domenica 1 febbraio 2015

Un passaporto adelphiano per Evola

Presentata dai membri di una venerante scolastica, la domanda di ammissione dell'opera evoliana al sovrano santuario/editoriale dei postmoderni, giace inevasa davanti all'esigente e vigile porta antifascista della casa editrice Adelphi.
 Di qui il tentativo dei discepoli di allontanare da Evola la memoria dell'imbarazzante passato fascista, razzista e neofascista. Un fatica sopportata con inflessibile e speciale rigore dal professore Giovanni Sessa, avventizio discepolo e severo spalmatore di bianchetto sulla memoria dei compromessi sottoscritti dal maestro  a scopo di lucro nero.
 L'intento dell'ineffabile Sessa è proporre un sognato mondo di Tradizione,  "un'altra modernità", ovvero "il riferimento ad un uomo non dimidiato e ad un mondo Altro e Alto, rispetto al presente, muove in noi dal pensiero di Tradizione".
 Il progetto contempla un bagno nel fiume Lete, condizione richiesta per entrare, epurati e vestiti di candore a-fascista, nel goloso giro della sinistra corretta e illuminata dai maghi adelphiani.
 Tanto è che nel saggio A proposito di filosofia evoliana, pubblicato nel volume Itinerari di tradizione, edito in questi giorni da Solfanelli in Chieti, dei numerosi evoliani un tempo militanti nella defunta destra, da Sessa è citato solamente il nome ripulito e correttamente iniziatico di Gianfranco de Turris.
 Silenziata e cassata la memoria degli studiosi evoliani militanti a destra (Roberto Melchionda, Renato Del Ponte, Pino Rauti, Clemente Graziani, ad esempio) che pur hanno pubblicato scritti non superficiali (e apprezzati dal sulfureo maestro).
 Censurati anche i nomi dei mistici fascisti sgraditi a Evola e ai suoi attuali incensatori, i cattolici Niccolò Giani e Guido Pallotta, e citato Berto Ricci sociale e anticlericale, un incensato nome che (forse) può passare, con uno scappellotto, nella colonna degli assolti da Roberto Calasso.
 L'epurazione dei nomi imbarazzanti è accompagnata da Sessa da una interpretazione finalizzata a mostrare l'attualità e la potabilità di Evola ovvero la sua perfetta estraneità alla detestata tradizione cattolica e catto-fascista, di cui è curiosamente/inspiegabilmente accusato il vescovo gnostico René Guénon. 
 L'assegnazione di un passaporto adelphiano al barone nero è, secondo Sessa, giustificata dalla sua appartenenza alla modernità ultima ed estrema: "Evola porta a radicale compimento ciò che era implicito nei presupposti dell'idealismo: il suo intrinseco nichilismo".
 Se non che il tentativo evoliano di superare l'idealismo "resta all'interno della dimensione volontaristica, soggettivistica, la cui matrice cristiana è indubitabile. Le qualità dell'individuo assoluto assoluto sono quelle, sia pure in un orizzonte immanentistico, che la tradizione ebraico-cristiana attribuisce a Dio creatore".
 Quale è dunque la vera identità di Evola? Per uscire dal vicolo cieco, Sessa cita la sentenza di Piero Di Vona, secondo cui si può concludere che in "Cavalcare la tigre il distacco speculativo di Evola dal cristianesimo sembra aver raggiunto il suo termine e il suo compimento"... Solo in un lungo percorso speculativo, Evola riuscirà a lasciarsi alle spalle, crediamo in modo definitivo".
 Secondo Sessa il distacco speculativo dal Cristianesimo implica il riconoscimento del qui ed ora come assoluti. E al proposito cita un passo di Cavalcare la tigre, l'opera in cui è visibile il raggiungimento del traguardo che Evola si era prefisso negli anni venti: "Il reale è perciò vissuto in uno stato in cui non c'è soggetto dell'esperienza né oggetto che venga sperimentato, che sta nel senso di assoluta presenza".
 A questo punto Sessa propone una lettura dionisiaca di Cavalcare la tigre. Tale scelta giustifica la cancellazione definitiva di Evola dall'elenco di suggeritori del volontarismo e dell'eroismo a destra: "E non è l'indistinzione logico-ontologica qui presente, l'esito ultimo della visione del mondo dionisiaca: Non è questa accettazione piena e gioiosa del dato fenomenologico, la perfetta riproduzione della visione greca?"
 La visione greca di cui parla Sessa coincide perfettamente con il cieco furore delle baccanti, in processione con le teste delle loro vittime, che tanto esaltava il giovane Nietzsche [1]Vero è che Sessa cita in conclusione una sentenza che precipita Evola nella melma dionisiaca, tante volte da lui inutilmente deplorata: "In quanto fatti, sono senza un senso, una finalità, una intenzione, proprio in quanto tali essi hanno un senso assoluto. Così appare la realtà nella pura qualità dell'esser-cose-così-come-sono".
 Ora il delirio dionisiaco è il tratto caratteristico del pensiero evoliano. Lo ha sostenuto, in base a una documentazione inoppugnabile, Roberto Dal Bosco, l'autore del magnifico saggio - classica stroncatura - in cui si dimostra che "Evola va riconosciuto come uno dei padri della cultura della morte". 
 La missione di Evola, peraltro, era "l'intossicazione delle parti attive, creative, progettive della destra italiana".
 Alterata e infine strozzata la cultura della destra, sepolto sotto la frana il decerebrato partito di Fini, agli evoliani non rimane altro che  bussare alla porta degli iniziati supremi ed esclusivi, degni eredi e continuatori dei "maestri" tenebrosi (pensiamo al massone Arturo Reghini, al grottesco René Guénon e al sulfureo Aleister Crowley) dai quali Evola è stato istruito e guidato sulla via degli autodistruttori.

Piero Vassallo




[1] Cfr.: Joachim Köhler, “Nietzsche Il segreto di Zarathustra”, Rusconi, Milano 1994. Nelle pagine di quest’opera d’ampio respiro, è ricostruito il cammino compiuto da Nietzsche, nel tentativo di soffocare il lume intellettuale, affondandolo negli atti dell’istinto sfrenato.  Per definire questa guerra, Nietzsche ricorre alla dialettica tra le due anime della Grecia arcaica: l'anima tragica, dionisiaca, che obbedisce agli istinti, e l’anima fittizia della religione, apollinea, che è disprezzata alla stregua di una décadence dall’istinto originario.

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