domenica 28 settembre 2014

La cultura di massa contro la famiglia

1974-2014: quarant'anni di regresso sociale  

La cultura di massa contro la famiglia

 Nel 1974 l'infausto esito del referendum per l'abrogazione della disgraziata legge Fortuna-Baslini rivelò che la maggioranza degli italiani era in rivolta contro la dottrina sociale della Chiesa cattolica e finalmente risoluta a percorrere la strada del disordine sfascista e della violenza in famiglia. Iniziava l'oscuramento dell'Italia cristiana.
 Purtroppo la classe dirigente democristiana (fatta eccezione di Amintore Fanfani) si defilò per evitare il conflitto con gli alleati laici. Gli studiosi cattolici, fatta eccezione di Gabrio Lombardo, Sergio Cotta e Augusto Del Noce disertarono. Il clero postconciliare fece il possibile per raffreddare il clima del dibattito. I preti più aggiornati contestarono addirittura i motivi dell'opposizione al divorzio.
 A monte del divorzio agivano forze spumeggianti e festose: la giurisprudenza in bleu bas, la pseudo scienza psicoanalitica, il giornalismo d’ispirazione esoterica, il libertinismo a fumetti, la saggezza delle parrucchiere filosofanti, gli slogan incendiari delle femministe, i consigli uterini delle cartomanti, le pozioni delle maghe televisive, lo sfavillio dei rotocalchi aperti in tutte le direzioni della pornografia.
 A valle prosperavano gli alberi della rapinosa cuccagna, sui quali abitavano pagliette & psicologi ad alta tariffa e a bassa preparazione, gazzettieri incappucciati, pornografi da premio letterario, politicanti senza pudore, fedifraghi e fedifraghe omologati, cornuti d'alto bordo, preti di varia e squillante mondanità.

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 L'improvvisa dissolvenza delle cattedre marxiste e l'incenerimento dei pulpiti sovietici, avviò un breve cambio di scena: la cultura all'avanguardia in Occidente mise in dubbio la bontà del feticcio divorzista.
 I più aggiornati e coraggiosi sociologi contestano apertamente le leggi divorziste, a causa delle quali le senescenti democrazie (rovesciandosi stupidamente nell’etica dell’irresponsabilità) avevano sconsigliato e quasi vietato ai loro sudditi di contrarre matrimoni indissolubili e normali.
 Alla luce degli osservatori qualificati e disinteressati le leggi divorziste rappresentavano il risultato oscurantista della folle guerra contro la morale cristiana.
 Alla fine del 2001, le edizioni Ares pubblicarono un saggio di Amedeo de Fuenmayor, “Ripensare il divorzio”, dove si rammentava l’esigenza, particolarmente sentita dai più autorevoli giuristi americani, di rivedere le leggi divorziste alla luce del naufragio dell’utopia sessantottina nel mare dei disturbi mentali conseguenti alla trasformazione del matrimonio in “terreno fertile per esperire le potenzialità dell’Io liberato da ogni ruolo e obbligo”.
 La cultura giuridica professata dall'avanguardia americana, festante quando si credeva che il divorzio fosse un rimedio alle difficoltà della vita matrimoniale, dopo che il divorzio era scaduto al livello di un anodino e devastante capriccio individualistico, aveva proposto una ragionevole e graduale riforma.
 Nella brillante introduzione al saggio di Fuenmayor, Cesare Cavalleri ricordava che in alcuni states americani erano state introdotte leggi correttive, “che affiancano al matrimonio standard, agevolmente divorziabile, un convenant marriage, con il quale i contraenti si impegnano a sottoporsi ad un procedimento più difficoltoso prima di giungere all’eventuale richiesta di divorzio”.
 All'inizio del secondo millennio, la cultura stava abbandonando la tenda dei progressisti. Dalla autentica e non statuaria Libertà scendeva una luce ostile all'oscurantismo libertino.
 Gli ostinati seguaci della mitologia illuminista, pur vedendo lo scenario del progresso civile scendere nel taboga del nichilismo, rifiutavano di considerare le ragioni cogenti di quella cultura giuridica d’avanguardia, che, in obbedienza al principio di realtà, aveva avviato la necessaria e urgente revisione del sistema divorzista.  
 La foresta del disordine si agitava. Ad esempio, l’impetuosa Miriam Mafai, sulle colonne scottanti, graffianti e pontificanti di Repubblica si agitava come una gatta e, strappandosi le vesti legalitarie, inveiva contro Giovanni Paolo II, colpevole di “dettare (con reiterata insistenza) norme di comportamento che sono in contrasto con quelle della legge italiana”. In breve giro di tempo la primavera della sociologia si rovesciò nell'inverno del conformismo ritornante.

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 Oggi nell'eloquente/raggelante cronaca nera italiana, l'errore divorzista tradotto in legge grazie all'iniziativa libertina del duo Fortuna & Baslini, incontra, giorno dopo giorno, l'errore psichiatrico personificato dai liberatori basagliani.
 Tale sventurato incrocio genera le roventi/fiammanti tempeste mentali che armano il delittuoso delirio degli uxoricidi quotidiani.
 Ad uso di quanti ascoltano la parlante realtà, la cronaca nera sciorina, giorno dopo giorno, spaventosi argomenti contrari al sistema della menzogna instaurato dall'utopia libertina.     
 Purtroppo la luce della contrarietà all'abominio divorzista, ossia alla scolastica anarco-tanatofila promossa dai banchieri americani, è ultimamente abbassata dalla divagazione acrobatica della teologia sudamericana, maldestramente interpretata dal sommo teologo della liberazione dalla morale tradizionale.
 La teologia morale della Chiesa cattolica, infatti, ha iniziato un folle e ridicolo girotondo intorno alla salma della cultura divorzista. In obbedienza alla legge che obbliga i modernisti ad inchinarsi al cospetto del pensiero inattuale e cadaverico, il clero abbagliato dall'oscillante dottrina del Concilio ecumenico Vaticano II, chiude gli occhi ai messaggi trasmessi dalla cronaca nera e si lancia a capofitto nella giustificazione della cultura da cui hanno origine gli scismi mentali, che armano gli uxoricidi. 
 Nella parodia della misericordia serpeggiante nella Chiesa conciliare, l'infedeltà al Vangelo, l'incapacità di interpretare i fatti e il tradimento dei princìpi di ragione sono malinconicamente coniugati con la sordità alle richieste di soccorso urlate disperatamente da un corpo sociale infettato da quella violenza scismatica, che è generata dai fantasmi del libero amore e della "felicità" ad ogni costo. 
 Radaelli, nel magnifico saggio "La Chiesa ribaltata", sostiene che il clero cattolico giudica sconveniente parlare chiaramente al peccatore, "a partire dal dirgli che è peccatore (ovvio: come un pastore santo lo sa dire alla pecorella smarrita).
 Tale "sconvenienza si è infiltrata nella Chiesa avvelenandole da cinquant'anni la purezza di magistero, perché da cinquantanni la Chiesa ... ha timore del mondo, ha timore del peccatore, del suo giudizio e di passare per ossessionata, per non rispettosa della dignità dell'uomo, che sarebbe la dignità del peccatore".


Piero Vassallo

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