mercoledì 29 aprile 2015

I POTERI DEL BUON GOVERNO (di Piero Nicola)

  Ė condivisa una radiosa teoria sui poteri dello stato; la si accetta così pacificamente che desta l’indignazione e il disprezzo chi abbia l’ardire di confutarla. Ė la tesi per la quale i poteri legislativo e esecutivo devono stare separati, essendo congegnati in modo che l’uno limiti l’altro, che l’uno possa controllare l’altro e impedirgli di agire in autonomia, cooperando a ciò le restanti garanzie: Capo dello Stato, Corte costituzionale, Magistrature diverse.
  Disgraziatamente, gli istituti garanti, fatti di uomini fallibili e anche corruttibili, abbisognerebbero di altri istituti che ne certifichino l’obiettività di giudizio, o di interpretazione delle norme, il che è lo stesso…
  Perché il parlamento o il presidente della Repubblica dovrebbero essere più onesti e saggi del governo intervenendo sui suoi decreti coi loro provvedimenti? Non provengono tutti da una stessa elezione popolare? Direttamente o indirettamente, che differenza fa? Prima di candidarsi, non sono passati attraverso nessun vaglio superiore, non li ha promossi un esaminatore qualificato e impeccabile. E se un partito li ha candidati, si tratta lo stesso di origini spurie e viziate da parzialità, nel migliore dei casi.
  Oltre alla limitazione dei poteri principali e al loro reciproco condizionamento, v’è il condizionamento dell’opposizione rispetto alla maggioranza, nel parlamento e fuori di esso. Tale istituzione servirebbe anche a far sì che la maggioranza parlamentare e governativa venga sottoposta alla critica davanti all’elettorato, così da bloccare gli abusi denunciandoli, e da palesare gli errori commessi.
  Questa la ben nota teoria, gabellata per elevata e schietta. Invece esistono poche organizzazioni statali più paralitiche e bugiarde di questa. Questo progetto democratico non può sortire buon frutto nella realtà.
  Un governo che non può valersi prontamente di leggi nuove e necessarie, se non ricorrendo a decreti provvisori, limitati, moralmente svalutati da critiche aspre e tendenziose, tipiche dei suoi legittimi avversari/concorrenti; un potere esecutivo costretto ad aspettare troppo a lungo l’esercizio di leggi definitive; un governo avversato dall’opposizione che alza la gonna facendo balenare la rivendicazione di paradisi perduti, avanzando promesse ottimistiche, con corredo di denigrazioni fatte a man salva; un governo soggetto a giudizi iniqui e demolitori da parte di elementi del potere giudiziario partigiani, legati alla parte antagonista; un governo diviso dalle fazioni partitiche  al suo interno, che competono fra loro mentre lo reggono, appartenenti anche al medesimo partito maggioritario; un governo che, obbligato a vedersela con il popolo elettore, deve assecondarlo e anche imbonirlo oltre misura, cioè molto più che se il sovrano popolare non avesse tutto il potere che ha e non fosse facile preda delle lusinghe opposte; un governo messo alle strette da sindacati e da altre varie associazioni, obbligato a subire le rivendicazioni di municipi, province e regioni; un governo così è meno che un governo dimezzato, è un potere esecutivo che va gobbo e zoppo: incapace di correggere il danno accumulato dalla demagogia e dall’impotenza precedenti, incapace di riparare quanto va riparato, di edificare quanto va edificato.
    La maggioranza parlamentare che lo sostiene, che legifera a suo favore, non è in condizioni migliori. Nella competizione democratica, gli avversari non solo hanno l’opportunità di intralciare o impedire l’approvazione delle leggi, ma riescono a sminuire quelle approvate ostacolandone l’applicazione, togliendo loro la forza morale, talvolta ideale, necessaria alla loro vitalità, alla loro fecondità. Infine, ripetiamolo, i poteri presidenziale e della magistratura non avranno il necessario carattere di equidistanza, specie essendo un diritto e un dovere universale quello di metter fuori la propria libera opinione, e la preferenza politica essendo sancita invariabilmente per ogni cittadino.
   Questo - per così dire - riguardo alla primitiva normalità. Quanto al seguito, c’è la corruzione che non sarebbe ammessa, ci sono le organizzazioni che operano in modo illegale, più o meno occulto e, nelle loro manifestazioni esteriori, sono chiamate eufemisticamente lobby e poteri forti. Esse hanno un peso decisivo, in questo sistema che si presta alle loro manovre. Infatti il sistema è sprovvisto di un organo indipendente, idoneo e deciso a mandarle in sonno, ovvero a estirparle.
  La loro azione è pure reciprocamente contrastante, salvo le loro alleanze e un unanime accordo sostanziale a salvaguardia del comune privilegio, propiziato da una costituzione liberale della cosa pubblica. Sicché nella vicenda delle lotte politiche alquanto superficiali, spesso artificiose e ingannevoli, prevale, in sostanza, il peggio degli interessi, dei mezzi e degli scopi, senza riguardo al tenore della vita civile: privata di ogni elevatezza. La buaggine viziata serve a quegli interessi. I protagonisti sulla scena operano in un ambiente in cui è dato di prendere l’arma proibita della malizia e della forza bruta, in un agone dove, privandosi di esse, non si avrà mai la meglio. Così si spiegano i guai che ne seguono, che appaiono sotto vari aspetti o sembrano inspiegabili. Il migliore dei poteri istituzionali, ammesso che ci sia un migliore, potrà farci ben poco.
    Ma ciò non accade forse, o può accadere e accadde, in ogni stato del mondo, comunque sia, o fosse, costruito? Che, in qualche maniera, debba sempre accadere, va bene. Ci furono monarchie assolute inquinate dalle sette, e re inetti. Ma alcune forme di Stato sono tali da potersi reggere piuttosto correttamente e con sprazzi di vero bene comune, per altre questo è impossibile. Di queste ultime sto argomentando.
  In tempi recenti, in Francia l'ingovernabilità portò, grazie a De Gaulle, alla costituzione di una repubblica presidenziale. Qualcosa si ottenne, ma il gioco demagogico prevalse, fece cadere il Generale. Ora la Francia non se la passa bene col suo regime. Sempre questione di uomini al comando e di condizionamenti dovuti al sistema. Tuttavia sarebbe sbagliato regredire dal presidenzialismo al caos precedente, invertendo la tendenza. Evidentemente occorre una diversa tempra di uomini per progredire, per uniformare le leggi alla vera legge naturale, per rendere inoffensiva un'opposizione lazzarona.
  Credo che l’argomentazione abbia chiarito che il sistema dei poteri statali separati e condizionati è inefficiente, di gran lunga peggiore d’una potestà esecutiva e insieme legislativa assai unita e robusta.
  Il rischio dell’abuso? Certo malgoverno si fa giustizia da solo: abbandonato dal popolo. Il delitto poi è cosa indistruttibile, viene presto a galla: coi suoi corpi del reato si autoaccusa. Il potere colpevole, individuabile non resiste, sarà scalzato e sostituito: essendo stato un governo vero, con un vero responsabile o, forse, con una vera vittima dei suoi nemici sempre attivi. Questi potranno essere sobillatori del malcontento, altrimenti falsi collaboratori, che inducono nell’errore funesto.
  Purtroppo manca un’altra scelta, una soluzione più rassicurante. Ma non è preferibile e onorevole cercare di ottenere il bene, o qualcosa che gli si avvicina, stabilendo la possibilità del potere benefico; non è preferibile rischiare anche il dramma e il sacrificio della guerra perduta da questi contro il male (guerra immancabile, necessaria, a meno di non sottomettersi); non è preferibile questa dura costituzione a una falsa pace, a uno scampo fittizio, a un andazzo vile e malsano che ha menato a una fine obbrobriosa, e tuttavia interminabile?
  Si chiederà: se la struttura dello Stato era sghemba e ricettacolo del malfare, come mai non è crollata? Anzitutto perché non presentò mai un responsabile; poi perché consentì la calunnia e l’allettamento dell’orgoglio individuale, con cui venne eliminata ogni migliore alternativa; infine perché è noto che la gente non fa rivoluzioni e resta succube finché non manchino i mezzi essenziali di sussistenza. Ed essa si pasce di svariate porcherie, tanto da rendersi quasi insensibile all’inedia spirituale che la conduce alla morte dell’anima. Chissà però se questa morte non le tolga anche il vigore per porre rimedio a una crisi che affama, oltre a distruggere il buon cibo dello stomaco mentale, e allora si desti l'istinto di sopravvivenza e finalmente succeda qualcosa d’importante?
  La legge elettorale che determina una maggioranza parlamentare omogenea e stabile, formata da eletti designati dal partito, e la riforma del senato, per la quale esso non sarà elettivo, né potrà far cadere il governo, rendono di attualità il tema che ho trattato. Con tutto questo, nessun dubbio: Renzi è la negazione dell'uomo della Provvidenza, e un suo fallimento non sarebbe da rimpiangere.
  Vorrei ancora osservare come, fuori dei nostri confini, nessuno si scandalizzi delle sue iniziative autoritarie. Donde, si deduce che sia la democraticissima UE, sia gli USA le vogliano proprio. Non sarebbe la prima volta che, dovendo scegliere tra il disprezzo popolare verso la politica, giudicata troppo inefficiente, e un rafforzamento del governante di turno, obbediente alle direttive straniere, i direttori optino per la seconda soluzione. Quanti dittatori e quanti regimi militari sono sorti per tale criterio! Salvo farli cadere dopo qualche tempo.

Piero Nicola



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