venerdì 17 ottobre 2014

LA FALSA LEGGE (di Piero Nicola)

Poche finestre si aprono sulla realtà sostanziale di oggidì come lo schermo televisivo che mostra due convenuti in giudizio davanti a un giudice arbitro, il quale si prende cura di motivare le sue sentenze adducendo gli aggiornati precedenti della giurisprudenza, dovuti anzitutto alla cassazione.
  Poiché il pubblico profano è autorizzato a intervenire con le sue argomentazioni - anche i lontani che inviano lettere elettroniche - e a discutere con i protagonisti della controversia, questo svolgimento della mente e degli umori di una certa rappresentanza popolare dedita all’esame del caso, presenta un interesse sociale o di costume. Tuttavia il vaglio operato dall’emittente per formare l’anomala giuria e l’influenza della moderatrice andrebbero debitamente valutati, perciò la digressione ci occuperebbe alquanto e lasciamo stare.
  Si può dire che quasi ogni deliberazione che si ascolta sul finire dello spettacolo, faccia a pugni con la legge certa che precedette gli ultimi cambiamenti radicali o ribaltamenti, compiuti da una vera e propria rivoluzione giuridica nei corollari.
  Nella più recente puntata del processo televisivo da me veduta, un marito citava in giudizio sua moglie, chiedendole un risarcimento perché ella aveva abortito sua sponte, senza neppure aver informato lo sposo della decisione presa e realizzata.
  La giudice ha ascoltato le perorazioni delle parti in causa, messe poi alla mercé delle discordi opinioni del pubblico giovincello o maturo, il quale liberamente si pronuncia nel merito, recando le proprie nozioni, le proprie esperienze, la propria emotività e le proprie intemperanze.
  A questo riguardo, una digressione è troppo allettante per essere lasciata cadere. La democrazia della classica giuria popolare, che si ritiene in qualche maniera qualificata e avvertita da un magistrato presidente, assume, qui in tivù, il carattere di una democratizzazione integrale, ossia al grado pessimo, benché i voti di questi giudici popolari rimangano distinti dalla sentenza e sovente la contraddicano. E che dire della messa in scena dei due contendenti, cui sono affidate accusa e difesa neanche avessero la perizia e la professionalità degli avvocati, deputati, in ogni serio tribunale, a parlare nell’interesse dei loro assistiti? Si capisce che il magistrato ha istruito debitamente il procedimento e ha già scritto il dispositivo legale, ma la commedia ad usum delphini, ovvero demagogica, è nuovamente ciò che ci vuole per mostrare l’idoneità e il pari diritto di chiunque a far valere le proprie ragioni, in una dialettica democraticamente... costruttiva.
  Orbene, essendomi tolta questa voglia di vuotare il sacco, vengo alla scena madre in cui prende posto sul seggio l’uomo o la donna - in questo caso una donna - alla quale spetta di battere il mazzuolo che toglierà la seduta.
  Ella ha deciso che al coniuge maschile non spetta alcun diritto di conoscere cosa attinente alla gestazione della consorte. Essa sola può disporre in ogni senso del proprio corpo e dell’essere in esso concepito. La giudice è, al solito, prodiga nel dare soddisfazione al condannato e ai dubbiosi: sciorina una sequela di decreti rilasciati in alto loco, che, alla fin fine, discendono da una coppia di empi principi: l’uguaglianza degli sposi, ossia l’abolizione del capofamiglia, e il diritto all’aborto.
  Colei che ha deliberato tradisce il proprio imbarazzo di fonte al suo così reciso provvedimento. Dev’essere consapevole che, di questi tempi, il rigore in ogni sua forma disturba animi e animucce. Infatti qualche mamma presente appare commossa e una ragazza addolcisce lo sguardo rivolto al povero marito di bell’aspetto. La giudice insiste nel porre l’accento sul fatto della salute, sempre implicata nella gravidanza, salute la cui cura spetta unicamente alla gestante. Ma si vede che la debolezza dell’argomento mette in difficoltà la donna sul seggio. Ed ella sembra sincera quando dice d’essere stata forzata dalla legislazione e dalla giurisprudenza, mentre, a suo personale avviso (di cui nessuno mai si priva), sarebbe giusto un certo riguardo verso colui che tuttavia è stato indispensabile al concepimento e vi ha messo del suo, del suo patrimonio genetico.
  Così, la conduttrice dello spettacolo ha modo di rasserenare l’atmosfera e, neanche a dirlo, nella ripresa tivù tutto finisce a tarallucci e vino.


Piero Nicola

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