venerdì 14 febbraio 2014

Dalla criptopolitica all'ordine civile, il cammino della libertà

La spada di Perseo

Dalla criptopolitica all'ordine civile, il cammino della libertà

 Con scelta felice, Primo Siena, studioso scampato al penoso naufragio della destra italiana e autore del robusto e saggio "La spada di Perseo", pubblicato in questi giorni da Solfanelli in Chieti, comincia la sua riflessione politologica assumendo il punto di vista di Carl Schmitt, un autore tanto discusso quanto geniale, cui va riconosciuto il merito di aver definito, con chirurgica esattezza, il disordine generato dalla capitolazione della politica nei confronti delle mitologie intorno alla perfetta felicità in terra: "la decisione politica e morale si paralizza in un paradisiaco aldiquà, nella vita naturale e nella pura corporeità senza problemi".
 La conseguenza della capitolazione della politica è il trionfo del piacere momentaneo sulla morale e l'alluvione "di una cultura sottomessa, nella quale i valori sono ridotti a epifenomeni di un mercato che si sente libero nella misura in cui si fa libertino".
 Il naufragio del piacere nelle sabbie mobili frequentate dall'autodistruttore è il risultato finale della insensata guerra condotta contro l'ordine civile da "finanzieri americani, tecnici industriali, marxisti e rivoluzionari, anarcosindacalisti, i quali si uniscono perché finisca il dominio affatto obiettivo della politica sull'oggettività della vita economica".
 L'orizzonte della politica si rovescia nel primato dell'economia. L'autorità, che la politica tradizionale aveva esercitato in vista di una crescita integrale dei sudditi, ossia di un virtuoso augere della persona umana, si restringe all'attività imprenditoriale esclusivamente intesa a procurare momentanei e fuggevoli piaceri.
 A tale degenerazione, Primo Siena attribuisce il nome di criptopolitica, un neologismo che indica "l'espressione di poteri occulti (tra i quali, i servizi d'informazione politica e finanziaria e la criminalità organizzata a livello mondiale), che, camuffati politicamente, vanno ad occupare progressivamente gli spazi dai quali è stata sloggiata dissimulatamente la politica".
 Incatenata ai pregiudizi del pensiero liberale, la democrazia contemporanea "è stata attirata negli spazi oscuri della criptopolitica ed ha scartato il bene comune in quanto bene comunitario, per preoccuparsi solo dei beni materiali individuali", esiliando la politica nel poliverso degli affari.
 La riforma della cripto-democrazia è possibile quando si riconosca che gli organismi intermedi (famiglie, associazioni di categoria, associazioni umanitarie senza fini di lucro) sono sopravvissute al diluvio causato dalle rivoluzioni totalitarie e potrebbero "esercitare il proprio ruolo partecipativo nel modello istituzionale della società. Da qui la necessità impellente di restituire la sovranità sociale all'insieme degli organismi intermedi, nel contesto di una democrazia organica e partecipativa".
 Intriganti sono le pagine finalizzate a interpretare la tesi esposta da Dante nel "De Monarchia" quale alternativa al globalismo dominante sull'umbratile scena contemporanea. La soluzione della anomalia globalista, secondo l'autore, sarebbe la restaurazione della originaria sacralità/universalità del potere civile: "In analogia col Regnum Dei - nel quale il Re è Cristo - nel Regnum hominum il Monarca supremo è l'Imperatore in quanto vicario di Cristo nella sfera temporale, come il Papa lo è nella sfera spirituale" .
 La soluzione proposta da Siena delinea una alternativa ideale al potere dissacrante, tanto invasivo quanto gommoso, esercitato dall'ONU.
 La interpretazione della dottrina dantesca proposta da Siena, tuttavia, non è in sintonia con le conclusioni di Etienne Gilson. Nel saggio "Le metamorfosi della Città di Dio", recentemente pubblicato da Cantagalli, l'autorevole studioso della filosofia medievale, ha dimostrato, infatti, che, nel "De Monarchia", Dante, allontanandosi dalla dottrina di San Tommaso, afferma la piena autonomia del potere temporale, "ossia l'ideale di una società umana universale, che deve la sua universalità alla sua stessa temporalità".
 A sostegno del suo giudizio, Gilson rammenta che, riconosciuta la necessità dell'impero universale, Dante ne affermava l'indipendenza dal magistero ecclesiastico, vuoi perché l'impero, secondo lui, dipendeva direttamente da Dio, vuoi perché l'impero, nei confronti del sole ecclesiastico, gli sembrava simile a una luna che non deve al sole né il suo essere né la sua luminosità.
 L'analisi gilsoniana della dottrina politica dantesca mette capo a una drastica conclusione: "Con l'ingratitudine verso la fede che così spesso dimostrano gli uomini, la filosofia di Dante si appoggiava su ciò che essa doveva alla rivelazione cristiana per giustificare la propria intenzione di farne a meno in futuro".
 Puntuale è il riferimento alla filosofia di Vico, "segnata da un ottimismo di fondo protetto dalla divina Provvidenza, che vince le delusioni superficiali, essendo la filosofia della storia la filosofia dei popoli che rifiutano di morire".
 Opportuno è il richiamo al diritto naturale, "dal quale nasce il diritto positivo, nel quale si inseriscono l'autorità domestica e la stessa autorità sociale".
 Ora l’auctoritas, la disposizione a prosperare - augere - secondo il comandamento divino, fa parte della natura razionale, “cum hominibus nata est”. Vico la definisce puntualmente virtù “cognata vel nativa[1].
 Con esplicito riferimento a San Tommaso, San Roberto Bellarmino (1542-1621) affermava: "Politicam potestatem immediate esse tamquam in subiecto in tota multitudine, nam haec potestas est de iure divino, et ius nulli modo in particulari dedit hanc potestatem[2].
 Il gesuita Francisco Suarez (1548-1617), una delle fonti del pensiero vichiano, quasi facendo eco al Bellarmino sosteneva che l'autorità non appartiene al singolo (al sovrano) ma alla collettività:: “Dicendum est potestatem [civilem] ex sola rei natura in nullo singulari homine existere, sed in hominum collectione. Conclusio communis et certa sumitur ex D. Thoma ... principem habere potestatem ferendi leges quam in illum transtulit communitas[3]. “
 Nel XX secolo un autorevole collaboratore di Pio XII, l'illustre gesuita Antonio Messineo, ha definito l’autorità “un’attribuzione connessa in modo necessario con la natura dell’ente, che, possedendo quella determinata costituzione essenziale, voluta da Dio, postula uno speciale completamento o facoltà, senza cui non potrebbe sussistere[4].
 La riaffermazione di tali postulati è il dovere della scienza politica intesa a scendere, diversamente attrezzata, nel campo in cui si è consumata la disfatta della destra polifrenica e la disgraziata metamorfosi della democrazia cristiana.
 Sulle altre numerose questioni affrontate nell'ingente opera di Primo Siena sarà opportuna una riflessione e un approfondimento ulteriori da parte della redazione di Riscossa Cristiana.

Piero Vassallo






[1]     “De uno universi iuris principio et fine uno”, XCVIII.
[2]     De laicis, 6.
[3]   De legibus ac Deo legislatore, III, (De lege humana et civili, c. 2, In quibus hominibus immediate existat ex natura rei potestas haec condendi leges humanas?)
[4]     Cfr. La voce “autorità” nell’Enciclopedia cattolica, Roma, 1951, col. 479-480.

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