lunedì 6 aprile 2015

DAL NEO AL TUMORE (di Piero Nicola)

  La sera sono solito ricrearmi guardando vecchi film sul piccolo schermo. Da qualche tempo approfitto anche di una emittente televisiva, che trasmette pellicole in bianco e nero, soprattutto americane, e anche qualcuna italiana e francese. Sembra che, con l'andar del tempo, il programma vada riscuotendo un buon ascolto, tanto che si sta infarcendo di pubblicità.
  In quelle storie, in quegli ambienti compresi tra l'avvento del cinema parlato e circa i tre quarti degli anni '50, respiro un po' di normalità, una boccata d'aria fresca; scartando alcune vicende meno pulite o infiltrate da pesanti venature ideologiche liberal-democratiche. Anche i kolossal americani sul Vecchio Testamento e sugli inizi del cristianesimo, mostrano un falso e sgradito  adattamento al cattolicesimo come al protestantesimo. 
  Certamente il mio ristoro si deve meno al ritrovare il tempo della verde età che al positivo contrasto d'epoche. Tuttavia non dimentico i giudizi puntuali di Pio XII sui troppi spettacoli che pervertivano la morale, e i bollettini parrocchiali che apposero, sulla censura esistente, una censura al lume del Magistero: riguardo ai film di cui si interdisse la visione ai fedeli minori o agli adulti.
  Mi è avvenuto di vedere I peccatori guardano il cielo, titolo italiano di Crime et châtiment (1956) diretto dal regista francese Georges Lampin, ispirato da Delitto e castigo di Dostoevskij. Un critico attuale ne ritiene buona la recitazione, diligente la composizione, ma "senz'anima", assegnandovi due sole stellette. Come più volte ho osservato, le valutazioni odierne sono generalmente invalide, essendo alterate dai pregiudizi d'una mentalità postmoderna in sostanza incredula e progressista.
  Posso convenire sulla recitazione accurata e sulla diligenza. Quanto al difetto di significato autentico e profondo, direi che i personaggi eminenti, il giovane povero intellettuale che commette l'assassinio e il maturo borghese affetto da un edonismo di satiro, aspirante al possesso di fanciulle, il dramma del primo, velleitario immoralista, è reso piuttosto bene, mentre la triste parabola del secondo risente di uno svolgimento psicologico alquanto meccanico.
  In una Parigi desolata da varie miserie: quella indigente, quella dello strozzinaggio, quella commerciale del bistrot, quella della ricca bottega d'antiquariato, quella del superomismo dello studente fallito, si somma, proveniente dalla provincia, la viltà d'una madre disposta ad accasare la figlia Nicole con l'antiquario lussurioso. Anche la ragazza, sorella del ribelle universitario, ripiegherebbe sul matrimonio di interesse, apprezzando la tenuta di carattere dell'uomo, il quale resiste con una certa signorile padronanza agli attacchi indignati e oltraggiosi del fratello, René.
  Unico personaggio degno, sebbene poco approfondito, è Jean, l'amico del fratello. Tra Jean e Nicole nasce una simpatia, che prelude all'amore.
  René medita l'uccisione della vecchia usuraia. Ella tiene in casa propria un banco di pegni. Egli vi si reca a consegnarle un orologio ereditato dal padre, senza trovare il coraggio di attuare il  crimine. Nel bistrot conosce un disgraziato schiavo dell'alcolismo, che va mendicando un bicchiere di vino. Preso da compassione, accompagna l'uomo barcollante sino al tugurio dove lo aspetta una moglie tisica e due loro bambini. La famiglia vive del sostentamento procurato da Lili, la figlia maggiore, prostituta su una banchina della Senna. Toccato dalla scena patetica, René, non visto, lascia il denaro del pegno sopra un canterano. Quando si accomiata, il marito ubriaco viene a raccomandargli di badare alle scale fatiscenti, ma egli stesso, appoggiandosi alla ringhiera, precipita di sotto sfracellandosi.
  Le emozioni mettono a dura prova la fibra del giovane squattrinato, che compie l'insano proposito in modo malaccorto. Accoltellata la vecchia, s'impossessa di gioie e del proprio orologio. Si sbarazza dei preziosi nascondendoli in una pietraia di periferia. Va alla vetrina dall'odiato antiquario, che lo attira dentro in una conversazione filosofica, al termine della quale compera l'orologio.
  Del delitto viene accusato un imbianchino addetto ai lavori di ripristino dell'appartamento sottostante a quello dell'assassinata. René, in fuga dopo il delitto, ha dovuto nascondersi un po' in quell'alloggio e vi ha perduto un monile della refurtiva. Rinvenuto dalla polizia, il gioiello sarebbe un grave indizio a carico dell'operaio.
  Il commissario (Jean Gabin), che conduce le indagini con la solida pacatezza propria dell'impareggiabile attore, ha due sottoposti dalle maniere rudi e sbrigative. L'imbianchino, d'animo fragile, non regge ai torturanti interrogatori e si libera dall'incubo confessando.
  Per René il peso della colpa diventa eccessivo. Egli ha conosciuto Lili, le confessa l'omicidio ed ella gli offre il rifugio della sua stanzetta, dominata da un crocifisso. Ma l'ateo non accetta un pentimento religioso. Il commissario, che aspetta un passo falso di colui che continua a sospettare, ha notato il ritratto di Napoleone nella sua camera sottoposta a perquisizione. Il malconcio orgoglioso gli espone la teoria d'una differente legge morale riservata agli uomini superiori, giustificando la sua predilezione per l'Imperatore.
  Nel frattempo, l'antiquario deve prendere atto del rifiuto di Nicole, legatasi a Jean. Non per questo desiste. Possedendo l'orologio, la prova della colpevolezza di René, cerca di ricattare la ragazza. In un confronto drammatico, in cui il respinto manifesta l'invincibile disgusto di sé, della sua esistenza abietta, provoca Nicole a sparargli per difendersi dalla violenza. Il colpo lo ferisce appena di striscio ed ella fugge.
  L'antiquario ha davanti soltanto la morte; va a darsela proprio in fondo alla banchina dove Lili esercita il suo turpe mestiere.
  Un'insperata fortuna procura a René una somma considerevole. Gli permetterebbe di andare all'estero per rifarsi una vita. Egli sembra essersi riavuto. Quantunque verso la bella Lili non manifesti un grande amore, la solitudine lo spaventa, vorrebbe che ella lo seguisse, che ricominciassero insieme seppellendo il passato. La pia ragazza dolcemente si schermisce, lo invita a ubbidire al gendarme della coscienza, ottiene il ravvedimento. Egli si lascerà arrestare nella chiesa in cui si sono recati al funerale della vecchia strozzina.
  Una storia inattuale, distante anni luce dal presente, una storia che reca una pecca. Non si può dipingere una prostituta, sia pure diciottenne, come esempio di bontà e di pietà. Ciò non procede senza cattive conseguenze. Il Signore proibisce di fare il male, di continuo, per ricavarne un bene.
  E allora risorgono le sante prediche dei Pontefici, che stigmatizzarono ogni immoralità negli spettacoli.

Piero Nicola

  

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