mercoledì 30 luglio 2014

Autoritratto gnostico di un postmoderno a destra

"Taccuino di Talamanca", contraddizioni di una destra adelphiana

Autoritratto gnostico di un postmoderno a destra

 Quale curioso esempio di destino disfattista, Giano Accame citava la vicenda di un romanzo borbonico, “L'alfiere”, scritto da Carlo Alianello per celebrare l'eroismo dei resistenti a Garibaldi ma pubblicato nel 1944 dai comunisti infeudati nella casa editrice Einaudi, al fine di potenziare nell'animo dei repubblichini la rassegnazione all'inevitabile sconfitta.
 Parallelo alla fortuna di Alianello fra i fascisti perdenti è lo sconsolato entusiasmo, suscitato nei notai della capitolazione a destra da Emil Cioran (Rasinai 1911 - Parigi 1995), filosofo ultra nazista approdato al nichilismo puro attraverso il corridoio dell'antifascismo di circostanza.
 Con un’abiura scherzosa e acrobatica (“La Guardia di ferro passava  per una sorta di rimedio a tutti i mali, compresa la noia e perfino lo scolo”) e con una disinvolta auto assoluzione (“A quei tempi ho provato di persona come si possa cedere a una infatuazione senza essere minimamente convinti”) Cioran si era scrollato di dosso la scomoda e pericolosa nomea del militante nell'estrema destra rumena.
 Cioran, quasi per ingraziarsi il potere culturale, sosteneva di aver aderito alla Guardia di ferro in odio a re Carol: “cominciai a interessarmi a quel gruppo, e poiché combatteva la persona che odiavo di più al mondo, cioè il re, lo presi in simpatia”.
 Lo sguardo umoristico sulla destra di Romania non impedì a Cioran di scrivere, nel 1937, un rovente saggio razzista, "Trasfigurazione della Romania".
 A scanso di indesiderati compromissioni con il passato e di attriti con il potere culturale vincente, Cioran dichiarò che, a suo giudizio, il filosofo del movimento di Codreanu, Marin Stefanescu, era mezzo pazzo: “Faceva dei discorsi così: «Nessun essere cosciente può essere comunista. Platone era cosciente, quindi non poteva essere comunista». Ragionamenti assurdi, di cui deridevo la follia”.
 Cioran nel dopoguerra non fu del tutto infedele alle malsane suggestioni emanate da quel fanatismo teutonico, che ultimamente agita la sinistra postmoderna e no global: l’ecologismo forsennato (“la cultura e la civiltà non sono necessarie … un animale può essere più profondo di un filosofo”), e il culto della barbarie, “la nostalgia della barbarie è l’ultima parola di ogni civiltà… la follia [nazista] per quanto grottesca abbia potuto essere, testimoniava in favore dei tedeschi. Non dimostrava forse che essi erano i soli in Occidente ad aver conservato ancora qualche traccia di freschezza e di barbarie?”.  

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 L’influsso di Cioran nella neodestra, iniziò nel 1969, allorché le edizioni del Borghese pubblicarono "Storia e utopia", crebbe nel 1972, anno in cui fu pubblicato nella prestigiosa “Nouvelle Revue Française”, un incantevole saggio “dove dichiaravo ex abrupto che la rivoluzione francese, la cosiddetta Grande Rivoluzione era assurda anzi era stata estremamente nociva. La stessa opinione per quanto riguarda la rivoluzione russa”, e diventò irresistibile negli anni Ottanta, quando la ubiquitaria Adelphi cominciò ad editarne l'opera omnia. 
 Il pensiero di Cioran fu accolto come avvertimento della necessità d'insinuare il pessimismo radicale tra le righe della cultura della destra nuova e aggiornata ossia di propiziare un deciso allontanamento dalla tradizione religiosa degli italiani, che uno sbrigativo e abbagliato giudizio dichiarava ormai prigioniera dell'ottimismo progressista.  
 Le coscienze turbate e impazienti, che, durante gli anni Settanta, frequentavano i circoli di una destra sconcertata e desolata dal progressismo postconciliare, infatti, furono elettrizzate e quasi fulminate dalla lettura di Cioran.
 Iniziò allora una fase di riflessioni febbrili e disordinate, intese a collocare l’anticomunismo in un  orizzonte illuminato dall’idea della storia come conseguenza di “una caduta irreparabile, di una perdita che niente può colmare”.
 In vertiginoso equilibrio tra erudizione e civetteria auto-denigratoria, Cioran intanto frequentava il salotto iniziatico, luogo venerato dal margine destro perché vi  si delibano le squisitezze guénoniane imbandite dall’editore Roberto Calasso, “un uomo eccezionale, il suo ultimo libro è di primissimo ordine, è un uomo acuto”.
 Nell'area destra nessuno si era accorto che, a cominciare dagli anni Trenta, un'agguerrita falange di pensatori in uscita dalla sinistra classica (Walter Benjamin, Simone Weil, Teodoro Adorno, Max Horkheimer, Georges Bataille, Jean Paul Sartre, Ernst Bloch, Herbert Marcuse, Max Brod,  Jacob Taubes, Maria Zambrano, Hans Jonas  ecc.) aveva usato il pensiero di Stirner, di Nietzsche e di Heidegger per affondare l’illuminismo nel gorgo dell’irrealismo gnostico.
 Nell'università di Bucarest Cioran, infatti, fu affascinato dal superomismo di Nietzsche e dal pastore del nulla heideggeriano. In Germania, dove si era recato quale titolare di una borsa di studio, respirò l'aria tossica del trionfalismo nazista. In privato condivideva il pessimismo/irrazionalismo degli amici Mircea Eliade ed Eugene Ionesco, esponenti della scolastica, che anticipava il catastrofismo ariano di Julius Evola, futuro domatore/attizzatore di tigri in corsa verso il niente finale.
 Sulla condivisione della passione di Eliade per la mistica ariana non è lecito dubitare, giacché Cioran rammentava che, per lui “l’unico momento giusto della storia è stato quello dell’India antica, quando si conduceva una vita contemplativa, quando ci si contentava di guardare le cose senza mai occuparsene”.
 L'irrazionalismo di Cioran, peraltro, si evince  esaminando il pittoresco fastello di autori eterogenei e incompatibili, ai quali il pensatore rumeno attribuiva influssi decisivi nella formazione babelica del suo pensiero: Meister Eckhart e Teresa d’Avila, Nietzsche e Edith Stein, Heidegger e Kierkegaard, Leopardi ed Ignazio da Lojola, ecc..     
 Alla fine Cioran ha trovato denti adatti alla masticazione dei suoi piatti. Marcello Veneziani, raffinato notaio del tramonto a destra, ha infatti riconosciuto che [nelle opere di Cioran] "vedi lo spettacolo dell'intelligenza in rotta col mondo e la vertiginosa ebbrezza del cupio dissolvi, vedi l'allegria del naufragio e perfino l'umorismo che si nutre di umor nero".
 Pubblicata nel 2011 per i tipi di Adelphi (casa editrice nata dalla costola nicciana della Einaudi) il "Taccuino di Salamanca" di Cioran, costituisce un’eccellente occasione per riflettere sulle cause dell'accasciamento confusionario, che trascinò la cultura della destra antimoderna al naufragio nella palude ultramoderna.
 Cioran infatti confessa la dipendenza del suo irrazionalismo dalla ruggente avversione degli eretici alla verità rivelata dal Verbo: "Credo insieme allo gnostico Basilide, che l'umanità debba rientrare nei suoi limiti naturali, facendo ritorno a un'ignoranza universale, autentico segno di redenzione".
  Un segnale forte dell'influsso esercitato dallo gnosticismo nel pensiero di Cioran si vede nella pagina del Taccuino, in cui è citata una leggenda catara, che narra un Cristo estraneo al Padre: "Lucifero era stato adottato da Dio: il suo orgoglio crebbe per questo a tal punto che finì ,per ribellarsi; secondo i Catari anche Gesù era stato adottato; questo nuovo Lucifero, incapace di cadere doveva, umiliandosi, abbassandosi alla condizione umana, correggere gli effetti sinistri della prima adozione".
 Il naufragio nelle acque torbide del catastrofismo gnostico di cui fu interprete Cioran ha reso incomprensibile e indistinguibile la cultura della destra facilitando il successo della chiacchiera politichese e la prevalenza del rumore comiziale, scenari adatti  alla comica finale recitata da Fini & Bocchino. 
 In ultima analisi la riflessione su Cioran insegna che, senza la decisione di innestare la retromarcia per recuperare l'identità perduta nella libreria del delirio, il qualunque tentativo di rifondazione a destra è destinato alla comica finale. Comica che è già in scena nei raduni sparuti e acrobatici nei quali si celebrano le nozze degli errori in agitazione nel pensiero bicamerale di Cioran: "le persone di destra mi fanno disgustare della destra, quelle di sinistra della sinistra. Di fatto con un uomo di destra sono di sinistra, con un uomo di sinistra, di destra".

 Piero Vassallo

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