martedì 14 ottobre 2014

DAL VOLTO DELLA GERARCHIA VATICANA È SCESA L’ULTIMA MASCHERA (di Piero Nicola)

Si è concluso il primo tempo del sinodo sulla famiglia e le previsioni si sono brutalmente avverate.
  Il card. Peter Erdo, presidente di questa conferenza episcopale, ha letto la bozza della Relatio post disceptationem, documento da discutere per redigere il testo finale che sarà rimesso a Bergoglio.
  Da Il Giornale e da Repubblica, ho ricavato passaggi testuali quanto mai esaurienti.
  Si propone una “sensibilità nuova della pastorale odierna” per “cogliere la realtà positiva dei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, delle convivenze”.
  Ricordate l’eresia suggerita dal Vaticano II, ove asserisce che nelle false religioni, chiamate chiese e confessioni dei fratelli separati, vi sono elementi dell’ortodossia utili per la salvezza? Ricordate Giovanni XXIII che predicava di considerare ciò che unisce e tralasciare un po’ quello che divide? Ecco qua la stessa logica illogica, lo stesso ridicolo aggiustamento di una cosa impossibile da riparare col metodo indicato. Non è nemmeno un’eresia presupposta. Un’eresia ha ancora una parvenza di costruzione sistematica. Questo procedimento resta senza costrutto, da esso trapela perciò l’impostura, e miete consenso nell’ordine demagogico, nel campo della vasta ignoranza ingenua, ignava o sentimentale.
  Tutto già scritto. Ciò che ancora fa provare rammarico è l’inerzia dei difensori delle verità elementari, i quali, anziché affidarsi vilmente alla speranza che il Cielo compia il loro dovere, avrebbero dovuto alzarsi, puntare il dito accusatore e andarsene fuori da un consesso corrotto, sbattendo la porta e cacciando via la polvere dai propri calzari.
  Se cerchiamo nell’Isis o nel nazismo qualche cosa di buono, state certi che lo si trova; per esempio, l’osservanza delle devozioni o la cura dell’ordine pubblico. Ma Isis e nazismo sono esecrabili di per sé. Invece le “convivenze” sarebbero un disordine morale e religioso non omicida, un’infrazione da capire e forse da compatire. Invece il regime del divorzio e delle convivenze fanno morti spirituali, conducono dritto al peccato mortale, e questi prelati che hanno comprensione e prevedono rimedi impossibili usurpano il titolo di cattolici.
  “Occorre che nella proposta ecclesiale - pur presentando con chiarezza l’ideale [come non intendere la malizia in questo “ideale” che richiama la perfezione riservata ai monaci?] – indichiamo anche elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più a tale richiesta”.
  Lo sviluppo del concetto toglie ogni ripensamento su quanto sopra stigmatizzato.
  Si prosegue accennando ai motivi dell’indirizzo da adottare con “cammini pastorali nuovi, che partano dall’effettiva realtà delle fragilità familiari” e considerino situazioni “più subite che scelte in piena libertà”.
  La società, “la logica del mercato” sono responsabili della “miseria materiale” che “spinge a vivere in unioni di fatto”.
  Il congedo preso dalla morale è ora completo. Basterebbe uno stato di disagio, di sofferenza, per giustificare abbastanza un’infrazione mortifera come il divorzio o il concubinato! Alla stessa stregua, come mai il Vaticano oggi non scusa certe disobbedienze tradizionaliste nei suoi riguardi? Con ciò, si badi, non tralasciamo il dovere attuale di disobbedirgli. Ma disobbedire a Dio sembra un atto meno grave, nell’atmosfera ammorbata di questo consesso.
  Vengono bensì nominati i “fattori sia personali che culturali e socio-economici”. “Non è saggio pensare a soluzioni uniche o ispirate alla logica del tutto o niente”.
  I sofisti devono pure gongolare, se tendono l’orecchio dalla loro tomba degli inferi. Infatti il criterio è affermato in modo generico, sicché, invocata la saggezza, la legge eterna, la regola, il tutto o niente diviene sconsiderato.
  E, per infrangere le presunte estreme obiezioni di chi si attiene ai comandamenti del Vecchio e del Nuovo Testamento, si gettano avanti i “casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partner”. Dunque: apprezzare di “più i valori positivi che custodiscono, anziché i limiti e le mancanze”.
  Con questo, il relatore – che porta pena… - e coloro che approvano il documento hanno abbracciato la loro condanna.
  “Occorre accogliere le persone con la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiarne il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa, anche di chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate”.
  Traduzione: i divorziati risposati e simili vanno accolti e sostenuti spiritualmente secondo i novelli procedimenti.
  Per l’accesso alla Comunione viene concesso un preventivo “cammino penitenziale [non specificato!] sotto la responsabilità del vescovo diocesano [di manica larga o forse di manica stretta], con un impegno chiaro [chiaro soltanto questo? e, poi, quale?] in favore dei figli”.
  Si tratterebbe di “una possibilità non generalizzata, frutto di un discernimento attuato caso per caso”.
  Un simile “discernimento” indefinito significa prendersi gioco della dottrina dogmatica e dei suoi fedeli. Il discernimento deve osservare la norma ecclesiastica di sempre: la penitenza può consistere soltanto, insieme alla remissione del peccato commesso, nel porre rimedio ad esso; e il modo è quello di sempre: rispettare l’unico matrimonio validamente contratto, ossia il matrimonio indissolubile, ripristinandolo ove sia possibile, altrimenti sciogliendo altri vincoli non valevoli e conservando la castità.
  Per dare una mano alla disobbedienza a Gesù Cristo, il documento invita i vescovi a rendere più celeri e semplificate le cause in cui si decide della nullità dei matrimoni.
  L’autocondanna non finisce qui; prosegue riguardo alle unioni omosessuali.
  “Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana” - La scivolata, anche illogica, è conseguente alla parzialità dei redattori e rivela la loro pochezza avvocatesca: semmai gli omosessuali possono avere doti e, sottomettendosi a certe condizioni, possono giovare alla comunità. - Perciò bisogna essere “in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità”. “Spesso esse desiderano incontrare una chiesa accogliente per loro. Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio?”
  Sarebbe d’obbligo “elaborare cammini realistici di crescita effettiva e di maturità umana ed evangelica integrando la dimensione sessuale”.
  L’omissione macroscopica, a ben vedere, è figlia di quella che tace sulla peste dell’eresia. Per negare che l’eresia e l’eretico dedito a propagarla siano pestiferi, bisognerebbe impugnare le risoluzioni dogmatiche di Papi e Concili.
  Orbene, l’omosessuale sedicente cattolico deciso a ritenere lecita la pratica sodomitica o lesbica è una fonte di scandalo e di infezione, che i preti ignorano con colpa grave.
  “Le unioni tra persone dello stesso sesso non possono essere equiparate al matrimonio tra uomo e donna”.
  Troppo poco. Le “unioni tra persone dello stesso sesso” con ciò che normalmente comportano gridano vendetta al cospetto di Dio, e guai a sottacerlo!
  “Inoltre, la Chiesa ha attenzione speciale verso i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al primo posto vanno messi sempre le esigenze e i diritti dei piccoli”.

  Come ci sono capitati i bambini i quelle coppie contro natura? Quali sono i diritti preminenti dei piccoli? La mancanza delle precisazioni e del biasimo rivolto alle adozioni di quelle coppie desta un orrore sacrosanto.

Piero Nicola

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