mercoledì 17 dicembre 2014

Perché non possiamo essere atei

Gli atei ostinati dovrebbero riflettere sulla rigorosa/paradossale forma teologica dei pensieri dominanti nel poema concepito e scritto da Parmenide per definire e celebrare l'assoluto immanente. La definizione eleatica dell'universo eterno e increato, lo hanno rammentato Virginia Guazzoni Foà e Cornelio Fabro, ha infatti la struttura di una teologia rovesciata nel mondo: salvo gli opposti e irriducibili punti di vista, l'immanentista di Elea e il teista Tommaso d'Aquino declinano lo stesso pensiero sulla perfezione dell'essere increato e perfetto, al quale nulla può essere aggiunto.
 A loro modo sono teologici anche i fulminanti/sconcertanti paradossi di Zenone: la inutile corsa di Achille dimostra che l'essere assoluto esclude il divenire e lo respinge nella  sfera della doxa, dove l'infinità dei punti che separano la corsa fulminante/fulminata di piè veloce dal placido tra tran della tartaruga abolisce la realtà del divenire. 
 L'ateismo eleatico è una religione orizzontale, un'ontologia che obbedisce al pregiudizio pagano intorno alle imperfezioni delle divinità olimpiche e perciò rovescia la persona del creatore nell'immaginaria infinità del creato.     
 L'ateismo dei moderni (e dei post-moderni) invece è il risultato della fuga precipitosa dalla philosophia perennis e della ricerca disperata di un rifugio alto e inaccessibile, una fosforescente superstitio - ossia una soprastruttura che faccia baluginare la possibilità di sottrarre il fragile  pregiudizio immanentista al detestato martello della ragione ragionante.
 L'ateismo dei moderni si allontana dalla teologia ateologica di Parmenide e dalla teologia propriamente detta per consegnarsi al fiume impetuoso e bizzarro del divenire assoluto e insensato.
 La fragilità dell'ateismo in scena dopo il pallido bluff del moderno è confermata da un giovane e brillante filosofo italiano, Francesco Agnoli, autore del puntiglioso saggio critico, Perché non possiamo essere atei, pubblicato in questi giorni da Gondolin, editore in Verona.
 Muovendo con perizia l'arma della critica, Agnoli ingaggia un duello spietato con gli incensati autori dei sofismi che, nelle intenzioni gridate dal palcoscenico allestito dal potere culturale, annunciano la fine della fede in Dio e il tramonto del panteismo antico.
 Il dogma degli atei di ultima e irremovibile generazione afferma che "è la materia inorganica che da sola, meccanicamente e casualmente, dà vita alla vita". Se non che John Eccels, premio Nobel per la medicina a dimostrato che ove sposassimo la filosofia del materialismo monistico "non ci resterebbe nessuna base su cui costruire un significato della vita e dei suoi valori. Saremmo creature del caso e delle circostanze. Tutto in noi sarebbe determinato dall'eredità e dal condizionamento. Il nostro sentimento di libertà e di responsabilità sarebbe soltanto un'illusione".
 A David Dawkinson, "ateologo turlupinato dal suo zelo" e indotto ad affermare intrepidamente che la religione sopravvive perché il cervello dei bambini crede nella qualunque assurda affermazione dei genitori, "dunque una volta infettato il bambino  crederà e infetterò la generazione successiva con le stesse assurdità", Agnoli risponde formulando una devastante obiezione: "Perché dopo settant'anni di comunismo ateo in Russia, in cui l'idea religiosa non è stata tramandata da padre in figlio, ma anzi soppressa violentemente e perseguitata, la religione non è affatto morta ma anzi conosce una rinascita prodigiosa? Perché si può passare da atei a credenti nel corso della vita, o addirittura convertirsi in punto di morte?"
 Importante è il capitolo in cui Agnoli ricostruisce la fecondazione/incubazione - ateista/scientista - degli orrori - mostri spaventosi - attuati nel XIX e nel XX secolo dall'eugenetica. Prima di svolgere il tema l'autore rammenta che "con l'espressione razzismo scientifico si identifica quel modo di catalogare gli uomini, secondo principi biologici, che ha origine nel Settecento illuminista e che sfocia nei grandi movimenti razzisti del Novecento, attivi soprattutto negli Stati Uniti e in Germania".  
 Opportunamente Agnoli cita il saggio Il mito ariano, in cui lo storico Leon Poliakov stabilisce una stretta relazione tra razzismo e illuminismo e rammenta i testi  sul poligenismo, nei quali incuba l'antisemitismo - di stampo anticristiano - apertamente professato da Voltaire. 
 Abbattuto il nazismo la mitologia razzista o biocrazia ha conservato la sua autorità nella cultura dei poteri forti, mediante i quali avanza l'incuboso disegno di un mondo abitato dall'aristocrazia selezionata dalle macchine della felicità: aborti, eutanasie, carestie, pestilenze, fanatismi pseudo-religiosi e guerre civili.
 Di qui le politiche finalizzate a limitare e possibilmente impedire la procreazione dei più poveri e negligenti.

 Il saggio di Agnoli si raccomanda quale descrizione puntuale della follia razzista incombente sulle nazioni atlantiche, che hanno sconfitto la Germania nazista risparmiando e addirittura facendo propri  gli errori contro i quali fu promossa la crociata di Eisenhower.  

Piero Vassallo

Nessun commento:

Posta un commento