martedì 14 luglio 2015

Eutanasia, ultimo orizzonte dell'americanismo

 L'ambiguo ottimismo dell'oligarchia americana, diffuso a tappeto dagli aviatori liberali (liberetors) prima di rovesciarsi nelle democrazie sedicenti cristiane è stato battezzato dall'acqua magica ma non santa dell'aspersorio umanitario.
 In fine il gaudio ha gettato la maschera rovesciandosi nel lugubre pensiero incombente sui decenni infiorati  dalla tossica & gomorrita goduria.
 Chi oserà tuttavia gettare l'ombra del dubbio sulla esplosiva felicità diffusa dalle pedagogiche bombe sganciate dai vincitori/educatori?
 Chi metterò in discussione i democratici piaceri elargiti agli sconfitti dagli alfieri della bandiera a stelle e strisce?
 La filosofia salita a palazzo Chigi per celebrare l'accoppiamento dell'umorismo involontario di La Pira con la comicità surreale di Rascel, condivide e loda a voce alta i democratici sollucheri procurati ai vinti dalla felice/felicitaria America.
 La memoria della feroce e mortifera ideologia americana è peraltro consegnata nelle pagine sulfuree del romanzo di Curzio Malaparte, La pelle.
 L'esame dei filosofemi a monte dell'allegria americana desta un vago e strisciante sospetto perfino anche nei margini di quell'area moderata, che non sono del tutto refrattari e allergici al pensiero tradizionista.
 L'imbarazzo e il disagio aumentano allorché i benpensanti riflettono sulle trasgressioni e sui ruvidi godimenti, che la filosofia neo-albigese, circolante en travesti nelle università americane, propone ai giovani.
 L'avanguardia (elitaria) americana si identifica nei precetti morali, che indirizzano alla ricerca della cadaverica felicità abitante nei paradisi drogastici e nei vespasiani esoterici, dove si incontrano gli iniziati alle delizie del sesso contro natura.
 Il giornalismo a gettone tenta invano di occultare il turbamento procurato ai refrattari europei dalla tossica sessantottina miscela di Eros e Thanatos, la fumosa diade che sta sulla cima del monte teoretico scalato dal  libertinismo, trionfante nel pensiero dell'oligarchia liberale.
 Maria Adelaide Raschini ha stabilito magistralmente la dipendenza del liberalismo dal pregiudizio scettico, "che consentiva di imboccare un solo sentiero, quello tracciato dall'illuminismo inglese - il gran padre Locke, veniva chiamato questo angusto esponente dell'empirismo così tipicamente inglese" [1].
 Nella nascosta profondità del godimento americano (e anglo-americano) infatti abita - ovviamente privo del qualunque sussidio della ragione - l'incubo purissimo, albigese e ultimamente francofortese, che ha dichiarato la amorosa guerra del Nulla lucente contro l'oscuro/odiato Essere.
 Risultato della insorgenza neo-catara contro la religione dell'Ipsum Esse è il delirio, che ha mosso i pensatori e i politicanti ultramoderni a condurre un'implacabile guerra alla natura e alla vita, la guerra combattuta e al momento vinta dalla democrazia obituaria al potere nei parlamenti del fantasma chiamato Europa.
 Buona morte, il nome che la venerante ipocrisia occidentale attribuisce all'odio contro la vita, è l'oggetto di una importante raccolta di saggi, Eutanasia un diritto?, sagacemente introdotti da Danilo Castellano e tempestivamente pubblicata in Napoli dalle Edizioni Scientifiche Italiane.
 Castellano rammenta che "fino alla fine del secolo XIX può dirsi costante il rifiuto, conseguente alla prescrizione rivolta ai medici da Giuramento di Ippocrate (420 a. C. circa) di somministrare ad alcuno, ancorché richiesto, un farmaco mortale o un suggerimento in tal senso".
 L'emersione dal sottosuolo cataro di una dottrina tenebrosa, avversa alla ragione e intesa a giustificare l'omicidio pietoso, rappresenta l'epilogo catastrofico e desolante della frenesia ablativa, soggiacente motore della rivoluzione.
 Al proposito Castellano rammenta che la giustificazione dell'eutanasia matura in un soggetto "non guidato da criteri razionali (esigiti dalla sua natura razionale e imposti dalla realtà dell cose) bensì da impulsi e desideri che lo rendono di fatto schiavo anche se a parole e teoreticamente libero". 
 L'irrazionalità, infatti, è il motore che trascina la filosofia illuminista  a una guerra spietata  contro la ragione, "in nome di un sacro (cioè intoccabile) diritto a godere e disporre di sé, senza interferenze di volontà diverse dalla propria e senza il rispetto di criteri oggettivi". 
 La fragilità di tale pensiero è rivelata dal fondamento nella avventurosa applicazione alla persona umana dello ius utendi et abutendi, "letto secondo la dottrina illuministica [lockiana] molto lontana dal (forse agli antipodi rispetto al) significato con il quale questa massima era stata accolta nella codificazione giustinianea".
 La teoria dell'inglese John Locke (1632-1704) incontra tuttavia un insormontabile ostacolo nella tradizione giuridica, che ha stabilito i limiti della proprietà, "che non è e non può essere accolta come sfera di sovranità individuale, Basterebbe considerare a questo proposito ... che la proprietà sulle cose è anche negli ordinamenti giuridici contemporanei ipotecata da finalità che ne limitano il diritto di godimento e di disposizione".
 Infine l'annichilimento della realtà è impossibile all'uomo: "la soggettività (ontica) infatti è indistruttibile poiché la sostanza spirituale (implicata dalla soggettività) non dipende dagli elementi accidentali che concorrono alla sua concretizzazione e alla sua manifestazione di cui essa è forma. Basterebbe considerare, per comprendere a fondo la tesi, che a Dio, essere libero in senso assoluto e onnipotente, non è possibile il suicidio".
 La legalizzazione del suicidio e l'assistenza prestata dallo stato/becchino al suicida sono i sintomi della tragica malattia che affligge la ragione dell'Occidente liberale, folgorato dalle illusioni di una teologia capovolta nella spaventosa/incubosa figura della ragione in guerra furente e sciagurata  contro se stessa e contro Dio.

Piero Vassallo




[1]             Cfr. Responsabilità storica della filosofia, Venezia 2001, pag. 471.

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