giovedì 3 luglio 2014

La persecuzione dei lefebvriani. In un saggio di Paolo Pasqualucci

Un saggio di Paolo Pasqualucci

La persecuzione dei lefebvriani


Movente del Vaticano II è la volontà di abolire la storia del cattolicesimo, identificata nella detestata e odiata raccolta, compiuta da Denzinger, delle sentenze emanate dai Concili anteriori al Vaticano II e dalla legittima autorità ecclesiastica.
                                                                                                                               Jean Madiran



Gli imperiosi esponenti del partito internazionale ateista aspergono incenso dolce e untuoso sulla martellante richiesta, indirizzata al Vaticano, di isolare e sconfessare, con surrettizie argomentazioni, le pagine, a loro avviso, più rigide e urticanti dei libri sacri e del magistero cattolico.
Gli eredi di Nerone, di Tigellino e di Poppea non esigono più la consegna dei libri (il tradimento pubblico e sfacciato) tantomeno infliggono le orrende torture, che scandalizzarono perfino Tacito, ma impongono al clero la fedeltà all'esegesi buonista/modernista della Sacra Scrittura.
A versare il sangue dei cattolici intanto provvedono i pii testimoni dell'ecumenismo islamico applaudito a New York, ad Assisi e ultimamente nella Città del Vaticano.
I maestri del nuovo e radicale paganesimo, gli onusiani, progettano la dolce emorragia del pensiero cristiano e la messa al margine dei fedeli, che affermano impavidi le verità di sempre.
La Chiesa cattolica si divide, di conseguenza, tra la stordita folla degli ecumenici festanti e l'angosciata/diffamata pattuglia dei tradizionalisti.
Stretti tra la folla delle sirene compromesse e dei rari guardiani dell'ortodossia, i fedeli domenicali sono costretti a scegliere tra il rumoroso cedimento alla teologia mondana, e la deplorata e irrisa fedeltà alla dottrina di sempre.
L'applauso al progresso teologizzante scroscia dagli spalti occupati dagli incensatori del feticcio Vaticano II e dalle piste battute dai tradizionalisti fittizi e/o dimezzati, che fanno scivolare la loro mente bicamerale negli ambulacri vaselinosi consigliati da una truccata bussola.
La minoranza irriducibile alla nuova teologia, invece, sta organizzando le linee di difesa dall'eresia strisciante nei discorsi dei teologi, che si affacciano alle applaudite finestre del pensiero giornalistico.
Ora la prima barriera elevata in faccia all'errore irrazionalista, incautamente lasciato correre nei documenti del Vaticano II, è la filosofia del senso comune, oggetto degli studi di padre Cornelio Fabro e di mons. Antonio Livi, motore dei preambula fidei e antidoto agli errori in folle discesa sul taboga teologico dell'incontro spensante.
Dopo la filosofia del senso comune si vorrebbe che i cattolici conoscessero il Catechismo di San Pio X, pilastro incrollabile della vera fede.
Di seguito si suggerisce di considerare seriamente l'argine elevato dal card. Giuseppe Siri e da padre Julio Meinvielle contro la suggestione neognostica, che ha conquistato/radicalizzato il già infetto cuore della modernità, mettendo in mora le pie illusioni del Vaticano II intorno all'autocorrezione degli eretici e degli ideologi moderni.
Infine è indispensabile la conoscenza degli abusi compiuti durante e dopo il Concilio Vaticano II per assolvere gli errori condannati dall'enciclica Humani generis di Pio XII e per mettere fuori gioco i seguaci di mons. Marcel Lefebvre. Come scrive Paolo Pasqualucci, infatti, "la Fraternità Sacerdotale San Pio X rappresenta oggi l'unica istituzione cattolica che sia rimasta fedele alla vera dottrina e alla vera pastorale della Chiesa".
La rivendicazione dell'ortodossia cattolica della Fraternità San Pio X è un'attività alla quale si dedica, da alcuni anni e con vera competenza, l'emerito professore di filosofia del diritto Pasqualucci, un autentico erudito, del quale l'impavido editore Marco Solfanelli pubblica, in questi giorni, un saggio intitolato La persecuzione dei Lefebvriani ovvero l'illegale soppressione della Fraternità sacerdotale san Pio X.
Pasqualucci dimostra che, per iniziativa del clero modernizzante, umiliato dalla crisi delle vocazioni, allarmato dalla rarefazione dei fedeli praticanti e irritato del successo che arride alle comunità tradizionali, "Sulla Fraternità circolano a tutt'oggi i pregiudizi più assurdi, che finiscono col tener lontani tanti fedeli delle S. Messe celebrate dai suoi sacerdoti così come dagli Esercizi spirituali ignaziani che essi impartiscono con il metodo tradizionale dei cinque giorni separati per uomini e donne".
Ora i sospetti diffusi con arte da giornali curiali e/o scandalistici, non hanno fondamento, poiché la Fraternità è stata costituita con i crismi del diritto canonico: infatti "gli Statuti della Fraternità Sacerdotale S, Pio X furono approvati in data 1° novembre 1970, da mons. Charrière, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo in Svizzera, nella cui diocesi veniva a sorgere la nuova entità. La Fraternità è nata perciò con tutti i crismi del diritto canonico e in modo perfettamente regolare".
Il successo dell'apostolato condotto da mons. Marcel Lefebvre fu immediato al pari del malumore della gerarchia progressista, che assisteva al successo di un vescovo passato indenne attraverso le rovinose/contagiose novità introdotte dai progressisti.
L'undici novembre del 1974 furono inviati nel Seminario fondato da mons. Lefebvre a Ecône, due visitatori apostolici, agitati dalle suggestioni della teologia modernizzante, i quali "provocarono vivo turbamento tra i giovani. Dissero che si sarebbero fatalmente giunti ad ordinare delle persone spostate, che la Chiesa non era l'unica depositaria della verità, che la Resurrezione di Nostro Signore non era una certezza".
Immediatamente mons. Lefebvre reagì all'aggressione diffondendo un documento nel quale "si affermava con estrema chiarezza e precisione il seguente concetto: noi non possiamo prendere parte alla presente demolizione della Chiesa, resistiamo e ci opponiamo alla novità distruttiva".
Di seguito mons. Lefebvre fu convocato a Roma per ascoltare la dura reprimenda dei cardinali Garrone e Tabera, che lo accusarono di "voler fare l'Atanasio" [quasi che l'imitazione del Santo che fu vittorioso contestatore dell'eresia di Ario fosse una colpa].
In data 6 maggio 1975 la Fraternità San Pio X e il Seminario furono soppressi del vescovo di Ecône, Mamie, successore di mons. Charrière. La decisione era motivata dal rifiuto di mons. Lefebvre di accettare talune dichiarazioni conciliari e di celebrare la Santa Messa secondo il rito stabilito da Paolo VI.
Pasqualucci, navigando con ammirevole perizia nel mare del diritto canonico, al proposito rammenta che: "Qualsiasi istituzione religiosa, anche di diritto diocesano, una volta legittimamente fondata può essere soppressa solo dalla Santa Sede".
Il card. Tabera, in una lettera indirizzata al vescovo Mamie scriveva invece: "Vostra Eccellenza aveva piena autorità per revocare l'approvazione inizialmente accordata []alla Fraternità]".
Oltre tutto "la soppressione della Fraternità e del Seminario doveva ritenersi illegittima perché non era provocata da irregolarità o abusi di potere o errori dottrinali ... le uniche patologie ammesse dal diritto per legittimare la soppressione di una societas o di un istituto religioso. La Fraternitas veniva soppressa unicamente per ripicca contro le opinioni espresse dal fondatore".
Pasqualucci rievoca la lettera indirizzata da ventotto sacerdoti francesi a Paolo VI, nell'agosto del 1976: Nel procedimento che ha condotto all'attuale drammatica situazione, molti constatano che è impossibile riconoscere le norme di una procedura regolare.
Per citare solo un punto: non si può che essere estremamente sorpresi nell'apprendere che il rapporto della visita al Seminario di Ecône nel novembre 1947 non è mai stato fatto conoscere al superiore della stessa [Lefebvre]".
Nel maggio del 1975, Lefebvre scrisse a Paolo VI: "Quando penso alla tolleranza di cui Vostra Santità dà prova nei confronti dei vescovi olandesi e di teologi come Hans Kung e Cardonnel, non posso credere che le crudeli decisioni prese nei miei confronti provengano dalla stessa persona".
Paolo VI rispose rimproverando Lefebvre per aver osato contestare "un Concilio come il Vaticano II, che non ha minor autorità, che per certi aspetti è persino più importante di quello di Nicea".
L'avversione a Lefebvre, in definitiva, dipende dalla stima eccessiva prestata al Vaticano II, giudicato addirittura più importante del concilio di Nicea.
Per mantenere fermo il giudizio sulla sovra eminenza del Vaticano II, il pontefice, che aveva visto il fumo di satana in festosa uscita dall'aula conciliare, tentava di isolare la minoranza irriducibilmente fedele alla tradizione cattolica.
Il saggio di Pasqualucci mette finalmente in chiaro la fragilità delle procedure alterate da Paolo VI (e ancor più da Giovanni Paolo II) al fine di delegittimare la Fraternità fondata da mons. Lefebvre. Legittimità che Benedetto XVI ha riconosciuto apertamente.

La minoranza che rappresenta la Fede invincibile vive nella Chiesa nonostante la persecuzione attuata dagli interpreti di una teologia piegate sulle tossiche illusioni della modernità. E offre un contributo decisivo alla soluzione dei problemi che assillano gli uditori cattolici delle parole messe in libertà da un clero compromesso con i pensieri e indulgente con i vizi della agonizzante modernità. Il saggio di Pasqualucci dimostra che il cedimento all'errore è accompagnato da una sistematica violazione del diritto canonico.

Piero Vassallo


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