venerdì 13 febbraio 2015

COME SI DENIGRA IL PAESE NOSTRO CHE FU (di Piero Nicola)

Il diavolo è molto astuto, e Dio nella sua infinita sapienza gli permette di servirsi dei più abili. Sta scritto. La Sacra Scrittura ci rivela che gli agenti di Satana, in quanto ad astuzia, superano i galantuomini, sono oltremodo maliziosi o primeggiano in intelligenza, sebbene la loro capacità intellettiva non eviti loro d’essere i succubi del maligno, diabolici e condannati anche a loro insaputa.
  Questa premessa vale per credenti e non credenti. Le odierne vicende, nella loro oggettività, stanno a dimostrarlo a quanti non siano offuscati dalle loro passioni ideali o viscerali. Infatti i servi della perfidia riescono a far sembrare traboccante di vizio, ributtante e ipocrita un tempo andato che, paragonato all’attuale - di cui essi sono sovente gli amanti e, non di rado, i lenoni - è quasi un regno sotto il segno dell'onestà, cosparso di fiori virginei. Per il letterati, i giornalisti, i registi innamorati della filosofia accettata, privati della quale sprofonderebbero da una valle oscura in un abisso, il lavoro si presenta agevole. Trovare il sudicio, i vermetti col microscopio è una bazzecola. L’acqua più cristallina, esaminata con l’apparecchio a lenti scrutatrici, ne esce infestata da forme di vita animale orripilanti.
  Questi accostamenti metaforici sono eccessivi. Ne convengo. Valgono però a chiarire come un mondo alloggiato al piano di sopra, quantunque offrisse esempi di corruzione notevole e nemmeno sporadica, magari celata o repressa, non meriti d’essere infangato da uno che abita al pianterreno ed è in procinto di trasferirsi nel sotterraneo.
  I nostri scrittorelli, opinionisti, professori di ogni sapere, membri della sacrosanta comunità accademica e scientifica, campano su questa ignominiosa azione di infangamento, da cui sono innalzati. Ma, a ben vedere, essi fanno schifo non proprio a motivo del loro ingrandimento di mali (che furono pressappoco sempre endemici) d'un'epoca tutto sommato prossima alla nostra. Oh no! Non è simile raggiro a fare ribrezzo! Fa ribrezzo che se ne servano per operare un tremenda sostituzione del bianco col nero.
  Eccola: ci sono pubblici comportamenti oggigiorno riconosciuti leciti - che invece sarebbe malsano dire soltanto tollerabili - comportamenti da non giudicare e tanto meno da reprimere, essendo di pertinenza della coscienza individuale, i quali furono colpiti da condanne presentate come inique, da persecuzioni, o vennero coperti dai Tartufi, e allora soggetti a un apparato di ingiustizia, di ignoranza, di repressione, di fariseismo. Se ne deduce un giudizio ultimativo: viziose le norme d’una volta, virtuose, in corrispondenza di esse, quelle odierne.
  Peccato che nessuno s’invogli a trarne un’ovvia e tonda conseguenza: quant’erano scriteriati i nostri vecchi e quanto siamo bravi noi! Brutti e cattivi loro, buoni noi.
  E quali furono le azioni considerate infami dai malpensanti, dai bigotti, dai profittatori seminatori di paura, di odio e di pregiudizio - azioni da ritenersi viceversa naturali, rese attualmente sempre più all’onor del mondo, sebbene qualche retrogrado continui ad ostinarsi nelle sue fobie? Ebbene, è presto detto. Quegli atti, quelle condotte abituali, erano e sono – a onor del vero - perversioni patenti e contagiose, perversioni esistenti in ogni periodo storico, beninteso, ma in quantità variabile secondo i periodi (si sa che i veleni sono tali in rapporto a una loro percentuale nella sostanza eccipiente), trasgressioni punite a dovere o tollerate opportunamente, alcune tenute nascoste per il minor danno, castigate e nascoste a preservazione delle virtù, messe al bando anche per il rispetto del diritto umano di non essere scandalizzati, turbati, tentati, importunati, disgustati da oscenità in parata, imposte ai sensi altrui, così come ci tocca d’averne l’esperienza da mani a sera.
  Né va trascurata la lesione procurata dalle degenerazioni il cui potere scandalizzante è divenuto risibile. Esse penetrano con la loro stortura anche in quelli che ne sarebbero alieni. Il loro piccolo accoglimento, l’accoglimento d’un loro principio apparentemente semplice e assennato - ma allarmante agli occhi d’un giurista imparziale - s’ingrossa col passare degli anni dando ricetto a una mostruosità.
  Trattiamo gli omosessuali come tutti gli altri. Un bel giorno, in virtù dell’uguaglianza, accampano il diritto di sposarsi e d’avere dei figlioli. Riconosciamo alle donne la loro rivendicazione d’essere madri e ad ogni coppia di allevare una prole generata con ovuli e spermatozoi propri o altrui . Un poco alla volta le manipolazioni più inverosimili di gameti, di embrioni e di organi riproduttivi acquistano cittadinanza nel corpo sociale. Pensiamo alle promiscuità nell’esercito, con femmine, maschi e altri soggetti di varia sessualità, gomito a gomito, adibiti alle stesse mansioni. Pensiamo all’infedeltà coniugale assolta in nome dell’amore, alle famiglie allargate per semidei che semidei non sono, ai nuovi cittadini immigrati in conflitto di religione e di costumi con noi e fra di loro, per cui s’introducono le pratiche più incivili, messe in atto di straforo o legalizzate. E via discorrendo di infinite confusioni.
  Fra gli argomenti di pubblico interesse, la televisione più seguita, con le sue rubriche storiche, pone negli anni di metà Novecento un’evoluzione ancora prigioniera di forze retrive, ancora impigliata nello strascico di un precedente regresso; e con brani di filmati, con trasmissioni ad hoc, rese a studiati intervalli, propina lo scempio che fin dal settimo decennio del secolo scorso è stato divulgato sotto forma di rievocazione e di rimembranza. L’intento presunto, e in effetti tendenzioso, di ristabilire l’oggettività inserendo nel discorso storico interviste ai sopravvissuti e spezzoni di documentario, ha riguardato il dopoguerra e l'anteguerra. Ma ancor più subdole sono state le opere di fantasia la cui ambientazione risaliva a ricordi d’infanzia o di gioventù. Esse riandavano nostalgicamente, anziché il buono, quel volgare, effettivo o presunto, che faceva il paio con la diffusa volgarità ormai accetta, figlia dell’allentamento di freni cominciato nel sessantotto. In tal modo ogni nostalgia chiara e ricreante era cacciata nel discredito del tempo passato, che per i delitti sarebbe apparso uguale al presente, se non li avesse coperti un deplorevole perbenismo. Falsificazioni!
  Ormai diventati i vecchi testimoni una piccola e frastornata minoranza, la denigrazione può assumere tutte le forme e proseguire a ruota libera.
  Ora la trivialità, il diuturno parlar grasso, l’atteggiamento rozzo e svergognato, l’esibita ineleganza, il supporre d’essere competenti in tutte le materie, tanto che si improvvisano giudizi e giurie popolari in processi televisivi - per non soffermarsi sull’americanata dell’intervista all’uomo della strada, cui si attribuisce un parere che conta - queste innovazioni già invecchiate, alla fine guadagnano la benevolenza dei benpensanti; e sono motivo di vanto e di contento per coloro che se l’intendono con la liberazione, che bazzicano le cloache scambiando il davanti col didietro, che insomma frequentano la cacca o ammettono tranquillamente che la si frequenti disinibiti e libidinosi. Guardando le miserie del passato, hanno di che rallegrarsi!
  Gli inseriti si compiacciono dei geni poetici che celebrano i commerci caccosi e i saffici espedienti. Per i più fini di loro, a ripulirli basterebbero le strofe e le forbite frasi d’amore. “Dov'è l'indecenza, dove il disonore?” esclama stupito chi sorride in faccia alla prospettiva della vita esaurita a causa di moltitudini maschili e femminili dedite ai vuoti accoppiamenti o ad accoppiarsi col loro stesso sesso. Una cosa vale l’altra, anzi, quanto è intrigante trasgredire!
  La sporcizia infeconda compiace gli istinti plebei. Siccome chi più chi meno, chi per un verso chi per un altro, i più sono soggetti all’attrattiva del proibito fetente, se lo permettano, ora che è stato rimosso quel detestabile senso del rimorso, insieme al complesso del peccatore! Sicché il volgo infoltito, privato di più alte pasture, si gode le sue franchigie. Se non ne gode sino all’imo, l’importante è avere la facoltà di usufruirne, e tanto basta.
  Questo sollievo plebeo, immodesto e non cristiano, dell'ampia libertà, spesso non conduce sin dove la sporcizia compie il suo lavoro pungente e diventa impossibile stare allegri. Ma allorché il lerciume viene a galla, facendo sentire ai conformisti la zavorra di sentina depositata in essi, non possono farci nulla. Si sono tagliati i ponti alle spalle, e non resta loro che abbozzare.
  Tuttavia non è poi così semplice. Gli autori, i produttori di spettacoli, di intrattenimenti, di notizie anche culturali, per schermi o pagine stampate, e così via, danno a vedere di conservare il ritegno, respingono sdegnosamente le accuse di impudicizia, di sfruttamento della morbosità, di approfittare della mala soggezione che la gente ha nei confronti della vita vissuta quale essi la rappresentano (poiché nessuno vuole restarne ai margini). Non sia mai detto che adoprino la svergognatezza (legata alle depravazioni negate)! Semmai essa viene per conseguenza della libertà, che la muta e la riscatta; castigarla significherebbe castigare la fausta emancipazione, significherebbe eludere un realismo che deve essere riprodotto e compreso. E bisogna riconoscere lo stile col quale annunciatori, presentatori, intervistatori, conduttori espongono le cose, l’accortezza con cui danno spazio all’urbanità, mentre, a certe ore e in certi programmi, gli adulti sono scortati saputamente alle conoscenze più spinte, ai lidi scabrosi e dissacranti. Sepolcri imbiancati, nevvero? Giornalisti ed esperti del vario scibile puzzano di prosopopea, di connivenza con le puzzolenti convenzioni, olezzano della convenzionale liberalità e magnanimità, delle guaste bellezze, da essi usurpate e sconciate. Pertanto, violatori delle pure bellezze di cui si appropriano, il loro delitto è orribile, essendo persuasivo e seducente al massimo grado.
  E smettano gli onesti nonostante tutto, di grattarsi la pera con aria sconsolata. Si rendano conto di come siamo finiti in uno sterminato letamaio, rivestito di illusorie infiorate. Che ce ne importa se i personaggi rispettati e i maggiorenti lo annusano voluttuosamente sotto la loro vernice graziosa, se i simpaticoni lo aspirano senza ritegno, mostrando di preferirlo ai prati fragranti, trapunti di schietti fiorellini? Il paese delle praterie e dei cavalieri è disponibile, specie nelle pagine della prosa e della poesia che lo interpretano veracemente. Non si perde nulla, non ci si rimette a tenersi fuori dalle frequentazioni ammorbanti, quand’anche occorra tirare la cinghia per aver preso dimora in un esilio da signori, che assomiglia al paese nostro che fu.


Piero Nicola

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