mercoledì 3 giugno 2015

I partigiani secondo Carl Schmitt: La dottrina, la storia, il mito

La nozione di partigiano/patriota, conservata nella severa tasca del potere quirinalizio, insieme con il venerato metro di legno, che misura la gloriosa entità della vittoria antifascista nella seconda guerra mondiale, è purtroppo messa in dubbio dalla teoria elaborata da un autorevole filosofo del diritto, il tedesco Carl Schmitt  (Plettenburg 1888 - Plettenburg 1984) [1].
 Lo studioso tedesco, dopo aver attribuito alla rivolta antigiacobina dei vandeani il carattere di ribellione contro la tirannia instaurata da compatrioti, ha fissato l'autentica, imbarazzante data di nascita del partigiano zarista, obbediente al potere costituito: "Nell'estate del 1812 partigiani russi guidati da militari ostacolarono con azioni di disturbo l'avanzata dell'esercito francese verso Mosca: nell'autunno e nell'inverno dello stesso anno i contadini russi decimarono i francesi in fuga".
 Schmitt rammenta che Lev Tolstoj ha elevato il partigiano russo del 1812 "a portatore delle energie primordiali della terra russa, che si scrolla di dosso il celebre imperatore Napoleone insieme alla sua fulgida armata".
 L'essenza originaria del partigiano è il patriottismo russo insorgente contro le baionette francesi, strumenti della liberazione illuminata. Alla luce del fatto storico è lecito affermare che la radice del movimento partigiano è la fedeltà alla tradizione minacciata dall'esercito radunato intorno al vessillo della rivoluzione illuminata.
 Nel solco della cultura controrivoluzionaria si colloca anche l'editto prussiano dell'aprile 1813 , un documento che legalizza la milizia territoriale: "In quell'effimero editto prussiano ... è documentato l'attimo in cui il partigiano appare per la prima volta in un ruolo nuovo e decisivo, quale figura sino allora non riconosciuta dallo spirito universale. Non già la volontà di resistenza di un popolo ardito e bellicoso, ma cultura e intelligenza han no aperto le porte al partigiano e gli hanno conferito una legittimazione su basi filosofiche".
 La dottrina della guerra partigiana fu riveduta e aggiornata da Lenin "che considerò inevitabile il ricorso alla violenza e a sanguinarie guerre rivoluzionarie, sia civili che internazionali, e perciò approvò anche la guerra partigiana come un momento necessario dell'intero processo rivoluzionario".
 Nel pensiero leninista la guerra partigiana è inseparabile dalla guerra civile: "la guerra partigiana è una forma di lotta inevitabile, della quale ci si serve, senza dogmatismi e senza preconcetti, così come ci si deve servire, a seconda delle circostanze, di altri mezzi e metodi legali o illegali. pacifici o violenti, regolari o irregolari. Lo scopo è la rivoluzione comunista in tutti i paesi del mondo".
 Riconosciuta, grazie alla lettura del fondamentale teso di Schmitt, l'esistenza di due irriducibili dottrine contemplanti la guerra partigiana si afferma l'obbligo di riconoscere l'esistenza di una doppia identità della resistenza italiana: la figura di una guerra contro l'occupante tedesco e la figura di una guerra rivoluzionaria.
 Di qui la necessità di sdoppiare il metro storico nella tasca dell'illustre apologeta della resistenza, e di riconoscere finalmente che vi fu una resistenza obbediente al Regno d'Italia e una resistenza conforme all'ideologia marxista-leninista.
 Il rispetto dovuto alla Resistenza in generale, non contempla il nascondimento della doppia ispirazione, sabauda e leninista, legalitaria e rivoluzionaria, patriottica e birichina.
 La resistenza del partigiano monarchico Piero Operti, ad esempio, non può essere confusa con la resistenza di Pietro Longo.
 Solo un'acrobazia vertiginosa e temeraria può associare i resistenti responsabili delle stragi consumate nella non radiosa primavera del 1945 (quarantamila fascisti e/o presunti tali sveltamente massacrati) al patriottismo del partigiano monarchico Operti o a quello del partigiano cattolico Aldo Gastaldi.
 Due resistenze, due metri di legno sono insinuati, al seguito dello scritto di Schmitt, nell'autorevole tasca storica del signor presidente Mattarella. L'antitesi fascismo malvagio - resistenza sacra, si rovescia in un balletto a tre. Come nello storie d'amore infelice, nella squillante dialettica del signor Presidente, lo scritto di Schmitt inserisce un terzo incomodo.

Piero Vassallo




[1]             Cfr. Carl Schmitt, Teoria del partigiano, Adelphi, Milano 20123.  Schmitt, dopo aver tratto dal pensiero di Thomas Hobbes (1588-1679) la teoria decisionista, ["la legge non è norma di giustizia, bensì imperio, mandatum di colui che detiene il potere supremo e si propone con esso di determinare le azioni future dei cittadini"], fu tentato dal pensiero controrivoluzionario cattolico di Juan Donoso Cortès (1809-1853).

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