lunedì 13 aprile 2015

PER UNA NUOVA ITALIA (di Costantino Marco)

A circa un settantennio dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, è possibile trarre un bilancio consuntivo sul periodo storico relativo, che punti a un deciso superamento della situazione politica e quindi degli equilibri tra le componenti partitiche che ne hanno animato la vita istituzionale.
Il problema del superamento di tale equilibri e della relativa situazione istituzionale complessiva che ne ha fatto da sfondo, si pone con particolare interesse per quanti ritengano che quel bilancio sia sostanzialmente negativo, e comunque tale da non poter prefigurare una continuità storica col recente passato politico, e perciò auspicano una svolta decisiva, a partire dalla revisione radicale della stessa Costituzione.
Infatti il quadro storico e ideologico che l’ha formata e giustificata è profondamente cambiato, anche se sopravvive per inerzia nelle rappresentanze politiche attuali, le quali, pur con nomi e programmi aggiornati nel tentativo di mascherare il vuoto venutosi a creare con la fine della guerra fredda, hanno perseverato nel senso della sostanziale continuità ideologica coi primi movimenti repubblicani a cui si ispirano e in cui si sono allevate idealmente le loro classi dirigenti.  
Rispetto al nuovo quadro storico della società italiana attuale, l’elemento politico e istituzionale ispirato dalla Costituzione repubblicana rappresenta un notevole anacronismo, ormai insopportabile, sia per le incongruenze culturali con la mutata coscienza nazionale ed europea, che per la disfunzionalità rispetto alle concrete esigenze di governo di una realtà sociale in rapido sviluppo e movimento. E pertanto nessun riferimento ideologico ai partiti repubblicani tradizionali potrà interessare un movimento politico autenticamente riformatore e responsabilmente consapevole dei bisogni dell’Italia contemporanea e del suo ruolo internazionale nel nuovo scenario geo-politico globale.
Al contrario, un autentico movimento riformatore deve fondare la sua proposta politica nuova sul fondato presupposto che le culture politiche del periodo repubblicano siano storicamente superate e perciò consegnate a un irreversibile passato ideologico, che ha contrassegnato la storia italiana ed europea per la sua violenta semplificazione degli indirizzi ideali della cultura moderna nel senso di una contrapposizione politica, la cui faziosità ha notevolmente compromesso la crescita spirituale delle nuove generazioni attivamente o passivamente coinvolte nel suo perverso radicalismo dottrinario.
Le stesse culture politiche che si fronteggiavano socialmente alla ricerca del consenso popolare e del potere istituzionale, sono state all’origine del patto costituente repubblicano, dando vita a una carta costituzionale che ideologicamente le rappresentasse, spesso senza coerenza, ma che, nella lotta politica e nella rivalità ideologica, fungesse comunque da riferimento etico comune.
Per le sue caratteristiche ideologicamente contraddittorie, che registrano la compresenza nello stesso testo normativo di programmi di cattolici e comunisti, di liberali e socialisti, in tutto divisi tranne che nel comune riferimento costituzionale, l’unico punto di coagulo di una così eterogenea Costituzione è rappresentato dalla sua contrapposizione ideologica alla cultura fascista, la cui fine politica ha coinciso con la fine stessa della Guerra, e quindi a sua volta anacronistica e puramente simbolica.
D’altro canto, però, l’unità anti-fascista rappresentata dalle componenti costituenti della Repubblica, è stata conseguita sulla divisione ideologica della società italiana in due tronconi culturali, solo uno dei quali era quello anti-fascista, restando l’altro quello da convertire ai valori espressi dalla unità costituente. Tra questi anche il comunismo, contro il quale si battevano a livello internazionale le forze di democrazia cristiana, liberale e socialista alleate costituzionalmente ai comunisti locali nel comune fronte anti-fascista. La distinzione tra comunismo politico e comunismo ideologico, è stato uno dei motivi più perniciosi della dissoluzione della cultura italiana, alla cui tradizione si è sovrapposto un dibattito ideologico imbastito di vieti luoghi comuni perché tutto concentrato sulle contingenti questioni della politica elettorale, la cui volgarizzazione ha indotto a credere nel fattibile coinvolgimento politico delle masse, e quindi nella possibilità che fosse possibile governare un grande paese semplicemente ricevendo il loro consenso elettorale.
A tale divisione ideologica tra fascisti e anti-fascisti, bisogna aggiungere la ulteriore divisione nazionale tra monarchici e repubblicani già consumata dall’equivoco referendum istituzionale del 1946, il cui esito, al di là delle discutibili modalità, sancì in ogni caso la spaccatura degli italiani in due metà pressoché uguali, una delle quali prese il potere misconoscendo la volontà dell’altra, e stabilendo le forme istituzionali del regime repubblicano senza che l’altra ne fosse partecipata e rappresentata.
Questo grave limite etico-politico delle forze repubblicane, che si mostrarono in questo più arretrate dello stesso Fascismo storico, che aveva teso a superare a suo modo le divisioni nazionali createsi nel periodo risorgimentale e confermate nello Stato liberale, fu aggravato dalla esclusione dal governo della Repubblica dei comunisti, i quali, pur co-estensori ideologici della Costituzione repubblicana e partecipi a pari titolo con gli altri partiti politici alla competizione elettorale, furono ritenuti inidonei a governare il nuovo Stato per via della loro ideologia totalitaria, già ritenuta valida per il suo anti-fascismo e discriminata ora solo per ragioni internazionali, contribuendo surrettiziamente ad accreditarla moralmente.
La metà repubblicana dell’opinione pubblica italiana fu dunque ulteriormente dimezzata per l’esclusione dei comunisti dal governo, sicché una strenua minoranza ideologica poté governare l’Italia conseguendo una maggioranza elettorale praticamente senza alternative politiche.
Questa minoranza ideologica repubblicana, anche se solidale nel governo dell’Italia, comprendeva al suo interno indirizzi culturali che si erano per secoli politicamente opposti, per cui la loro concreta azione di governo è stata caratterizzata da una contraddittorietà e frammentazione di indicazioni ideologiche che solo la situazione internazionale bi-polare riusciva a coprire in nome della stabilità politica della parte occidentale, le cui incongruenze locali passavano in secondo piano rispetto alla sua tenuta complessiva.
Senza un serio ricambio politico al governo del paese, e senza una alternativa culturale nazionale che superasse il riferimento ideologico anti-fascista della Costituzione, la lotta politica nell’Italia repubblicana si articolò entro un attempato orizzonte ideale, in cui le posizioni contrapposte riflettevano alla fine del sec. XX tradizioni e scenari sette-ottocenteschi, spesso neppure del tutto compresi e perciò mal divulgati per rendita di posizione e senza il loro spirito originario, peraltro inattuale nella società del tempo.
Il frutto socio-culturale di questa situazione irresolubilmente problematica e contraddittoria è sotto gli occhi di tutti, soprattutto di chi ne ha fatto generazionalmente le spese maggiori, ossia i giovani, che hanno ereditato un corpo politico molto malato, inconsapevole della sua malattia e languente in una struttura sanitario-istituzionale molto arretrata per cultura medica e inidonea a praticare efficaci terapie di risanamento civile.
In un contesto internazionale completamente nuovo rispetto a quello che diede vita alla Repubblica, oggi l’Italia si trova a gestire una eredità molto pesante, soprattutto per i debiti accumulati in decenni di contraddizioni politiche e assopimento ideologico, ossia di irresponsabilità etica verso le future generazioni, che dimostrano di essere a loro volta del tutto impreparate a gestire l’emergenza nazionale, continuando a offrire il loro consenso a movimenti e tendenze logorate dall’inerzia culturale, o a formazioni recenti ma improponibili per la disparità qualitativa delle loro risorse rispetto all’entità dei problemi reali cui dovrebbero far fronte.
Un serio rinnovamento etico-politico in Italia non potrà mai conseguirsi senza un previo rinnovamento culturale, per cui non è realistico attenderlo dai movimenti politici attualmente protagonisti della vita pubblica nazionale. D’altronde, i tempi lunghi di ogni rinascita spirituale di una nazione non consentono, al di là di ogni buona intenzione, quella necessaria urgenza richiesta dai pressanti problemi economici e sociali lasciati in eredità da una politica fallimentare e irresponsabile, per cui una seria e responsabile azione riformatrice deve partire dalla consapevolezza che la società italiana è attualmente sprovvista di una classe dirigente adeguata ai suoi problemi, e che ogni impegno dello Stato e dei suoi organismi istituzionali deve essere profuso nella direzione della sua formazione. A partire dalla scuola e dall’università.
Senza una scuola che sia al contempo formativa e selettiva, cioè giusta e nello stesso tempo efficiente, non potrà rinascere nessuna società, locale o nazionale che sia. E proprio dal settore della cultura e dai suoi organi, pubblici ma anche privati, deve partire il percorso del rinnovamento spirituale nazionale. A questo proposito, nessun movimento riformatore può esimersi dal considerare la priorità che la formazione culturale dei giovani deve avere ai fini stessi della possibilità di un suo proficuo impiego nello sviluppo della vita civile ed economica del paese.
E proprio l’economia costituisce l’altro campo d’intervento dell’azione riformatrice. Non in direzione di una programmazione statalistica e dirigistica delle forze economiche, ma al contrario di un loro migliore impiego razionale, nel rispetto dei valori fondamentali della civile convivenza, e non malgrado essi. In tal senso, ogni ideologia liberistica fondata su un’etica utilitaristica che pretenda di compensare la ricchezza dei pochi - spesso fortunati sol perché più cinici degli onesti sfortunati - con l’indigenza dei molti, non soddisfa la crescita civile dei cittadini, e quindi va bandita come moralmente perversa.
La logica utilitaristica, infatti, denegando ogni valore umano che non sia l’affermazione individuale, esalta la sola capacità di sopravvivenza dell’uomo come animale politico, riducendo la sua esistenza a una lotta concorrenziale entro la specie, all’insegna di un regresso antropologico inammissibile, dopo due mila anni di Cristianesimo e di esperienza spirituale, per la più matura coscienza europea.
Ai fini della ripresa economica dell’Italia, nel quadro del benessere complessivo della comunità internazionale, un governo riformatore dovrebbe puntare a tre obiettivi fondamentali e inderogabili, il primo dei quali è il risanamento della spesa pubblica, il secondo è la riduzione dei gravi fiscali diretti e indiretti, compreso il costo del lavoro, e il terzo è il massiccio investimento di risorse nella ricerca scientifica e nello sviluppo culturale.
Circa il primo obiettivo, che è il risanamento della spesa pubblica, non si potrà attenere alcun significativo risultato mantenendo l’attuale struttura burocratico-amministrativa dello Stato, per cui si deve procedere a un riassetto organico della pubblica amministrazione, che implica il profondo rinnovamento degli assetti costituzionali di cui si diceva sopra.
Tale riassetto dovrà riguardare :
a) la riforma dell’attuale sistema parlamentare in senso del netto rafforzamento dell’organo di governo e la riduzione drastica del numero dei parlamentari e delle competenze di una Camera semplificata ed efficiente;
b) la abolizione delle regioni e la trasformazione delle attuali province in distretti inter-comunali rappresentativi del governo territoriale, costituito dagli stessi sindaci dei Comuni compresi nel territorio provinciale. La drastica riduzione del personale politico professionale e delle sue spese di mantenimento, costituirebbe un enorme vantaggio per la collettività locale e nazionale, con conseguente riduzione della tassazione utile a mantenerlo e rafforzamento del ruolo delle amministrazioni comunali, che sono i riferimento più prossimo dei cittadini;
c) il riassetto della spesa sanitaria nazionale, che impegna la maggior parte del bilancio dello Stato e costituisce la maggior fonte di reddito illegale a spese dei contribuenti. A questo proposito, andrebbe abolita l‘assistenza obbligatoria a favore di una libera scelta dei cittadini, che possono richiederla attraverso un pagamento volontario preventivo sotto forma di detrazione fiscale vitalizia e ottenerla così alla bisogna per sé e familiari a carico senza altri oneri, che invece sarebbero a carico di chi decida di usufruirne a sua discrezione e perciò a sue spese. Questo aumenterebbe la professionalità dei servizi non più massificati e un risparmio dell’erario e dei singoli contribuenti.
In ultima istanza, il risanamento civile dell’Italia passa attraverso lo sviluppo del ruolo della famiglia nella società, quale centro non solo di formazione morale e civile dei cittadini, ma anche di assistenza economica integrata. Infatti la forza morale ed economica della famiglia si ripercuote sul tessuto generale della società in termini di maggior autonomia dei singoli componenti dallo Stato, il quale se ne avvantaggerà a beneficio comune per i minori oneri sociali cui è costretto a provvedere a seguito della frantumazione dei nuclei familiari, la cui polverizzazione andrebbe contrastata attraverso incentivi economici favorevoli alla convivenza. E questo, da un lato, rendendo molto onerose le separazioni dei coniugi e quindi sconsigliabili quelle per futili motivi, e dall’altro liberalizzando la disponibilità ereditaria dei patrimoni familiari nell’ambito del nucleo familiare legalmente fissato, al fine di consentire le concentrazioni dei beni nelle mani degli eredi ritenuti più meritevoli di disporne da parte di chi li ha a sua volta creati o custoditi lungo una vita. Questo favorirebbe la solidarietà familiare anche in senso economico, rendendo meno facile la dispersione della proprietà e meno vantaggiosa quella dei nuclei familiari. Una famiglia più raccolta e solidale è una famiglia più forte e benestante, il cui potenziale sociale riduce in proporzione le onerose opere assistenziali dello Stato.

Ma la responsabilizzazione etica delle comunità familiari produrrebbe anche un accrescimento dei valori solidali, arginando l’imperante dissoluzione morale delle società contemporanee, incapaci di trovare una ragione di convivenza che non sia dettata da motivi di interesse meramente economico, venuti meno i quali, non soltanto i nuclei familiari tendono a sciogliersi, ma gli stessi assetti sociali vengono a perdere le ragioni morali della convivenza di fronte alle crisi che nessun regime politico umano può del tutto scongiurare né una tantum risolvere.

Costantino Marco

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