venerdì 1 agosto 2014

Adriano Olivetti, magici abbagli sulla socialità

Un geniale e instancabile studioso italiano, Valentino Cecchetti, nel 2007 ha pubblicato "Il socialismo magico in Giacomo Noventa e Adriano Olivetti" e  nel 2012, per i tipi dell'editore Marco Solfanelli, "Giacomo Noventa. L'errore della cultura italiana", due saggi che svelano il curioso accoppiamento di scienza illuminata e caliginoso magismo nell'ideologia riformatrice elucubrata dai promotori del movimento "Comunità".
 A indiretta conferma delle tesi di Cecchetti esce ora, nella collana "micromegas" delle edizioni Solfanelli, un saggio di Mario Sammarone, "Il mito della sociologia. Intervista a Franco Ferrarotti", in cui si legge la puntuale ammissione dell'influsso di abbacinanti suggestioni misteriche e di striscianti mitologie regressive nella scuola sociologica di Ivrea.
 Ferrarotti, erede e interprete del pensiero di Olivetti, infatti, misura la tecnica sul metro del  pensiero volante verso le nuove e doppie frontiere della rivoluzione.
 All'intervistatore, che gli ha proposto un paragone tra il movimento di Olivetti e il futurismo, Ferrarotti replica indicando il versante umbratile della tecnologia: "Marinetti ha scritto qualcosa: esaltava la macchina con le sue qualità, tuttavia non si rendeva conto della disciplina della macchina. Certo, il momento dell'innovazione tecnica ti rende più libero, basti pensare all'introduzione delle macchine nei lavori dell'industria o dell'agricoltura che sollevano l'uomo dalle fatiche, per non parlare delle performances ed emancipazioni della vita pratica che un telefono cellulare consente. Ma nello stesso tempo la macchina ti svuota, ti impoverisce dell'esperienza, l'esperienza che è propriamente umana".
 Accertata l'invasività dell'esperienza tecnocratica, Ferrarotti indica la via d'uscita nella critica radicale al sistema capitalistico: "Il modo di produzione capitalistico è la massimizzazione del profitto nel più breve tempo possibile. Ora fin quando avremo del profitto una concezione riduttiva, per cui esso si traduce soltanto in un vantaggio monetario che attraverso i dividendi va ad alimentare i conti in banca degli azionisti privati, fino a quando noi riterremo che i dirigenti industriali e gli operatori finanziari abbiano come unico termine di obbligazione etica la remunerazione degli azionisti privati, il cosiddetto private banking, evidentemente avremo questa spasmodica tensione verso l'aumento della crescita indipendentemente dal profitto".
 A prima vista l'obiezione di Ferrarotti al capitalismo frenetico e vampiresco appare in qualche modo compatibile con le idee esposte da Pio XI nell'enciclica Quadragesimo anno, indicazioni recepite dalla scuola costituita nella Normale di Pisa da Giuseppe Bottai e Carlo Costamagna.
 Se non che Ferrarotti indica una diversa e non razionale fonte del progetto di riforma economica da lui concepito in continuità con il pensiero di Olivetti: "Come uscire da tutto questo?" si domanda. E indica la fonte ideologica di un radicale progetto di rivoluzione: "l'opera di Georges Bataille può offrire notevoli spunti di riflessione. Georges Bataille era uno scrittore francese [in realtà un surrealista, furente/ripugnante pornografo, autore de "L'ano solare", opera di un depravato che riuscì nella non facile impresa di scandalizzare Jean Paul Sartre, che di Bataille propose la caricatura feroce che si legge nella raccolta Le mur, ndr] che si interessò di economia politica e negli anni Cinquanta produsse un poderoso studio sulle civiltà storicamente determinate alla luce del problema della produzione eccedente. Rileggere oggi la sua opera può mostrare inedite prospettive di sviluppo, che possono far dirottare le forze più sane della società - forze che malgrado tutto hanno portato alla creazione di questa civiltà e quindi forze molto potenti - verso sbocchi di maggiore armonia sociale e coesione tra gli uomini".
 Quale segreta forza spinga uno studioso della statura di Ferrarotti ad attingere nella pozzanghera di Bataille non è dato sapere. Certo è che la dottrina economica di Bataille si riduce a un rovente/devastante delirio regressista: "Secondo lo scrittore (afferma Ferrarotti) l'umanità e il suo pianeta, l'organismo vivente, hanno una quantità di energia disponibile superiore alla necessità di sostentamento e la crescita economica avviene quando c'è un eccedente di produzione. Ogni società ha utilizzato questo sovrappiù di ricchezza in maniera peculiare trasformandola in caratteristica struttura sociale: il surplus produttivo e il suo utilizzo sarebbero la matrice più riposta di ogni civiltà a cui Bataille da appunto il nome di parte maledetta".
 Bataille rammentava che le popolazioni più antiche della terra "dissipavano questa eccedenza attraverso il potlac, un mezzo di circolazione di risorse che avveniva durante una festa attraverso la dissipazione - la dépense come direbbe Bataille - di una enorme quantità di ricchezza". 
 Animati da tale convinzione i capi degli antichi clan potevano far distruggere un intero raccolto "al fine di umiliare i capi rivali per manifestare così la loro superiorità".
 Il rito demenziale celebrato dai megalomani al potere in alcune tribù antiche dunque è proposto quale criterio atto a preparare la soluzione dei problemi posti dal capitalismo.
 Bataille si spingeva fino al punto di esaltare la società degli Aztechi che "ogni anno sacrificavano migliaia e migliaia di uomini in un'ecatombe offerta al dio sole".
 La decrescita dell'economia mediante lo spreco e il sacrificio umano in definitiva sono proposti quali correttivi al capitalismo.
 Sembra che Ferrarotti, benché dotato di uno sguardo penetrante, non veda che la soluzione proposta da Bataille coincide con il piano regressista/tanatofilo, concepito e portato avanti dal più infame e tenebroso capitalismo/mondialismo, la mostruosa macchina politico-finanziaria, che ultimamente promuove la dolce decrescita, una disgraziata, feroce utopia, che contempla il sacrificio - l'ecatombe, il potlac - di milioni di nascituri e di giovani coinvolti in guerre insensate.

 La tranquilla e dotta circolazione del delirio neo-ideologico completa uno scenario incuboso, segnato dai bagliori (apocalittici?) delle guerre, delle spaventose epidemie e della indomabile crisi economica.

Piero Vassallo

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