lunedì 15 giugno 2015

L’APOCALISSE DEL MODERNO (di Costantino Marco)

La realtà della dissoluzione del mondo, profetata da Daniele, con la congiunta persecuzione degli uomini santi, riguarda, come è noto ai credenti, l’avvento dell’Anticristo, portatore di avversità, qui adversatur, e di discordie, l’antikeimenoV, di cui parla Paolo nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi.
Il primo portatore di discordie, nel mondo antico, fu Socrate, il quale inaugurò quel metodo dialettico che Platone, suo discepolo, lo teorizzerà in senso universale e non solo più relativo alla sfera etica. Nel mondo cristiano, portatore di discordie e di divisioni fu lo stesso Cristo, che, contestando la tradizione legalistica custodita dai Farisei, inaugura quella libertà ermeneutica della verità custodita dal Vecchio Testamento che verrà canonizzata nei Vangeli e quindi nella tradizione esegetica patristica.
Mutato il paradigma interpretativo della Verità, muta anche il senso della sua annunciazione. La verità mitica, attraverso la mediazione della lettura filosofica, sposta il baricentro della credenza razionale dalla dimensione puramente politica dell’ossequio al Potere costituito alla dimensione antropologica dello homo rationalis, interprete di valori etici superiori alla stessa legge positiva perché ideali.
Parimenti, la verità biblica, attraverso la mediazione della lettura evangelica, sposta il baricentro della fede dalla dimensione puramente legale dell’ossequio al Padre alla dimensione antropologica della divino-umanità del Figlio. Una stessa fede dunque si dispiega col Cristianesimo in termini di apostolato e di messianismo storico, e non solo più come destinazione etnico-nazionale a un popolo privilegiato e depositario unico di essa.
In questa esigenza cattolica del Cristianesimo storico e universalistica della ragione dialettica, si trova il punto di raccordo della sapienza antica e di quella nuova che ricuce in una novella sintesi teo-logica la frattura culturale apertasi dalla follia della predicazione del Cristo entro il cosmo naturalistico greco. Dall’incontro della fede escatologica evangelica con il Logos filosofico nasce la tradizione intellettuale e teologico-politica romano-alessandrina ereditata storicamente dalla universale civiltà europea.
Orbene, questa millenaria sintesi etico-teoretica della civiltà cristiana erede di quella antica è sopravvissuta ai due grandi scismi cristiani, d’Oriente e d’Occidente, e si è infranta con la nascita della cultura moderna e dell’umanesimo razionalistico neo-fisicalistico. Con lo scientismo moderno, la fede cristiana è diventata una questione puramente religiosa, distinta e separata dal sapere e dalle teorie razionalistiche della conoscenza della realtà naturale e storica.
Dal punto di vista della fede, la svolta umanistica l’ha ridotta a religione, surrettiziamente riconsiderata all’interno della sua funzionalità politica dalla quale la predicazione di Cristo come fede nella Verità l’aveva in origine voluta emancipare.
Dal punto di vista culturale, lo scientismo umanistico, riabilitando il sapere antico distinto dalla sintesi teologica cristiana, riportava in auge le categorie di pensiero pagane liberandole da ogni mediazione morale ed escatologica, riconsiderando la storia spirituale dell’umanità in termini puramente biologico-politici, rispetto ai quali ogni rappresentazione spiritualistica rivestiva il valore di una superfetazione mitica e fantasiosa. La verità cristianamente pensata diventava per la ragione moderna un Mito, rispetto al quale il sapere scientifico operava come già la filosofia greca aveva operato sulla mitologia pagana.
Il germe della dissoluzione era già interno al Cristianesimo, ed era appunto costituito da quell’universalismo razionalismo che era stato il portato del pensiero dialettico greco, la cui tecnica, liberata da ogni finalismo teoretico, diventava il metodo scientifico di considerare ogni ordine della realtà in senso razionalistico. Ciò che tratteneva (kateicon ) la deriva ateistica e l’apostasia (descessio) dello scientismo razionalistico dalla Verità trascendente ogni naturalistica certezza empirica, è stata nella Cristianità considerata la Chiesa (ekklesia), e non già quella fides senza la quale la pagana ratio diventava una mera tecnica (tecnh), confondendosi la creatura divina di Dio, il Suo strumento storico, con il suo Creatore, verso il Quale il credente era chiamato appunto a credere. Rispetto alla antica fede giudaica in Dio, la fede in Cristo assumeva un valore di rinnovamento spirituale in senso non più etnico-culturale ma trans-nazionale e antropologico universale, e quindi inclusivo dell’antico nel nuovo credo. Ma questa rinnovata fede in Dio attraverso la fede nel Cristo, non poteva né può confondersi con la fede nella Chiesa come istituzione storica e struttura mondana di organizzazione religiosa internazionale. Ma proprio questa indebita confusione della creatura col Creatore ha umanizzato lo stesso oggetto della fede, riferendola a una realtà umanamente imperfetta, al pari della struttura sociale e dello Stato. L’idolatria ecclesiale, non soltanto è stata fomite di divisioni interne al Cristianesimo, ma ha contribuito non poco alla determinazione della Verità di fede come un oggetto di pensiero, suscettibile di una definizione teoretica di carattere logico-filosfico, e quindi dialettico, al pari di ogni ente ideale. E infatti lo stesso processo culturale che ha condotto la Chiesa, comunità di fede e strumento divino, a trasformarsi storicamente in una umana istituzione di Potere religioso, in grado di competere sul piano politico con le altre potenze secolari mondane, ha condotto al culto fideistico dello strumento razionale (Lògos) privato di ogni télos trascendente il suo stesso metodo, e dunque alla rimozione superstiziosa della Verità dall’orizzonte di coscienza dell’epistemologia moderna, che l’ha confinata alla dimensione privata del foro interiore ma come una rappresentazione non razionalmente sostenibile della realtà. Il motivo protestanico della sola fides, astratto dal suo fine escatologico divino, è anch’essa superstiziosa credenza nella realtà dell’ente come speculum Dei, e va considerato opposto ma omologo al motivo istituzionalistico cattolico, che fa dell’ente ecclesiale l’idolum tribus ecclesiastico, rappresentando i due volti storici della rispettiva apostasia dalla fede comune nella carità fraterna in Cristo, l’unica Verità.
Rimossa la fede nella Verità cristiana, e considerato il suo credo alla stregua di una qualunque credenza mitica dell’attempato e metafisico homo religiosus, e quindi oggetto culturale transeunte e destinato a essere superato come ogni altra similare credenza religiosa nel processo del nichilismo storico, i termini esistenziali della realtà umana sono stati razionalisticamente omologati metodologicamente a quelli naturalistici di ogni altro essere vivente, ritenendosi un errore la separatezza metafisica tra res cogitans e res extensa, ma non la considerazione dell’uomo come una res astrattamente oggettivabile alla pari di ogni contenuto di pensiero razionale, facendo così della umanità un’Idea e della salvezza dell’uomo un ideale storico, e come tali affrontabili con gli strumenti offerti dalla ragione umana e dalla sua tecnologia. Sul piano della realtà sociale, l’ideologia umanitaria assume le forme istituzionali della democrazia, mentre lo strumento della salvezza biologica dell’umanità viene fatto consistere nel sistema capitalistico.
L’Anticristo non è, come potrebbe pensarsi, un qualcuno in senso singolare, come potrebbe essere un dittatore, ma è l’ente mondano venerato come l’Essere, ovvero, nei rapporti politici, il Popolo idolatrato come il Sovrano, e nei rapporti economici la Ricchezza idolatrata come lo stesso benessere dell’umanità, fuori di ogni tensione finalistica verso l’affermazione spiritualistica dell’uomo, in cui consiste la salvezza cristiana. La salvezza celeste è la affermazione dell’uomo spirituale sull’animale sociale pagano.
Allorquando Tertulliano afferma che “l’imperatore è grande proprio perché è subordinato al cielo: infatti, anche egli appartiene a Colui al quale appartiene il cielo e qualsiasi altra creatura”, e che “egli è imperatore grazie a colui in ragione del quale è anche uomo, prima che imperatore; provenendo il suo potere dalla stessa origine del suo spirito” (Apologeticus  Adversus Gentes pro Christianis, XXX, 1-4), esprime in linguaggio arcaico la natura stessa della questione politica moderna, che fonda sulla superstiziosa fede nella sovranità popolare la legittimazione del Potere, che pone al posto della volontà di Dio la volontà dell’elettorato, così come al posto della Verità pone la credenza nell’ipotesi epistemologica della comunità scientifica.
La crisi di valori attuale, in un mondo dominato dalla superstizione idolatrica nel benessere materiale a garanzia del quale si confida nelle risorse infinite della scienza, non può essere affrontata con espedienti dottrinali o con politiche di piccoli passi diplomatici, ma deve partire dalla consapevolezza che le categorie di pensiero che hanno retto il cosmo culturale cristiano erano tarate da sincretismi razionalistici di retaggio naturalistico pagano che si sono rivelati funzionali alla conservazione del mondo antico sotto mentite spoglie cristiane, ma che non sono serviti a cambiarlo in senso spiritualistico.
L’intento di cambiare il mondo in senso spiritualistico non può conseguirsi come un obiettivo politico, facendo della fede cristiana una ideologia da zeloti o da feddain o da talebani. Al contrario, la fede cristiana consiste esattamente nel superare la dimensione politica della vita sociale a favore della dimensione singolare in senso di Kierkegaard della esistenza spirituale, trascendendo quella figura personale dell’uomo che a tanti equivoci concettuali si è prestata per la polisemicità del suo uso promiscuamente giuridico e teologico. La salvezza dell’Uomo non equivale alla salvezza di un popolo, di una razza, di una nazione, di uno Stato o di una classe sociale. Ma neppure alla salvezza di un Impero o di una astratta Umanità, sia pure religiosamente connotata come Chiesa universale. Così come la salvezza dell’Uomo non può essere fatta coincidere con un sistema economico, sia pure globalizzato. Questi sono ideali mondani e storici in senso empirico, e costituiscono oggetto di credenza alla stregua di una teoria scientifica, che è valida fino a prova contraria, per cui basterebbe far tacere ogni prova confutatrice per salvaguardarne la presuntiva fondatezza dell’ipotesi. E così sta avvenendo verso le ideologie politiche, viepiù uniformate al modello storicamente vincente dell’american style of life.
Come ogni modello ideale, anche quello storicamente vincente che vi si ispira può essere universalizzato senza perdere la sua natura empirica e transeunte di ente finito, e perciò imperfetto e diveniente, ma neppure mai veramente realizzarlo sul piano dei rapporti concreti. Ciò vuol dire che la sua espansione geo-politica sarà ostacolata dalla concretezza dei fenomeni locali, significativi secondo la loro natura ideale e il loro fondamento ontologico, ossia la loro fede metafisica. La globalizzazione capitalistica troverà nelle tradizioni religiose locali una resistenza simile a quella che fu il cristianesimo alla espansione dell’ideologia romana. La forza del cristianesimo non fu certamente politica, come quella della Chiesa, ma fideistica. Infatti la forza politico-militare romana si fermò davanti alla dichiarazione di Gesù circa la esistenza della verità, di cui Pilato ignorava il significato. Lo stesso accade oggi all’imperialismo americano, che può esportare efficienza tecnologica e rappresentazioni mitizzate del loro modello di vita capitalistico e democratico, ma non può confutare le verità che sostengono l’esistenza concreta dei popoli che lo subiscono. Ed è questa sostanziale ragione che obbliga il Potere imperialistico occidentale a cercare di neutralizzare le fonti locali della verità facendo direttamente appello ai bisogni vitali dei popoli e alla loro legittimazione politica attraverso il consenso elettorale, senza passare attraverso la mediazione culturale delle tradizionali élites intellettuali e religiose. In questo senso esso opera come una potenza anti-spirituale e anti-storica, che ribalta l’origine della sovranità dal cielo dei princìpi alla potenza delle forze terrene, secondando la previsione profetica di Paolo di 2 Ts, che prevedeva l’apostasia o discessio della potestà politica, che riceve autorevolezza dalla rappresentanza popolare, dalla autorità morale del Cristo generato da Dio, cioè del Potere mondano, legato alla mediazione della forza sociale, dal Governo assoluto, divinamente ispirato dalla fede. Questa separazione, conseguente a quella intervenuta nel corso razionalistico del pensiero moderno, dove il Logos antikeimenos si è scisso dal suo fondamento ontologico di verità di fede, è foriera della anomia dilagante nella attuale società liquida.
La fede cristiana, rivedendo i fondamenti della propria teologia politica, deve proporsi di riconsiderare le ragioni teologiche di tale scissione metafisica che ha riconsegnato la civiltà alla teoresi naturalistica neo-pagana, per riproporsi come fonte spirituale di una concezione impolitica della storia umana, e pertanto, rispetto al corso politico moderno, non già come ispirazione di una politica contro-rivoluzionaria ma bensì di una cultura contraria alla mera rivoluzione politica, per riprendere la celebre espressione di de Maistre,. Posizione che fu quella assunta da Gesù, che si oppose all’ideologizzazione religiosa della fede da parte degli zeloti, negando col martirio che la politica potesse avere il posto di Governo che spetta solo a Dio.

Oggi lo zelotismo, che ha interessato anche alcune correnti teologiche libertarie, si diffonde nell’Islam, e perciò il cristianesimo può vantare verso quella tradizione monoteistica una superiorità morale e teologica non sottacibile dietro contingenti prospettive ecumeniche o alleanze tattiche contro l’ateismo tecnocratico. A questo scopo, le stesse Chiese cristiane devono dismettere ogni politica conciliatoria con il Potere secolare per concentrare la loro azione pastorale nella predicazione contro il falso idolo tecnocratico e a favore di una storicità dell’Uomo spirituale, promuovendo la ricerca di una rinnovata rappresentazione dei nostri tempi avente per oggetto la loro dimensione apocalittica. Solo infatti abbandonando le false illusioni del catechon democratico, si potrà pervenire al completo disvelamento della natura anti-cristica del Potere tecnocratico dilagante col capitalismo confutando il suo carisma edonistico presso le masse, e attraverso questo rinnovamento spirituale della tradizione culturale cristiana si potrà uscire dalle paludi ormai mefitiche dell’ultimo scorcio dell’età del Logos politikos e inaugurare un nuovo eone storico, dello Spirito di carità.

Costantino Marco

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