lunedì 6 luglio 2015

L'EMPIETÀ, DALLA BELLE EPOQUE AL 1922, SI PROIETTA NEL POSTMODERNO (di Piero Nicola)

  Sull'epoca che precedette la Prima Guerra Mondiale alcuni intellettuali sinceri, ma giocati dalla nostalgia della loro gioventù o invaghiti d'una giolittiana gestione del parlamento, smarrirono la Stella Polare. Furono gli anni della borghesia apostata che ancora frequentava le chiese, del socialismo ambiguo o ateo erivoluzionario, d'un clero snervato  o fellone, dopo Pio X, d'una classe dirigente liberale e massonica, d'una licenziosità compiuta, atta a riprodursi con mostri di lei soltanto più grossi e invadenti, non appena avesse avuto l'agio di imporsi e predominare. Quindi, il periodo della guerra e del dopoguerra, rimasto a bagno nelle acque putride in cui era cominciato, andò di male in peggio (fatte salve le eccezioni votate a crescere).
  Colui che azzeccò la sociale mostruosità e, mostrandola nuda, forse l'ingigantì (con alcune pretese di mondana perfezione), tuttavia profeticamente, fu Domenico Giuliotti (S. Casciano in Val di Pesa 1877 - Greve in Chianti 1956).
  Gli organi della schifosa bestia sociale erano, nella luetica e leucemica circolazione sanguigna della democrazia, il farisaico e orribile arrangiamento di Cristo con Mammona, che serviva al laicismo statale, il liberalismo amorale, la neoplasia comunista, il partito cristiano abusivo, il modernismo strisciante, di già ecumenico, di già agente dell'Anticristo, sentore d'Apocalisse.
  Il testo antiveggente senza volerlo essere, e pungolante con punte ficcate sino all'osso, culmine d'un apostolato laico e guerresco, è L'ora di Barabba (accenno al tempo in cui Barabba è salito al potere). Se volessimo ripetere le sue invettive che menano all'essenza delle cose, bisognerebbe ricopiare la composizione per filo e per segno. A parte poche ripetizioni e sbavature, dispiace scartarne un rigo, tant'è asciutto e compendioso nella girandola dei traslati e delle similitudini.
  Che riguardi lo svelamento delle cause, gli squarci aperti nelle situazioni, i personaggi della storia recente o passata, gli aneddoti significativi, l'arte, le risposte ai propri critici, il paradigma sta nell'attuazione di verità imprescindibili, la cui qualsiasi inosservanza risulta esecrabile, perché lesione della natura e del suo Creatore, lesione deformante e degenerante. Infatti errore e peccato, come una presa di lievito immessa nella massa, l'alterano tutta, senza che vi sia chi preserva il pane infornandolo al punto giusto.
  Nella dedica ai Cattolici, l'autore osserva che la stampa cattolica, in generale, l'ha rispettato, che i RR. PP. di Civiltà cattolica hanno espresso soltanto qualche riserva per "certi eccessi di stile".
  Ogni frase giuliottiana erutta il discredito sanguinoso sul buonismo ante litteram, sui sofismi filosofici e religiosi, che ingannano con la veste della scienza, del moderatismo, della rispettabilità conformista, dell'autorità d'accatto. Egli giunge ad irridere i portati delle scoperte scientifiche e della tecnica. Non a torto, dato il loro uso, data la loro distruttiva rivoluzione mercantile. Egli arriva a screditare l'eroismo di un Giosuè Borsi, immolatosi per uccidere, invece di convertirsi per curare. Egli, impavido uomo di spada (ne uccide più la lingua che la spada) avversa la guerra mondiale quasi da pacifista. Ma non nega la Patria, purché ubbidisca alla Chiesa. Un degno ossequio, che viene prima di tutto. Contrario al despota (il dittatore è ancora di là da venire, né si pronuncia sul fascismo nascente), si augura un Cesare che annienti la libertà come viene concepita nel regime dell'ordinamento camerale e partitico.
  È il 1919.
  "Il giornale è un'arma borghese [oggi si tratta dei media].
  "Noi fondiamo un giornale e lo chiamiamo L'Antiborghese".   
  "Siamo quattro gatti contro tutto il mondo.
  "Vero è che siamo quattro gatti selvatici, e che ci avventiamo, di preferenza, sulla rigonfia nuca dell'asfissiante borghese [oggi anche il popolo è imborghesito], col pelo ritto e l'unghie sguainate, cercando d'affondarle quant'è possibile e di stracciar più carne che sia possibile, non senza una deliziosa speranza che le ferite inferte faccian cancrena".
  "I nostri nemici, presi in blocco, si chiaman folla. Essi ballano il tango della loro ignominia sopra un terreno insanguinato e minato.
  "La gran tinozza, dove tutte queste persone allegre vanno a rinfrescarsi le natiche, è la Democrazia.
  "Il locale che conserva, per ora, questa tinozza è la civiltà moderna; e la civiltà moderna è sinonimo di borghesia; e la borghesia è sinonimo, a sua volta, della più ipocrita, piatta, ottusa, burocratica, feroce, sporca e mostruosa tirannide.
  "Noi siamo [...] gli unici e autentici antiborghesi, perché (a differenza dei socialisti, biascicotti infetti della borghesia), rifiutiamo in blocco la civiltà moderna, con tutte le sue diaboliche meraviglie, e non ci abbassiamo d'un pollice dinanzi alla già barcollante statua d'oro".
  "Nessuno di noi crede più, da gran tempo, nelle sacre parole: progresso, libertà, umanità, fratellanza, uguaglianza, ecc.
  "Anzi, dopo averle, per necessità, pronunciate ciascuno di noi si disinfetta la bocca e sputa.
  "Crediamo nel si e nel no.
  "In Dio e, per conseguenza, nel Diavolo.
  "Il sì è la Chiesa Cattolica Apostolica Romana, sebbene la sua faccia solare sia temporaneamente imbrattata da un eclisse; il no è l'anarchia; e batte alla porta, invano appuntellata, del già soddisfatto borghese che si beffava di Cristo, ma che, oggi, incomincia a impallidire e a tremare, per il rumore crescente che vien di fuori.
  "Tutto ciò ci rallegra.
  "L'Anarchia è l'ultima punizione e l'avanguardia dell'Ordine. Perciò venga".
  "Ciò che il libero cittadino assolutamente non tollera è il re per diritto divino, il re senza aggettivi [non costituzionale], l'apice della piramide, insomma il Re.
  "Egli non vuole una piramide finita; vuole una piramide tronca; una piramide con tanto di spazio in cima per poterci mettere una seggiola per le natiche elettive d'uno spidocchiato cialtrone.
  "Ecco l'ideale!"
  "Posto ad ugual distanza fra la Teocrazia e l'Anarchia, il libero cittadino non va né avanti né indietro.
  "La Teocrazia e l'Anarchia (una montagna e un abisso) gli fanno orrore.
  "Egli (abitatore dell'acquitrino) non vuole né il no né il sì, ma il ni".
  "Ai due poli, l'eroicomico barbagianni asfissia".
  "Conclusione: Il libero cittadino sta alla repubblica come l'opposto della bocca all'orinale".

  "Espressione lapidaria del mulo di legno [Sidney Sonnino] nel cretinificio parlamentare:
  "'Il paese ha fatto la guerra, il paese deve fare la pace'.
  "Parole idiote se non ipocrite, e ipocrite se non idiote.
  "Il paese, come volontà, non esiste. Esistono, volta a volta, minoranze delittuose (agitanti fogli da mille o cenci variopinti) alle quali e dalle quali i timonieri dello Stato danno o ricevono ordini".
  Ho detto che i saggi di questa violenta fustigazione - da cui ascende nitido il panorama oscurato da timore o interesse - sono troppi, tante le sfaccettature convergenti e persuasive. Eppure brucia il rammarico di non poterle citare. Pazienza: spigoliamo; a pro di chi avrà il piacere di regalarsi l'incognito completamento.
  Allora era moda retorica il prendere in prestito dalla religione una terminologia applicata agli ideali civili. Mazzini aveva fatto eretica scuola. Un manifesto di repubblicani a commemorazione del "Maestro", parlava di "missione", di "fratellanza dei popoli", di "religione del dovere", d'"emancipazione dal dogma" e si finiva col proclamare Mazzini "Iniziatore d'una nuova Era" e "moderno Cristo".
  "Un'altra volta, in un paese toscano [...] un Tizio dal largo cappello a cencio e dal nero fiocco rivelatore, dopo aver letto nel sommario d'un giornale la notizia d'un attentato anarchico, con voce di basso tuonò: 'Sante bombe!'
  "Un anno dopo rividi quel prode membro della 'Santa canaglia'; e fu proprio (m'è rimasto impresso) nel momento preciso che un 'Santo Manganello' gli rompeva il capo.
  "Fatterelli; sembrano non dir nulla; ma dicono: 'Ça ira'.
  "Eppure molti avveduti cattolici, che sono amici di tutti e 'rispettano indistintamente tutte le opinioni' con un pio risolino di compatimento sulla faccia rosea, per l'ennesima volta ammoniscono:
  "'Eh via, non bisogna veder troppo nero; il male e il bene si trovano da per tutto; anche nelle idee moderne c'è del buono; e, infine, (come ben dice il proverbio) il Diavolo non è mai tanto brutto come si dipinge'.
  "Inutile confutare, dimostrare, insistere.
  "Sul loro putrefatto ottimismo, ogni sera, a fin di tavola s'addormentano.
  "E se fossero svegliati dalle trombe dell'Apocalisse, scambiandole per la Marcia Reale, balzerebbero in piedi gridando: Viva il Re!".
  "L'on. ex combattente a Udine, Orano professor Paolo, parlava, chi sa perché, nel decorato trogolo parlamentare, dell'anima.
  "A un tratto, un panicato verro bolscevico l'ha interrotto così: 'L'anima è aria e gas'.
  "Ben detto.
  "Soltanto mi meraviglio che non abbia ricorso allo strumento di Barbariccia per darne immediatamente un'adeguata dimostrazione".
  "Anche il libero pensatore, ahimè! crepa.
  "Quando il libero pensatore è spacciato, i suoi 'fratelli di fede', chiamati dalla 'voce del dovere', accorrono. Non meno liberi e non meno pensatori di lui, essi accorrono col nobile intento d'impedire (se ce ne fosse bisogno) che un attimo d''incoscienza' (derivato senza dubbio da pure cause fisiologiche) faccia piegare 'quello stoico' verso la 'superstizione cristiana'".
  "In altro, sulla parete, una consolante effigie di Garibaldi rosseggia, un nerovestito Mazzini si regge, con la mano nervosa, la gran cervice".
  "A un tratto, dopo un lungo torpore, l'agonizzante sobbalza, sbarra gli occhi; poi, con un gorgoglio lamentoso delle labbra che sbavano, la testa, come una palla pesante, gli ricasca giù.
  "I pensatori si guardano... 'Tutto è regolarmente finito'.
  "E infatti, dinanzi a loro, su quel letto non profanato dal Crocifisso, c'è solo, regolarmente immobile, un animale morto".
  "Il Diavolo, disse Cristo, è il principe di questo mondo.
  "Meschino principe e labile principato.
  "Intorno (come un cerchio di fuoco che sempre più si restringe per divorar tutto) sta Dio.
  "L'orologio ha camminato, e la fine dei tempi è prossima.
  "Il Diavolo e Dio lo sanno; ma l'uomo moderno lo ignora, perché avendo rinnegato Dio, ha perduto l'intelligenza, e muore, idrocefalo, farneticando, in un ciclone di turpitudini.
  "L'uomo moderno, che gira su se stesso, come un ubriaco sul proprio vomito, cercando invano un puntello a se stesso in se stesso, è colui che ha spento nel proprio cuore il timor di Dio, ch'è fiamma di scienza, per accendervi un fuoco che non riscalda né illumina: un fuoco opaco, freddo, velenoso, che lo impiaga: l'orgoglio.
  "Prometeo, l'eroe mitico, esaltato in prosa e in rima dalla scacazzante ciurmaglia antireligiosa, è il più celebre discepolo del Diavolo; e, come tale, è il simbolo per eccellenza del ribelle ostinato, del ribelle scemo".
  "Che leggi?
  "Un libro per le scuole elementari.
  "Chi l'ha scritto?
  "Io.
  "E perché correggi?
  "Preparo la seconda edizione.
  "E del temperino che ne fai?
  "Raschio, per commissione, via via che la trovo, la parola proibita.
  "Quale?
  "Dio.
  "Senti! E chi la proibisce questa pericolosa parola?
  "La Civiltà moderna, amico mio.
  "È una signora di molto per bene cotesta civiltà moderna, o così così?
  "Mah! Conosco delle donne pubbliche che vestono come lei; ossia: è lei che le veste e, soprattutto, le spoglia a suo piacere".


Piero Nicola

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