domenica 30 agosto 2015

I cattolici modernizzanti inseguono i bagliori di un plumbeo tramonto

 L'autorevole Etienne Gilson ha stabilito che “il motivo per cui il metodo idealistico porta al suicidio della filosofia  come conoscenza specifica sta nel fatto che esso imprigiona la filosofia in una inestricabile serie di contraddizioni interne, il cui esito finale è lo scetticismo, inteso come suicidio liberatorio” [1].
 L'irresistibile discesa della filosofia di matrice illuministica nello scetticismo e nel delirio sessantottino ha sedotto la setta neo-modernista, trascinandone la esausta teologia nelle sabbie mobili del postmoderno. 
 Risposta ipocrita al presunto “trionfalismo”, la rispettosa e servile flessione davanti alla esangue post-modernità ha affumicato e depistato la mente debole dei progressisti cattolici e li ha infine appiattiti sulla figura – comicamente  surreale – dell'esoterista, che colleziona sontuose bazzecole neo gnostiche.
 Insensibile agli avvisi e agli allarmi gridati dai pensatori refrattari al delirio moderno e  postmoderno e perciò militanti nell'avanguardia attiva nella luce della dottrina tomista [2], un'abbagliata frazione della gerarchia cattolica, quasi ignorando la radice volontaristica della filosofia volatile dopo Cartesio, confonde, con tenacia degna di miglior causa, le celesti acrobazie dei marchingegni fabbricati dalla tecnica astrale con le estenuate e confuse elucubrazioni dei pensatori atei attivi nel deserto occidentale.
 L'obliqua confusione intorno ai diversi emisferi della modernità, genera un'imperterrita e quasi comica baldoria, in onore del creduto inarrestabile  progresso del razionalismo ateo.  
 Intossicati dalla cieca lettura del pensiero postmoderrno, i turbamenti ecumenici e i sogni modernistici strisciano nei testi squillanti di una teologia prigioniera inconsapevole delle nebbie francofortesi e dei fumi californiani cioè depistata dalla snervante mitologia intorno all'inarrestabile ascesa del pensiero moderno.
 Al seguito delle convinzioni di un clero disinformato e stordito dal concerto orchestrato da banchieri cogitanti, passano indenni e indisturbati i deliri postmoderni, squittii di topolini ubriachi, in fuga rovinosa dalla montagna hegeliana.
 Assordata dal fragore prodotto dalla caduta della modernità, una sezione non piccola della teologia da palcoscenico ha disconosciuto e sconsigliato l'insegnamento di San Tommaso d'Aquino e di conseguenza ha perso di vista la superiorità della nobile tradizione filosofica sulle escursioni postmoderne nel vuoto mentale e/o nel proclama dell'avanguardia urlante che “vivere è far vivere l'assurdo”
 Al proposito l'autorevole e dotto Antonio Livi ha rammentato (forse inutilmente) che “si oppongono al cristianesimo quegli ambienti culturali … che per motivi ideologici hanno adottato l'immanentismo, il quale, peraltro, deve il suo prestigio e la sua influenza, non tanto alla incontrovertibilità delle sue tesi (a cominciare della necessità di praticare il dubbio iperbolico) quanto alla possibilità di servire da copertura ideologica per operazioni politiche finalizzate alla demolizione della cristianità e alla edificazione di una civiltà neopagana” [3].
 L'ideologia degli oligarchi ultimamente è al servizio di una politica malthusiana, sapientemente gestita da sodomiti d'alto rango e da strozzini senza religione e senza patria.
 Frastornata dall'urlo della demenza televisiva e sedotta dal serpentino sibilo dei corsivisti di scuola esoterica, la mente degli ecclesiastici progressivi diventa incapace di ripetere le parole di fuoco che la Sacra Scrittura indirizza agli usurai, ai sodomiti, agli adulteri e ai tiranni.
 Da tale diserzione ha origine l'estenuante girotondo delle mezze aperture al disordine postmoderno e delle mezze ritrattazioni, lanciate dall'alta, disinvolta cattedra del teologicamente corretto.
 Di qui, purtroppo, anche la (pseudo) ecumenica/incauta approvazione di un flusso migratorio, gestito dalla volontà di potenza infuriante nella falsa teologia degli islamici e benedetto dal devastante delirio onusiano & vaticano.
 A questo punto solo la liquidazione delle grottesche illusioni fiorite nel sottobosco  clericale e nelle adunate sincretistiche di Assisi, e la coraggiosa revisione dei polverosi testi conciliari, che hanno ispirato le teologiche manfrine in atto perpetuo sul palcoscenico clerico progressista, potrebbe scongiurare lo scisma incubante nella vasta area della refrattarietà alla nuova teologia.
 Ove la corsa ecclesiale nella cieca direzione della comica finale, non fosse frenata dalla gerarchia pensante, sarebbe inarrestabile la ricerca di un riparo dal delirio teologico nella chiesa ortodossa, vivente e fiorente nella Russia di Vladimir Putin.

Piero Vassallo
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[1] Etienne Gilson, Il realismo metodo della filosofia, Casa editrice Leonardo da Vinci, Roma 2015, pag. 168.
[2] Alla nobile schiera degli irriducibili alla suggestione modernista appartengono Réginald Garrigou Lagrange, Edith Stein, Francisco Elias de Tejada, Pedro Galvao de Sousa, Cornelio Fabro, Etienne Gilson, Augusto Del Noce, Maria Adelaide Raschini, Dario Composta, Danilo Castellano, Paolo Pasqualucci, Giulio Afano, Roberto De Mattei, Guido Vignelli, Pucci Cipriani, Tommaso Romano
[3] Cfr. la postfazione a Il realismo metodo della filosofia, op. cit. pag. 59.

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