la stima che Sartre (e al suo seguito gli orfani della rivoluzione comunista) nutrono nei confronti della insorgente e oggi sbarcante dottrina maomettana.
 Nella dottrina di Maometto il resto dell'umiliata e sbandante modernità contempla e ammira una fede sensuale, appiattita sul progetto inteso unicamente ad abbattere l'odiata civiltà cristiana.
 Sartre ha concepito la tecnica  del trasbordo dell'esausta modernità sulla nave islamica, ultima occasione offerta al desiderio di perpetuare la rivoluzione moderna. Desiderio che è purtroppo alimentato dalla complicità di un clero pseudo ecumenico, ubriacato dal buonismo. 

Piero Vassallo

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