lunedì 20 ottobre 2014

NESSUN ATANASIO NEL SINODO PEGGIORATIVO (di Piero Nicola)

Si è detto e ripetuto che il Concilio Vaticano II ha scritto proposizioni gravemente erronee, nocive per il bene delle anime, confermate e persino accresciute, sino ad ora, dagli insediati sul soglio di Pietro e dai loro dipendenti. Si è stabilito ciò in forza della facoltà razionale di ogni uomo, in forza del principio di non contraddizione. O denunciamo ciò che chiaramente contraddice la fede o la guastiamo. 
  Insegnamenti e prassi ascrivibili alla gerarchia che figura essere della Chiesa sono, da tempo, in netto contrasto con articoli di fede. Basti la dottrina sul diritto alla libertà religiosa. Per principio, essa assegna all’errore e agli erranti che lo propagano diritti che spettano soltanto alla Verità, e con questo essa nega direttamente un dogma definito e stabilito ex cathedra da Papa Pio IX, nell’enciclica Quanta cura e nel Sillabo.
  Per eccepire sull’eresia oggettiva o materiale costituita dal concetto di diritto alla libertà religiosa instaurato dalla post-moderna usurpazione del Magistero, bisognerebbe abbandonare la conoscenza e la logica.
  Inoltre, chiunque può sincerarsi dell’incompatibilità del magistero e degli atti successivi a Pio XII con definizioni dogmatiche di Concili e di Pontefici del Magistero precedente. Sicché alcuni tradizionalisti tra più contrari al sedevacantismo si vedono costretti a chiedere dove mai stia, dove mai sia finita la Chiesa.
  Ma se l’evidenza mostra tanto sfregio recato al sacro Deposito e tanto male conseguentemente procurato alle anime, ne deriva la perduta credibilità e autorità di chi lo ha commesso e di chi lo sta commettendo.
   Sicché potremmo trascurare le ultime e più recenti proposizioni erronee rilasciate dal Vaticano e dai suoi satelliti col sinodo sulla famiglia appena concluso nella sua prima sessione. Per respingere l’errante perseverante, ovunque agisca, è sufficiente un solo grave e venefico abuso del Vangelo. Del resto, l’albero cattivo naturalmente produce altri frutti bacati.
  Viceversa, partendo dai suddetti punti fermi, esistono due validi motivi per ancora confutare ed accusare.
  Il primo è il dovere di persistere nell’offrire il bene della sana dottrina a sé stessi e al nostro prossimo. Le eresie sono sempre servite a sciogliere i dubbi e al perfezionamento dogmatico.
  Il secondo, complementare al primo, è il dovere di smascherare le arti, insidiose soprattutto per la massa sprovveduta, con cui si spaccia il velenoso errore per opera buona.
  Evitiamo di annacquare il vino rivenendo a un’analisi dettagliata dei detti e dei misfatti. Consideriamo subito come farisaicamente si dica di mantenere e rispettare il Deposito della fede, e lo si tradisca coi vecchi provvedimenti e con quelli ora previsti, ossia mediante un procedimento pastorale che distrugge la Legge del Signore.
  Anche questo fatto toglie ogni possibile autorità a chi pretenderebbe di averla compiendo simili inganni e a quanti vorrebbero che essa sussistesse in lui.
  Siccome è dato accertare che i finti pastori si sono da se stessi screditati a motivo dei loro errori e comportamenti, che causano la rovina della Fede e il male degli uomini, coloro i quali già sono sulla buona strada, avendo rilevato errori e male azioni, sarebbero pure tenuti alla coerenza, cioè ad andare in fondo all’esame e alle deduzioni, sarebbero in obbligo di accusare e di rifiutare chi è causa della peggiore delle sciagure: chi dovrebbe essere il vicario di Cristo per l’umana salvezza, mentre è agente effettivo del demonio, a prescindere da qualsiasi giudizio sull’anima sua.
  In proposito, giova ricordare che la Chiesa, per mandato divino, fu investita del potere di giudizio rispetto alle colpe pubblicamente commesse, prevedendosi anche il delitto di eresia e le relative punizioni. E se è vero che oggi nessuno può assumere siffatto ruolo di giudice, è pur vero che i colpevoli materiali di affermazioni e di azioni eretiche hanno dovuto apprendere le contestazioni loro mosse da vescovi e porporati, e tuttavia persistono nell’orribile cammino intrapreso.
  Torniamo alla complessiva confutazione dell’ultimo cattivo insegnamento.
  Un comunicato Ansa del 18 ottobre 2014, ore 16 e 28, riporta la sintetica risoluzione del sinodo sulla famiglia appena concluso nella sua fase dell’anno corrente:
  “Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse una casa con la porta sempre aperta all’accoglienza, senza escludere nessuno. Siamo perciò grati ai pastori, fedeli e comunità pronti ad accompagnare e a farsi carico delle lacerazioni interiori e sociali delle coppie e delle famiglie”.
  Una proposizione più blasfema e falsa di questa si incontra raramente nella storia ecclesiastica. Non ravvisarla significa aver perduto la bussola della dottrina cattolica e del raziocinio. Chi l’abbia tollerata tralasciando di rigettarne gli autori e di separarsi da loro è divenuto complice nel tradimento di Nostro Signore. Dunque, prendiamo atto che in questa sorta di concilio si è verificato lo stesso fenomeno dell’ultimo concilio: aggiustamenti ingannevoli, mezza verità, mezza menzogna e omissione colpevole dell’essenziale, aventi un effetto peggiore della menzogna più facilmente impugnabile. E nessun novello Atanasio nell’assemblea dei padri.
  Cristo prescrisse ai suoi che recavano l’annuncio della Nuova Alleanza di ritirarsi da coloro che non li avessero accolti. E non si sofistichi - aggiungendo errore a errore - con il proselitismo diventato in questo secolo disdicevole. Egli prescrisse che il Vangelo fosse predicato tal quale sino alla fine dei secoli. Chi non lo riceve e non si fa battezzare è perduto. Lo stesso vale per chiunque contravvenga alla Legge salvifica.
  San Paolo dichiara il dovere dell’ammonizione e che gli ammoniti, pure con il debito riguardo, se non intendono correggersi saranno considerati alla stregua dei pagani.
  La Chiesa, come società perfetta, sempre applicò la Legge divina, secondo cui l’errante o il peccatore pubblico veniva ammaestrato e invitato a correggersi o a convertirsi; in mancanza di che avveniva la scomunica, l’espulsione dal Corpo mistico.
  Poiché esiste – ed è perfettamente logico e reale che esista – una legge inderogabile e un potere che la fa rispettare, dire che questo potere tiene “la porta sempre aperta all’accoglienza” è falso del tutto. Nessuna società tollera giustamente in sé le mele marce, ed esse sempre ci sono.
  La vaghezza dell’espressione, una volta di più adoperata (l’uso dell’indeterminazione è un abuso adoperato specie all’ultimo concilio) aggrava l’errore. Esso penetra a fondo negli animi impreparati a diffidare. L’ambiguità evitabile dissimula la verità, che può e deve essere detta. L’ambiguità è peggiore dell’errore, quando lascia campo ad esso, lasciando che esso lavori subdolamente. Così agisce il demonio, che non si espone al rifiuto con proposte chiare.
  Non sarà una scusa valida l’aver messo in atto espressioni ambivalenti onde permettere alle parti in contrasto di accettarle. L’ambiguità, evitabile e perciò colpevole, risulta qui delittuosa e foriera di rovina. Di essa approfittano quanti ne fanno l’uso peggiore, non già gli onesti. Lo si è ben visto con il Vaticano II.
   La bella “accoglienza” che non esclude nessuno è una finzione, è una prospettiva truffaldina (nemmeno Bergoglio potrebbe permettersi di accogliere benevolmente i nemici, infatti non lo fa, però fuori luogo!) e consiste in una disposizione che consente di accogliere chi, per legge divina, non deve essere accolto. Non esistono forse nemici di Cristo nelle coppie e nelle famiglie che resistono alla sua dottrina? Basta non indagare, non interrogarli? L’omissione - tra le altre del documento sinodale – della precisa richiesta di riparazione comandata da Dio, condizione essenziale dell’accoglienza, è una mancanza prettamente eretica e imperdonabile.
  Sia per l’opposizione dei vescovi più sani, sia per l’astuzia spiegata sopra, la risoluzione torna a parlare di condizioni poste ai divorziati e risposati prima d’essere ammessi ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Ma tali condizioni furono stabilite e applicate nei secoli in conformità con principi dogmatici irrevocabili, valevoli sempre. Prevedere di cambiarle, di adattarle, significa violare il dogma, offendere Cristo, significa considerare mutevole la condizione morale dell’uomo o considerare per lui giuste cause scusanti o attenuanti che non esistono.
  Tutto questo è provato dal documento, dove recita:
  “Una Chiesa credibile è quella che sa accogliere e che è in grado di comprendere i mutamenti della società”.
  “Altri [padri] si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari e a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati a obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste”.
  Occorrerebbe “tenere ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate a seconda di fattori psichici o sociali”.
  Concezioni inammissibili, come quella sulle unioni di omosessuali, e ammesse dal presidente Bergoglio.
  “Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogia, neppure remota, tra unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”. “Gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza”.
  Che l’uomo sia differente dalla donna in ordine al sesso e alla sua funzione procreatrice salta all’occhio. L’ovvio andava riconosciuto. Ma è stata un’occasione per ripetere implicitamente l’accettazione di pratiche abominevoli e per ribadire un’accoglienza che è obbligatorio far sottostare a premesse inderogabili: non peccare almeno pubblicamente, evitando lo scandalo, e dimostrazione di sani propositi.
  No alla rigidità e no al buonismo, predica il moderatore, e lascia la porta aperta all’abuso, poiché la pratica infallibile è stata scardinata. Ed egli osa chiamarla scritto ostile e ne disprezza la lettera, come faceva Lutero.
  “La Chiesa non ha paura di mangiare e bere con le prostitute e i pubblicani”. Ma egli mangia e beve con loro trascurando di convertirli o di redimerli. Troppa, detestabile differenza!
  La stampa riferisce che gli è stato tributato un applauso di cinque minuti.

  Perciò gli ottimisti disposti a consolarsi o a compiacersi di vedere il bicchiere mezzo pieno, perché il partito dei prelati più ortodossi ha ottenuto dei risultati, si disingannino: come quel partito, essi farebbero il gioco della malizia eretica.

Piero Nicola

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