mercoledì 21 gennaio 2015

Mia nonna era una coniglia

 Secondo la teologia pre-malthusiana, Dio aveva detto ai progenitori "andate e moltiplicatevi". Mia nonna (1870-1928) prese sul serio quel comando, che oggi, grazie alla dottrina del regnante pontefice, sappiamo esser stato affrettato, conigliesco e  poco rispettoso dei princìpi ecologici, e generò otto figli. Diventò madre dimenticando, otto volte, di riflettere sulla modestia del reddito familiare.
 Forse avrebbe generato altri figli, se non che il suo ancora giovane marito, morì durante un viaggio di lavoro.
 Otto giovanissimi figli di madre vedova, il più grande aveva quindici anni, nella assoluta mancanza di ammortizzatori sociali, agli occhi del nostro prudentissimo tempo costituirebbero una situazione angosciante e quasi insolubile.
 Otto figli, nell'imprudente passato preconciliare, tuttavia non erano un vergognoso problema: le famiglie numerose, infatti, erano una regola e i fratelli della vedova soccorsero generosamente l'infelice famiglia.
 Gli otto orfani  furono mantenuti agli studi, crebbero senza stenti e raggiunta la maturità ebbero una vita normale e in alcuni casi benestante.
 Spiace dirlo, la deprecata fertilità dei conigli preconciliari produceva una società capace di donare i vantaggi sociali che oggi sono elargiti a goccia e a caro prezzo dallo stato democratico.
 Nel mio sangue scorre un'antica e quasi eretica imprudenza genitoriale, un antico vizio genetico rafforzato da una nascita avvenuta contro il consiglio del medico, che informò mia madre del  pericolo mortale strettamente associato ad una eventuale temeraria gravidanza.  
 Debbo vergognarmi delle mie conigliesche ascendenze? Devo condannare le scelte dei miei ascendenti? Devo vergognarmi del coraggio di mia madre?
 Risponde la deprimente osservazione di Genova, un tempo orgoglio del cardinale Giuseppe Siri oggi moderna, funerea città, refrattaria alla cultura dei conigli: in pochi decenni la sua popolazione è discesa vertiginosamente, da novecentomila a cinquecento novantamila abitanti.
 Una città prospera si è raggrinzita e appiattita su una vecchiaia rassegnata e desolata. La città da conigliera benestante è diventata un sarcofago circondato da giovani rassegnati alla disoccupazione. Una comunità vivace è discesa nelle afflizioni della malinconia laica e democratica, in uscita (qualcuno dice jettatoria) dalle canzoni ispirate dall'ideologia al potere.

 Non ho niente da dire contro il pontefice regnante sulla pia infecondità. Ma la tristezza di Genova, capitale mondiale, della denatalità e della mestizia, è tentata di gridare ad alta voce contro l'aeroplano su cui piamente si discorre di eccessi demografici, da frenare con pillole, preservativi e ingiudicabili atti contro natura.

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