lunedì 11 agosto 2014

L'unica, difficile via percorribile dai tradizionisti italiani

Unita e cattolica

L'unica, difficile via percorribile dai tradizionisti italiani

 Una imparziale lettura dei documenti e delle testimonianze sul Risorgimento, ossia una ricerca finalizzata all'acquisizione di notizie dimenticate o sottostimate o censurate dalla storiografia liberale e/o progressista, è lecita ed apprezzabile, purché compiuta con scrupolo e rigore nelle competenti sedi, (con ovvia esclusione delle sedi dei partiti politici, normalmente adibite ad ospitare altre attività).
 Incomprensibile, antistorico, deleterio e potenzialmente rovinoso è invece il progetto para-politico e para-scientifico finalizzato a confutare i fondati motivi dell'unificazione dell'Italia e a preconizzare - giubilando - lo smembramento dello stato nazionale.
 Sulla Patria italiana, infatti, incombe oggi il peso sgradevole della pedagogia ferocemente - invertitamente - bacchettona, mediante cui il potere europeo tenta di rovesciare nella nostra società il furore sonnambolico, narrato da Robert Wiene, il regista dell'inquietante e quasi profetico film, "Il gabinetto del dottor Caligari".
 I fautori della disunità d'Italia non hanno compreso che il progetto maltusiano gira nella direzione di quel potere post-ideologico, che  prepara la capitolazione dell'umanità ai profeti di un'utopia sedicente virtuosa, che nasconde maldestramente la volontà di regredire.
 Gestito, purtroppo, da una classe politica, equamente divisa tra lanciatori di coriandoli destri e seminatori di sinistre suggestioni libertine & caligariane - due patetiche/grottesche oligarchie, convergenti nella inadeguatezza a resistere efficacemente al cimiteriale totalitarismo europeo - lo  stato italiano produce, nella maggioranza dei cittadini, l'insorgenza di un'angoscia rancorosa e di un disagio incubante stati d'animo vandalici.
 I tradizionalisti anti-unitari, in rotazione nel vortice disperato, sono [ciecamente] favorevoli al potenziamento delle autonomie regionali, "introdotte in Italia dalla costituzione della repubblica antifascista".
 In poche e ruvide parole: il sonno della ragione tradizionalista approva e gonfia i fantasmi di uno stato d'animo, che cerca rifugio nell'incremento/moltiplicazione delle dense nebbie anti-unitarie alzate dal regionalismo scialacquatore, che è stato attuato in conformità ad uno fra i più infelici articoli della costituzione italiana.
 E' peraltro evidente che, ove lo stato unitario fosse smembrato e ridotto al desiderato coacervo di micro-repubbliche, i disagi prodotti dall'umiliante e severa ideologia europea sarebbero moltiplicati. Ed è  pacifico che l'accrescimento delle severe correzioni ridurrebbe ai minimi termini la speranza in una futura uscita dall'invasiva e incubosa ideologia eurocratica.
 Di qui l'urgenza di esaminare criticamente e infine di confutare gli argomenti usati dai tradizionalisti/revisionisti (fra i quali si contano perfino alcuni monarchici sabaudi) al lavoro inconsapevole nella fabbrica dell'eversione.
 Un cospicuo contributo alla revisione della revisione è ora offerto da Paolo Pasqualucci, autore di un magnifico, convincente saggio, Unité italienne: histoire et controverses, pubblicato nel n. 124 (estate 2014) della prestigiosa rivista "Catholica".
 Pasqualucci non nega l'ispirazione anticlericale di alcuni attori del risorgimento e tuttavia sostiene, con argomenti inoppugnabili, che l'unità politica è un bene dalla cui storica mancanza gli italiani ebbero secolari sciagure e brucianti umiliazioni.
 L'ideologia disunitaria, oltre tutto, è alimentata da una insufficiente e talora tendenziosa/fuorviante  lettura della storia italiana pre-unitaria.
 Saggiamente Pasqualucci, prima di entrare nel vivo dell'argomento, rammenta i fatti non conosciuti o non seriamente considerati dai denigratori dell'unità.
 Ad esempio, rammenta che l'inizio dell'infelice storia disunitaria ha lontana origine dalla megalomania di Giustiniano "l'imperatore d'Oriente che voleva riconquistare tutto l'Occidente senza disporre della necessaria forza militare".
 La lunga e spietata guerra (d'intonazione reazionaria, diremmo oggi) condotta dai Bizantini contro i Goti (535-553) fu vittoriosa ma avvelenata dall'abolizione delle sagge riforme attuate dal re Totila in vista della formazione di una classe di piccoli proprietari terrieri.
 La fittizia e fragile unità stabilità in Italia dai generali bizantini Belisario e Narsete andò in frantumi quando (568) si affacciarono ai confini orientali i Longobardi. I nuovi invasori, a differenza dei Goti "non riuscirono ad occupare l'intera penisola, benché l'Italia fosse debilitata e sconvolta dalle precedenti guerre".
 Il potere dei Longobardi disgraziatamente si stabilì sopra il sistema bizantino dei ducati, "stabilendo perfino nella mentalità degli abitanti la funesta divisione che per secoli tormenterà la nostra Patria".
 In quella congiuntura storica, rammenta Pasqualucci, "cominciarono a mettere radici quei difetti del carattere nazionale che non siamo riusciti a dominare dopo cento cinquanta anni di unità - il particolarismo, la faziosità, la mancanza di senso dello stato,  l'indisciplina, l'anarchia di fondo, il complesso d'inferiorità nei confronti degli stranieri, la mancanza di fiducia nei nostri mezzi, l'abulia".
 Pasqualucci ovviamente non nasconde la sua opinione sull'esorbitanza del potere papale: agitato dal timore che l'Italia unita diventasse un ostacolo alla sua libertà d'azione, perseguì quella estensione dello Stato vaticano che divise l'Italia in due.
 Di qui la formulazione di un giudizio del quale dovrebbero tener conto gli studiosi, che si accingono ad affrontare il problema dell'unità nazionale: "Se la Chiesa non si fosse opposta per la durata di tanti secoli, l'unità italiana (doverosamente rispettosa del Patrimonio originale di San Pietro) si sarebbe realizzata  molto prima, quando l'Europa era ancora cattolica".
 La dignità dell'Italia pre-unitaria, peraltro, è una ridicola chimera: Pasqualucci, al proposito, rammenta la vergognosa sottomissione dei genovesi al bombardiere Luigi XIV e l'attribuzione dei ducati di Toscana e di Parma a dinastie straniere.
 Infine è svelato il vero motore della passione antiunitaria, nutrita dai tradizionalisti: la contrarietà all'Italia unita "si nasconde dietro il mito del complotto massonico, causa di tutti i mali del mondo: l'unità d'Italia è il frutto di un complotto massonico dunque è cattiva in sé e pertanto deve essere annientata".
 In realtà tra le potenti nazioni europee non ci mai fu un accordo sull'eventuale unificazione d'Italia. Nelle classi dirigenti europee, nelle quali, prevalevano gli esponenti della massoneria, nessuno era favorevole all'unità d'Italia.
 Il gran maestro della massoneria, Joachim Murat, nel 1808, rammenta Pasqualucci, fu posto sul trono del regno di Napoli da Napoleone I.  "Napoleone III non desiderava l'unificazione dell'Italia, che riteneva contraria agli interessi francesi".
 Dal suo canto il governo inglese non desiderava l'unificazione italiana, un evento che avrebbe fatto emergere un potenziale concorrente nel Mediterraneo.
 Pasqualucci rammenta inoltre che, agli occhi della gioventù italiana, la massoneria era screditata a causa della servile collaborazione che gli iniziati prestarono al detestato governo di Napoleone I.
 "Forse è il momento di liberare la mente degli italiani dall'ingombrante stereotipo dell'unità quale risultato di un complotto massonico europeo contro la Chiesa e di riflettere sull'esistenza di validi argomenti alla radice dell'ispirazione dei patrioti".
 Quando al papa Pio XI fu chiaro che la Chiesa poteva coabitare con l'Italia unita caddero i sostegni di un pregiudizio ormai vivente solo nei testi di un tradizionalismo consacrato all'irrealtà.
 Quasi alludendo all'inclinazione del tradizionalismo anti-italiano alla assunzione dei pregiudizi  che hanno segregato venti anni di storia nazionale nella soffocante parentesi inventata da Benedetto Croce, Pasqualucci riconosce coraggiosamente "che il regime fascista ha ristabilito il rispetto e la protezione per la religione degli italiani: ha introdotto l'insegnamento della religione nelle scuole e riconosciuto la validità civile del matrimonio religioso"

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 L'implicito (e talora dichiarato) cedimento al dogma antifascista è la spia della debolezza in confusionaria azione tra le righe della cultura anti-unitaria.
 Le scuole di pensiero (laiciste, clerico-progressiste, post-comuniste e iniziatiche) invitano a calunniare la vera tradizione degli italiani ed esibiscono il mostro fascista, quale giustificazione inoppugnabile della inaccetta-+bilità dell'intesa tra Italia unita e Chiesa cattolica.
 Di qui il vento impetuoso che gonfia le vele della chiacchiera europeista a destra, fruscio che avanza imperterrito nella direzione indicata dai nichilisti (pensatori e banchieri) attivi nell'America post-sessantottina.
 Il tentativo di formulare un equilibrato giudizio sul fascismo (ma sarebbe meglio dire sulle diverse culture del fascismo italiano) in questa sede sarebbe fuori luogo.
 Opportuno è invece ragionare sullo scivolamento di alcune scuole d'indirizzo tradizionale verso il disprezzo astioso della storia l'Italia e l'orrore per tutto ciò che è vagamente riconducibile al mostruoso, intoccabile fascismo.
 Si tratta di uno stato d'animo ubriacante e disorientante, che fu inoculato dal Pci  (si pensi all'infame lettera di Togliatti sui soldati italiani prigionieri nel Gulag sovietico e alla dichiarata condivisione della rivendicazione titina di Trieste) e rafforzato dalla sinistra europeista e dal radical-chic.
 Non si avvia la legittima critica degli errori presenti nelle culture del fascismo, non si tenta, ad esempio, la confutazione del neo-idealismo e dell'esoterismo - ma si propala un ottenebrante giudizio di stampo manicheo, che insieme all'acqua sporca (gli errori) getta il bambino (l'unità d'Italia rafforzata dai Patti lateranensi).
 Chi  ascolta le voci flebili dei vescovi cattolici di scuola buonista, è in grado di misurare il pericolo rappresentato dalla dialettica sonnambolica, che oppone i papi cattivi (Pio XI e Pio XII, anti-modernisti, accusati di filo-fascismo) ai papi buoni, che abbandonarono - alla luce abbagliante dell'ecumenismo e/o del mondialismo - la tradizione che l'urlo da sinistra giudicava inquinata dall'amor di Patria, condiviso (ohibò!) con i fascisti. 
 Nella predica dei tradizional/buonisti l'opportunistica avversione all'amor di Patria (contaminato dall'orrendo fascismo) circola inavvertita nei pensieri di coloro - i normalisti - che non sono capaci di misurare il grado di decomposizione raggiunto dal progressismo cattolico.

 Il pregevole saggio di Pasqualucci indica una via d'uscita dalle contraddizioni, che tormentano, vanificano e paralizzano le buone ragioni della scuola tradizionalista e della politica italiana.

Piero Vassallo

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