sabato 13 dicembre 2014

TORNARE IN SPAGNA (di Piero Nicola)

Fin da bambino provai il fascino della Spagna. Prediligevo i film di cappa e spada nelle calde, confacenti tonalità della Penisola Iberica, e mi dispiacevo che sui galeoni i pirati avessero la meglio.
  Mi capitò di leggere un diario di viaggio scritto da De Amicis, che raggiungeva in treno le città: da Saragozza a Madrid a Siviglia, dove entrava nelle tradizioni e nelle intimità. Un libro scovato in fondo alla libreria, assai mediocre ma avvincente per il fanciullo che supplisce con l’animo suo, che ricrea un’opera con artistica fantasia, come lo spasimante novellino abbellisce le pecche di cui il suo adorato bene è maculato.
  Da ragazzo, mi rallegrai alla vista di un Cristoforo Colombo e di un Cid Campeador gloriosi, nelle pellicole a colori. Mi pungeva la spina dei contrasti da loro avuti con la Corona, e rimandavo la ricerca dei riscontri storici chissà dove.
  A scuola, mi dispiacque la severità manzoniana avverso la boria degli intrusi dominatori.
  La mia diffidenza nei riguardi dei padroni della storia, cioè della politica e quindi dei libri di testo, mi spinse a parteggiare per quei tali considerati sopraffattori e scostanti vanagloriosi, che in patria si erano rovinati per aver tartassato la laboriosa e intelligente borghesia. Simpatizzavo per i capitani dei cavalieri e dei fanti con in testa il morione. Al pari della loro terra, avevano la doratura della gloria, che scadeva nelle algide, metalliche atmosfere dei francesi e dei nordici.
  Adulto, sarei giunto alla conclusione che nessun popolo era stato più denigrato di quello spagnolo, col pretesto della sua tracotanza, di aver servito all’Inquisizione, di aver bandito gli ebrei, di aver depredato e tiranneggiato le Americhe e le Filippine. Mi dimostrassero che c’era stata una nazione impeccabile! Mi portassero un esempio di maggior fedeltà alla Chiesa, di resistenza alla Rivoluzione Francese e all’invasore, di rispetto per il pregio eccellente della cavalleria e di subordinazione destinata al mercantilismo e al liberalismo, anche nei rivolgimenti civili poi toccati allo Stato!
  Via via, con crescere dell’età, conobbi piuttosto bene e, geograficamente, quasi per intero l’España dell’onore e dei fasti. Non aveva niente da spartire con la grandeur francese, con la superbia inglese, con la sorda precisione dei tedeschi e la loro soggiacente volontà di potenza. Lo spagnolo è per natura grandioso, aliena dall’avarizia, cordiale nei suoi rapporti con lo straniero.
  Ho amato la corrida, il flamenco, la cucina semplice, piccante e fine allo stesso tempo. Soprattutto, ho potuto apprezzare la distanza dall’agiatezza pitocca che rattrappisce l’Occidente.
  Scoprii che la Penisola Iberica è un continente, una vasta appendice che i Pirenei dividono dall’europeo corpo latino e germanico: separata più di quanto non avvenga per gli altri grandi paesi tra loro confinanti.

  Nel 1960 ero approdato in Andalusia da navigante. Giovane e inesperto, avevo gustato i costumi, il territorio che si estendeva oltre i palmeti rivieraschi aspro e forte, fatto per cose grandi, per i destrieri e i mulini a vento. In esso, in seguito, avrei incontrato gli adeguamenti al progresso mondiale e le nuove avulse costruzioni, tuttavia appartenenti ad un’anima singolarmente fiera e vigorosa, che non rifugge dal sangue, anzi vuol penetrarne l’arcano: sia religiosamente, sia in altro modo. 
  Mi ero stupito che quella gente avesse potuto degradarsi contravvenendo alla sua natura cavalleresca con atrocità e rivoluzioni. Gente amichevole nei riguardi d’ogni forestiero, a meno che non fosse impiccione e saccente, gente immune tanto dallo sciovinismo quanto dai complessi di inferiorità.
  Cinquantacinque anni addietro, la vita laggiù mi fece l’effetto di una ritrovata genuinità, dell’ingenua e vitale freschezza di sentimento, che ritenni fosse andata largamente perduta da noi, essendo risucchiata dall’americanismo.
  Nell’estate del 1969, in compagnia d’un amico, percorsi la costa mediterranea sino a Gibilterra. Di nuovo, ma in modo più tangibile e maturo, mi compiacqui della libertà che ha l’ordine per genitore. Quando nel grosso dei democratici imperava lo sdegno nei confronti della dittatura, e nelle loro vene pulsava la ripulsa per quell’organismo coercitivo, io, turista, respirai la leggerezza della severità. Mi si allargò il cuore nel silenzio delle diatribe faziose, della dialettica egoista, dell’ansia di prevalere con le ideologie. Sembrava sopito il logoramento della morale civiltà. Erano sospese le insicurezze. Vi faceva riscontro il fatto che se, per una visita o per un pasto, mi assentavo dall’automobile magari lasciata aperta, ero certo di ritrovarla dove l’avevo parcheggiata e senza alcuna manomissione. Inoltre, nessuno cercò mai di farmi fesso.
  La Guardia Civil presentava spesso e dovunque la sua lucerna di vernice nera. Mi muoveva al riso il pensiero che i miei connazionali erano ossessionati dall’idea che i tutori dell’ordine comparissero come una minaccia di repressione. Il fastidio o il timore che provano i delinquenti alla comparsa delle guardie, da noi si era trasferito sin nelle viscere dei timidi timorati e delle Figlie di Maria. Questa particolare coscienza sporca dei buoni o smania di libertà – ché non saprei come diversamente definire l’insofferenza verso i preposti a far rispettare le leggi, per giunta approvate democraticamente – la stramberia dei buoni cui non sorride l’usbergo costituito da poliziotti e carabinieri, mi riportava per filo e per segno la folle suscettibilità, la nevrosi recata dal bacillo democratico a uomini e donne proclamati sovrani. Non mi sfiorò il pensiero che i cittadini iberici potessero sentirsi schiacciati da Franco, o che io, trovandomi nei loro panni, avrei potuto rimpiangere il parlamentarismo romano.
  Ritornai nella Spagna martoriata dalla droga, dalle violenze e dalle corruzioni a tradimento, agitata dalle insicurezze, sbrigliata. La percorsi in lungo e in largo con mia moglie e, pascendoci dei suoi patrimoni inalienabili, si aveva l’impressione che avrebbero continuato a regnare, almeno per quanto ci riguardava.
  Frattanto, si era seduto su un trono modellato nel pattume un re del cinema che oscurava lo spirito della migliore sovranità, poiché gli ottimati non accennavano ad arricciare il naso. Conforme all’esuberanza del suo pubblico nostrale, egli marciò alla testa di una estrema rivoluzione, tanto più luciferina essendo incruenta e per immagini; travolse le recinzioni, le palizzate e gli ultimi baluardi della Chiesa autentica, dell’hidalgo, del ritegno, dell’odio riservato ai vizi. Distruzioni soltanto? Oh, no! Dalla fabbrica di sconquassi germinavano le piante coi pomi della discordia e con quelli della scienza offerta dal Serpente.
  L’animale da cinematografia, geniaccio qual era, rotta mirabilmente ogni verginità, infangato il candore, dileggiata la pudicizia, spalancate porte e portoni all’irriverenza, annichiliti i sacri istituti coprendoli di scandalo, accarezzate le estreme fantasie di Sodoma e di Gomorra, celebrò sullo schermo la reviviscenza dei saturnali più scabrosi e ributtanti, in rappresentazioni realistiche, esaltate dalle operazioni della chirurgia plastica e dai ritrovati della medicina diabolica. Mise in atto l’estro calibrato e suadente di artista, per cui situazioni oscene e apici aberranti penetrarono sino al cuore dello spettatore, quasi con iniezioni pressoché indolori di quella droga che del male abolisce il concetto. Sicché il vizio divenne viziatamente accettabile, e alla sua fonte si abbeverarono nelle più varie maniere i narcotizzati.
  Negli ultimi anni Madrid, all’avanguardia del progressismo, ha asfaltato del bitume legislativo la strada polverulenta rullata dal sommo regista, già battuta dall’introduzione del topless sulle spiagge che contornano l’ardente Ovest mediterraneo e s’inseriscono tra le severe scogliere atlantiche sino al Finis Terrae. Sotto il sole marino, il temperamento della spagnola colse al volo la moda facendo suo il costume più spinto. Invero, ella si comportava da pedissequa provinciale, affatto piccola al cospetto della sua razza che tiene in conto l’onore. Mistero infernale delle metamorfosi dal bianco al nero!
  Alle corte: la Spagna mi è divenuta ingrata, e non so immaginare quando e come avrò il piacere di riconciliarmi con lei.
  

Piero Nicola

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