martedì 10 marzo 2015

LA PARZIALITÁ (di Piero Nicola)

Mi sono imbattuto in un film dell’immediato dopoguerra, confezionato con una certa cura, diretto assai bene con spesa abbondante. Vi si rappresentano le storie d’un paesino siciliano sotto il federale e il podestà. Chissà se il regista dovesse riabilitarsi politicamente, o se desse libero corso ai suoi genuini sentimenti, alle sue idee, alle sue speranze? Forse giocarono entrambi i fattori ed altri ancora. Sta di fatto che la pellicola del 1948 convenne al ripristino democratico. D'altronde, andando in senso opposto sarebbe incorsa nel rigore della nuova censura.
  L’autore (per brevità accorpiamo i vari artefici cinematografari) mette avanti un eroe che dovrebbe somigliargli, sebbene in abito più dimesso del suo. È un impiegato comunale, un padre di famiglia sui cinquant’anni, che attraversa gli Anni difficili, quelli fascisti. Fin dalla voce fuori campo che introduce l’opera, il protagonista figura essere un uomo semplice, di buon senso, capace di critica oggettiva sulle cose della vita, sebbene, messo alla prova, non si dimostri pari ai suoi giudizi.
  Su tale presentazione ci sarebbe da eccepire, perché l’uomo che, spassionato, detiene il prototipo del buon governo, non può essere quest’uomo critico. Reputandosi sapiente e savio, questi sarebbe soltanto un presuntuoso, un orgoglioso; a ogni buon conto, uno sprovvisto di saggezza.
  Egli fu adulto prima della marcia su Roma, prima di dover prendere la tessera del partito unico. Ma qual è il confronto che ha fatto tra la vita precedente e l'attuale e la migliore possibile? Che peso avranno sul suo intimo antifascismo i suoi sentimenti perfezionistici? Quali, le sue belle speranze per quando, ipoteticamente, scompaiano Mussolini e il suo regime?
  Tutt’al più la sua posizione vale relativamente alla sua natura mite e tuttavia indipendente, alla sua supposta buona fede, in definitiva riguardo ai suoi gusti, ma non può essere sede della sapienza, né di un supremo tribunale. Per altre nature, per altri gusti, per altre coscienze nette, per altre situazioni, che pure si diedero, tutto cambia.
  Riassumo la vicenda di questa famiglia piccolo borghese in una cittadina siciliana, nelle relazioni con i suoi abitanti, coi suoi maggiorenti in carica e con quelli da tempo esautorati per i loro trascorsi politici; vicenda che si snoda lungo il terzo decennio del Novecento ed oltre, fino allo sbarco degli Alleati sul suolo di Trinacria.
  Poi farò una sintesi parallela, nella stessa storia nazionale, dei medesimi casi occorsi a una famiglia analoga e possibile, verosimile, ma fatta di soggetti differenti, di personalità d’altro stampo, mantenendo invariati soltanto alcuni personaggi minori.
  Dunque, il protagonista è un travet padre di un maschio, ufficiale dell’esercito, e di una ragazza piuttosto frivola; nonché marito d’una casalinga pratica e conformista. Sotto le pressioni della moglie e del podestà, l’intimamente antifascista si adatta a portare il distintivo del partito e a indossare la divisa delle parate obbligatorie per i servitori dello stato.
  La bottega del farmacista costituisce il ritrovo degli oppositori di Mussolini. Sono benestanti colti, membri della vecchia politica, solidali e nello stesso tempo pronti a rinfacciarsi le colpe della loro trascorsa disfatta, rimbeccandosi come quando militavano in partiti rivali. Sono critici ironici e salaci, non lungimiranti, sostanzialmente inutili.
  Il difetto del bravo capofamiglia che li frequenta, il cui figlio tenente amoreggia con la nipote del fiero farmacista, sarebbe quello di aver ceduto alla forza. Il difetto del circolo formato in sordina è di un’inerzia codarda. Il difetto della moglie è d’essere di fede mussoliniana, tra sfegatata e interessata; quello di sua figlia, d’intendersela con il rampollo del podestà, giovane fatuo e insincero, nonché imboscato. Il podestà, barone e industriale, si serve dell’oratoria roboante e, nell’ora critica, si dimostrerà un voltagabbana. Il federale, nel momento tragico, non si comporterà meglio di lui, lasciandosi sfuggire il sacrificio virile.
  Il tenente, pervenuto a fidanzarsi con la giovane che sta a bottega con lo zio, preso nell’ingranaggio delle campagne belliche susseguitesi a cominciare dall’impresa etiopica, è privo del debito fervore militare, detesta la guerra, ignora l’eroismo e sta al suo posto per onor di firma. È andato man mano disprezzando il governo; finché, al suo ritorno dalla Russia per una licenza, si mostra indulgente verso una spia sorpresa a informare il nemico con una radio trasmittente. Due tedeschi delle truppe ritiratesi dalla Tunisia, lo uccidono sparandogli alle spalle, nella sua terra parzialmente conquistata dalle forze anglo-americane. Egli non ha nascosto ai teutonici la propria indifferenza, dopo aver dato la sua comprensione a una torma di fantaccini sbandati, la cui sola cura era di mettersi al sicuro. I due invisi militari, tuttora alleati, che non gliel’hanno perdonata, hanno uno più dell’altro un volto bieco e crudele. Gli Alleati novelli, accolti festosamente, appaiono ragazzoni piuttosto invadenti, bonari e un po’ leggeri, a caccia di souvenir e di piacevolezze.
  La popolazione martoriata dalle continue scariche di bombe e dalle ristrettezze, è lesta a rinnegare le sue precedenti acclamazioni, plaudendo ai liberatori. Il commissario americano siede accanto all’ex podestà girella matricolato, sornione e benevolo come se non tenesse all’epurazione del nostro eroe, chiamato a rendere conto dei suoi misfatti involontari. Che misfatti? Le mene di sua moglie, intese a incassare una prebenda necessaria all’economia domestica, lo fecero passare nientemeno che per squadrista, e ora deve scontare da innocente. Con ciò la parola fine si stampa sullo schermo.
  Adesso espongo l'ammissibile rovescio della medaglia, il rovescio di un mondo antitetico. E varrebbe poco sapere se il diritto della moneta che abbiamo osservato fosse più grande del suo verso. La quantità vale di più della qualità soltanto per un’ignobile stima della forza bruta. La maggioranza può avere maggior peso, ma non avrà maggior pregio, né ragione, soltanto perché maggioranza. Chi è abile a contraddire, ci si provi.
  Qui, l’impiegato avrà pressappoco l’attaccamento al Duce che aveva la moglie precedente, ma disinteressato. Un po’ di passione fascista? Sicuro. Chi resta immune da passioni? Non ne è immune lo schietto buon senso del semplice, che mette a confronto col presente il dopoguerra tormentato della sua gioventù, le opere attuali con quelle giolittiane. Il suo comprendonio non dura fatica a capacitarsi che gli uomini, noi tutti, siamo quelli dell’Avemaria appresa dall’infanzia: invariabilmente peccatori e manchevoli. Pertanto non si scandalizza e non si deluderà per gli sbagli del Duce e della sua cerchia. Il proverbio dice che ogni rosa ha le sue spine. Per lui, il totalitarismo risulta inesistente, dato il consenso che riscuote, e gli oppositori devono essere mandati al confino, onde prevenire il tarlo che già da fuori, dall'estero, si fa di tutto per insinuare nel tronco nazionale.
  Vari gerarchi sembrano privi dello spirito che ci vorrebbe, e per questo sono retorici, talvolta ingiusti. Ciò nondimeno occorre l’intransigenza verso il libero pensiero ostile. Egli frequenta la parrocchia e i Sacramenti. La Chiesa non agì con uguale severità nei riguardi degli eretici? L’uomo è facile preda dell’eresia in quanto aspira all’impossibile; è instabile come la plebe raccolta al cospetto dei congiurati che hanno pugnalato il despota Giulio. Subito dopo averli ascoltati e approvati, la folla piange e si solleva all’orazione di Antonio a pro di Cesare, l’ambizioso.
  Sicché questo dipendente del municipio nutre poco entusiasmo per le adunate, ma vi partecipa cercando di immettervi la sua fiducia. E avrebbe qualcosa da obiettare su alcune fascistiche rozzezze, che tuttavia servono a mantenere l’ordinata grandezza.
  Il primogenito poi, indossa la divisa da vero militare, che si astiene dai giudizi, ubbidisce, ama il corpo cui appartiene e le sue decorazioni, ambisce al valore puro, decorato o ignoto. Il seguito di richiami alle armi che gli giungono e che infrangono la sua carriera civile, interrompono il fidanzamento, l'offre alla Patria. La sua promessa sposa, sebbene nipote di un liberale, drammaticamente si distacca dallo zio.
  La consorte dell’impiegato, al contrario di lui, teme le affermazioni guerriere e l’inimicizia dell'Italia col vasto mondo, avverte la grande minaccia, vorrebbe la pace, stando in ansia per i suoi cari.
  La secondogenita resti com’era, e così il suo amoroso. Tuttavia evitiamo di farne degli sventatelli, vili e persino dissoluti come sono tratteggiati nel film; dove intendono colmare le loro lacune sentimentali con un disincanto libertino, sostenuto da aforismi rubati a Nietzsche. 
  Quanto al gruppetto dei vecchi politicanti, cui applicare l’etichetta di sovversivo sarebbe troppo onore, lasciamolo ugualmente come lo abbiamo trovato; e così il farmacista, che si fece spedire al confino per aver cantato la Marsigliese nella folla inneggiante alla guerra, dichiarata alla Francia da un Mussolini maramaldo.
  Per stampargli addosso quel marchio si sarebbe dovuto caricare i due piatti della bilancia di tutte le ragioni, in pro e in contro. Qualora egli avesse soppesato male, quando il piatto del sui torto fosse sceso giù, si poteva restare nel cerchio delle errate valutazioni, forse gravate d'una colpevole intempestività. E quante colpe avevano nel campo avverso, quant’erano ipocrite e inique le sanzioni imposte a causa delle nostre conquiste coloniali da un’Inghilterra e da una Francia colonialiste! Quante uccisioni di civili, successivamente, con i bombardamenti, allo spregevole scopo di demolire il morale degli italiani!
  In bocca del nostro protagonista salgono le ragioni, in parte sentite alla radio e lette sul giornale. Soprattutto, egli è conscio del suo figliolo che si batte al fronte; per cui abbandona ogni rapporto amichevole con i disfattisti, i quali passano il tempo fumando e sorseggiando la china nella farmacia. Egli li allontana come aveva allontanato gli anti-interventisti al tempo della Prima Guerra Mondiale. In ultimo, il senso della lealtà lo induce ad accogliere la sua epurazione come una croce onorevole, in omaggio al suo ragazzo caduto nella steppa e alla fede intatta riportata nelle sue lettere.
  Dio provvederà alla famiglia precipitata nella miseria, anche alla moglie che, in gramaglie, scuote il capo troppo sconsolata. 
  Mancano ancora all’appello il federare e il podestà. A questo punto, il lettore li immagini come preferisce. Non è certo tenuto ad attenersi agli stereotipi del cinema. Ce ne furono martiri senza menda alcuna.
  Dimentichiamo i tedeschi? No, anche loro possono essere colpevoli, sono sovente troppo duri com’è nella loro indole di condursi. Nonostante ciò, nel ‘44 ne vidi alloggiati in casa mia con delle facce oneste e per nulla crudeli. Mio padre era in aspettativa per motivi di salute, pur avendo una bella cera, ma lo lasciarono in pace.
  Tra i nostri reparti in ritirata furono più numerosi i disfatti o gli armati e combattivi? L'esistenza di questi ultimi fu certa. Siccome non abbiamo a che fare con una generale documentazione, che cosa interessa di più: la rotta e la viltà o il suo contrario? Dipende dal contesto. Tutto sta nel punto di vista, nell'interpretazione, nel giudizio. Tuttavia la scelta dei soggetti, dei protagonisti, significa e importa.
  Stavo scordando i preti, che il copione fa parlare come gente adeguatasi al regime. Comunque fosse, molti di loro che scelsero il fascio littorio, ritennero propizia l’unanimità e la moralità da esso arrecate, lo considerarono una protezione contro l’ateismo incombente. A chi ne dubitasse gioverebbe vedere un film di Rossellini: L’uomo dalla croce. Concedo che esso non dimostri la mente del clero, e che vi si possono scorgere motivi propagandistici, ma quale utilità sarebbe venuta a Mussolini dal personaggio centrale, un cappellano che si adopera ardentemente e si immola per convertire degli atei sovietici, quando il sostegno governativo non fosse stato una preoccupazione della Chiesa? Infatti quel lavoro cinematografico del 1943 recava un crisma di ufficialità. Sullo schermo appariva la dedica finale "alla memoria dei cappellani caduti nella crociata contro i 'senza Dio' in difesa della Patria e per recare la luce della verità e della giustizia anche nella terra del barbarico nemico".

  Della stessa famiglia di celluloide fu Addio Kira-Noi vivi (1942), in cui il comunista militante deferito alla micidiale corte di giustizia del partito, ritorce l’accusa contro la rivoluzione sovietica, che, per una ragione di stato, si arroga il diritto di disporre della vita degli incolpevoli, ai quali è imposto l’incondizionato uniformarsi a un sistema iniquo.

Piero Nicola

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