giovedì 27 giugno 2013

Acclamazioni neodestre al radical chic

Dal nido delle aquile cocchiere

Acclamazioni neodestre al radical chic

 Dalla lapide massiccia, che copre la neodestra finiana e bocchiniana, fanno capolino, in ordine sparso e litigante, micro associazioni di attivisti effervescenti e gruppuscoli di pensatori domenicali, radunati in vista di un'urgente rifondazione del partito radical-fascistottardo.
 Aspiranti alla corsa nella golosa arena dell'insignificanza, gli umbratili replicanti sono tormentati da un estro ecumenico, che li stordisce prima di trascinarli all'imitazione del vaneggiamento che soggiace al radical chic e all'orazione strepitosa sugli incensati palcoscenici del pensiero bicamerale, in feroce guerra contro il fascista Aristotele.
 Di qui l'obbligo di demistificare il minaccioso progetto della restaurazione finiana-bocchiniana e l'impegno a recidere le tossiche radici di un programma concepito da replicanti, che intendono svigorire e umiliare la tradizione italiana prima di sottometterla al loro delirio.
 Ora è necessario rammentare che il primo atto dell'inquinamento a destra si compì nel lontano marzo del 1974, quando una temeraria sfida al principio di identità fu suggerita ai missini da Alain de Benoist, il banditore francese della rivoluzione conservatrice.
 De Benoist era stato convocato in Roma da Armando Plebe, al fine di aggredire e capovolgere i (fino ad allora) indeclinabili e intatti capisaldi della detestata tradizione e del pensiero normale.
 L'oratoria di De Benoist toccò il cuore del disagio in circolazione fra i giovani cavalcatori di tigri evoliane e i delusi dall'inconcludente moderatismo comiziale dell'oratore Giorgio Almirante.
 La giovanile insoddisfazione diede ali al volo dei militanti nel circolo Onan & Thanatos, costituito da avanguardisti ribelli ma destinati alla preparazione della comica finale messa in scena dagli eredi di Almirante.
 Per risalire alla fonte della disfatta occorre rammentare che, nel corso della surreale radunata plebaica del 1974, uno sbigottito e spaventato Francisco Elias de Tejada rammentò agli astanti che il marchingegno esibito e lodato dal divulgatore francese era stato inventato dal tedesco Arthur Moeller va der Bruck, un interprete dilettante e temerario di Hegel.
 Finalità della rivoluzione conservatrice era, infatti, il trascinamento in politica delle coppie di opposti - Dio e anti-Dio, affermazione e negazione, bene e male, felicità e dolore, essere e nulla, azione e reazione - uniti in matrimonio nell'alto cielo dell'irrealismo hegeliano.
 Se non che, sottratto al firmamento in cui sono consentite e tollerate le dialettiche acrobazie e fatto precipitare nel rozzo mondo della politica in carne e ossa, il matrimoniale pensiero di Hegel si comportò come l'albatro di Baudelaire e barcollò ridicolmente.
 L'influsso della dottrina di Moeller van der Bruck fu pertanto circoscritta all'area degli intellettuali curiosi e avventurosi e dei politicanti deboli di pensiero.
 La trionfale apparizione sulla scena tedesca di un apparato politico conforme al sogno dei conservatori rivoluzionari - il partito nazionalsocialista - destò giustificato allarme e fece arretrare i più celebri sostenitori del progetto di Moeller van der Bruck, gli scrittori Ernst Von Salomon, Ernst Junger, Thomas Mann, Stefan George, Oswald Spengler.
 I residenti nel fratto orfanotrofio di Fini & Bocchino, probabilmente, ignorano che la rivoluzione conservatrice, sconfitta a Berlino nel maggio del 1945, si era già riversata nel protetto contenitore francofortese [1], una scuola acrobatica, allestita da acerrimi e indiscussi nemici di Hitler, che sventolavano la bandiera neopagana e gnostica dello hitlerismo.
 E' credibile che l'affinità francofortese fosse sconosciuta anche ai volonterosi precursori neodestri, ad esempio al nomade ideologizzante Jean Thiriart [2], che suggerì a Dominique Venner, la stesura di un manifesto neo-nazionalista ispirato al "Che fare?" di Lenin.
 Inconsapevole e incolore imitazione del pensiero francofortese, la neodestra francese stabilì il suo fondamento nel disprezzo del Creatore e nel rifiuto della tradizione cattolica, sul conto della quale Venner rovesciò una rumorosa e grottesca sentenza: "Derrière une façade inchangée, il y a le néant. ... La société traditionelle est un cadavre refroidi dont les oripeaux sont encore utilisé par le nouveaux maitres. Tant pis si cela est difficile à entendre, il faut etre lucide".
 Sulla strada dell'avversione chic al Cattolicesimo la neodestra francese incontrò il pederasta dichiarato e festante Pierre Gripari (1925-1990), il quale, si legge nella rivista "Le sel de la terre", "multiplie les attaques antichretiennes et antijuives, notamment dans son petit ouvrage "Le devoir de blaspheme", que la Nuovelle Droite mettra un grand zèle à réediter e diffuser".
 Bizzarra e per certi versi spassosa è la tesi del neodestro Gilles Fournier, poligrafo di stretta osservanza positivista, secondo cui la (detestata) metafisica ebbe origine in una particolare zona del globo terrestre: l'area afro-orientale, che va dal Maghreb al golfo del Bengala.
 L'intrepidezza di Fournier avanza fino al punto di affermare, in tutta tranquillità, che la filosofia fu il prodotto di un trauma psichico subito da uomini di razza inferiore (i meticci) al cospetto degli ariani: "la métaphisique est née du choc psycologique que subirent ces métis lors de l'invasion indo-européenns".
 Il disinvolto pregiudizio positivista del neodestro comandò, pertanto, l'aggiramento dell'ovvia, consolidata verità intorno all'origine greca (ossia indo-europea) della metafisica.
 Di qui un acrobatico volteggio storico-linguistico: il vocabolario dei vinti, camiti e semiti, non era adatto ad esprimere i concetti della metafisica, ma la nobile e ricca lingua d'Omero e di Eraclito offrì agli inferiori un adeguato strumento d'espressione.
 Il risultato di tale ibridazione, secondo Fournier contro natura, fu un meticciato filosofante, "un système batard, à mi-chemin entre le psychisme magico-religieux et l'esprit scientifique: l'aristotelismo et sono sous produit, la scolastique thomiste".
 Di bizzarria in bizzarria la società neodestra approdò infine alla definizione di società finalizzata allo studio e alla propaganda della metapolitica, una fumosa scienza generata dalla rilettura e dalla riscrittura della c. d. concezione europea del mondo.
 Per avvalorare il loro fantastico programma i neodestri sfoderarono un vecchio arnese del neopaganesimo e del neoliberalismo, il poligrafo Louis Rougier (1889-1982).
 Geoffroy Daubuis ha dimostrato che il pensiero di Rougier si può riassumere in due assiomi: l'immotivato rifiuto di ammettere l'esistenza di realtà che oltrepassano l'esperienza sensibile (empirismo) e la drastica negazione del soprannaturale (naturalismo).
 Il contributo scientifico di Rougier tuttavia si ridusse alla formulazione di un'avventurosa tesi su San Tommaso d'Aquino traditore dell'ariano Aristotele. Un'opinione, quella dell'incensato Rougier, sostenuta da notizie scopiazzate e deformate dalla mancanza di una seria preparazione: "l'ouvrage [di Rougier] c'est une érudition en trompe l'oeil. Rougier s'est contenté de copier par paragraphes entiers les ouvrages des specialistes".
 Uno studioso autentico, il professore Augustin Mansion (1882-1966), infatti, ha dimostrato che l'opera di Rougier è un coacervo di fraintendimenti, di argomenti arbitrariamente dedotti da testi che recitano l'opposto, di storpiature di termini filosofici, e di ridicoli capovolgimenti delle sentenze di Aristotele. Per l'assenza di serie fonti scientifiche il destino della neodestra era diventare un arnese della scolastica post-moderna. La mosca cocchiera del partito radicale di massa.
 Uno strumento tanto utile - si pensi al soccorso prestato dallo scismatico Fini al disordine intellettuale e morale - quanto disprezzato e tenuto a distanza a causa del pregresso odore di fascismo.
 In ultima analisi la figura di un movimento antitetico alla storia nazionale, la parodia dell'avanguardia.

Piero Vassallo




[1]             L'ispiratore dell'ideologia francofortese, Walter Benjamin, (1892-1940) sosteneva che i nazisti avevano rubato agli ebrei apostati (e comunisti) l'avversione al Dio dell'Antico Testamento e perciò promuoveva la fondazione di una sinistra nuova, capace di riappropriarsi della verità abusata dal nemico tedesco. Dal tale progetto ebbe inizio la trasformazione del partito comunista in partito radicale di massa.
[2]             Nella biografia di Thiriart (1922-1992) si può contemplare una metafora del pensiero neodestro: in gioventù militante comunista, durante la II Guerra mondiale Thiriart aderì all'associazione "Amis du Gran Reich Allemand", infine collaborò con l'Oas. Al riguardo cfr.: Geoffroy Daubuis, "La Nouvelle Droite, ses pompes et ses oeuvres D'Europe Action (1963) à la NHR (2002), in "Le sel de la terre", n. 60, Printemps 2007.

sabato 22 giugno 2013

Idee per il rinnovamento della politica italiana dopo il moderno

L'eredità di Luigi Sturzo

Idee per il rinnovamento della politica italiana dopo il moderno

 Nei giorni segnati dal verdetto elettorale, che ha frantumato e dissolto gli equivoci intorno alla destra polifrenica, esce dai torchi intrepidi di Marco Solfanelli "I fondamenti della filosofia politica di Luigi Sturzo", pregevole saggio di Giulio Alfano, docente di Filosofia politica e di Etica politica nell'Università Lateranense.
 Il testo di Alfano inaugura tempestivamente il dibattito sulle fonti di un pensiero politico adeguato alla tradizione italiana e perciò capace di ristabilire la giustizia cui aspira il popolo del disagio economico e dell'alienazione sociale.
 L'autore possiede in grado eminente le doti personali e le conoscenze necessarie a tracciare un cammino indirizzato alla rinascita della politica d'ispirazione cristiana e di indirizzo popolare: la salda fede in Dio, l'eccezionale padronanza della letteratura politologica, l'equilibrio nel giudicare i fatti della storia, la preziosa memoria delle testimonianze udite durante la frequentazione di protagonisti della recente storia cattolica, quali, ad esempio, il cardinale Angelini, e i professori Luigi Gedda, Aldo Moro, Raimondo Spiazzi, Antonio Livi, Francesco Mercadante.  
 Finalità della riflessione proposta da Alfano è la riforma della cultura politica "che fa dei partiti ideologici un sistema di diseguali ove il diverso tenore di vita dei dirigenti porta a un loro imborghesimento e a un allontanamento dalla base, con la conseguente difficoltà a comprendere e rappresentare le esigenze di questi ultimi".
 Il risultato di tale anomalia è la trasformazione dei partiti in partiti pigliatutto, organizzazioni autoreferenziali, nelle quali i vantaggi della casta sono regolarmente anteposti al bene comune.
 La degenerazione partitocratica, peraltro, è il risultato del "passaggio da una società omogenea, con appartenenze ben definite, ad una altamente differenziata e caratterizzata dal moltiplicarsi delle appartenenze e degli interessi", un fenomeno che causa la frammentazione del tessuto sociale e ostacola la politica intesa alla ricerca del bene comune.  
 Di qui l'obbligo di risalire alle fonti tomasiane e vichiane del cattolicesimo politico, operante nell'età moderna e di conseguenza di rivisitare le coerenti interpretazioni proposte da Luigi Sturzo in vista di un rinnovamento da attuare nel solco della nobile tradizione, che la provvidenza aveva intanto liberato dagli ingombranti gravami costituiti dall'assolutismo monarchico e del potere temporale dei papi.
 Ragione della scelta di iniziare il rinnovamento della politica da una riflessione sul pensiero di don Sturzo è "l'attualità del suo progetto e, soprattutto, della sua idea della politica, consistente nel fatto che si confrontava, già allora, col rifiuto moderno dell'idea di diritto naturale e comprendeva che tale rifiuto derivava da una malintesa idea della natura stessa dell'uomo, che viene concepita come qualcosa di esteriore alla libertà stessa, che è esasperata e posta come valore assoluto di fronte al quale vi è una sorta di vuoto ontologico e di nulla etico".
 La sfida lanciata da don Sturzo al positivismo giuridico quale fondamento della politica moderna contempla un puntuale giudizio sul mondo moderno "che ha raggiunto la sua apparente unità negando il fine naturale dell'uomo e dimenticando di subordinare la politica alla virtù".
 La proposta neotomista del sacerdote di Caltagirone contemplava, invece, la persona quale fine della società civile, "che per sua natura e origine non può non avere altra finalità se non quella di rendere possibile il perfetto sviluppo della persona umana, dato che questa, a ragione della sua natura specifica, non sarebbe in grado di perseguire altrimenti la perfezione della sua vita umana".
 Sulla traccia segnata da don Sturzo, Alfano approfondisce le obiezioni alla macchina legislativa attivata in conformità al mutilante pregiudizio laicista: "Il contrattualismo che sovente anima la giustificazione della legge, postula una situazione originaria senza doveri, esigendo, viceversa, che le regole vengano stipulate con accordi esclusivamente fondati su interessi, Fondamentalmente, c'è la concezione di una limitata razionalità come risultato di un confronto tra cittadini, considerando la politica come semplice accettazione delle procedure per la produzione delle leggi o regole, il cui contenuto va definitivo attraverso la comunicazione consensuale".
 Si costituisce in tal modo un circolo vizioso, nel quale la libertà è la fonte della legge assoluta cui essa stessa dovrà obbedire.
 La via d'uscita da un tale perpetua rotazione è la fiducia nella libertà concepita come dono di Dio finalizzato all'attuazione della legge naturale.

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 Opportunamente Alfano ricorda che "don Sturzo si confrontava anche con le diseguaglianza economiche proprie del passaggio dal vecchio al nuovo secolo e con la diffusione dell'ideologia socialista e massimalista e la contemporanea evoluzione di quello liberale dello Stato democratico i cui obiettivi erano quello dello sviluppo dei valori di solidarietà e cooperazione".
 Da tale presa di coscienza discende l'affermazione del principio di solidarietà, che diventa il terzo pilastro dell'autentica democrazia, accanto a quello di libertà e uguaglianza.
 In vista di una riforma dell'ideologia liberale, dominante nei primi anni del xx secolo, il pensiero di Sturzo accoglie, infatti, l'insegnamento di Leone XIII (che propone una convergenza tra capitale e lavoro) e i commenti del Beato Giuseppe Toniolo alla lezione del grande pontefice.
 Attuale è altresì il contributo di don Sturzo al chiarimento del concetto di nazione termine "che indica una popolazione che abbia sperimentato per parecchie generazioni una comunanza di territorio, lingua, cultura, economia e storia tale che i membri ne abbiano una coscienza precisa".
 Pertanto il carattere di vero risorgimento prima che all'impresa liberale compete "alla partecipazione vera delle masse popolari ai processi storici, da protagonista"
 Negli scritti di don Sturzo, infine, si possono cogliere i criteri di una ragionevole opposizione all'assistenzialismo statale, incautamente promosso da La Pira e condiviso dai principali esponenti dalla sinistra democristiana. Il fondatore del partito popolare, non era per principio contrario all'intervento dello stato nell'economia ma "poneva alla base di ogni comportamento umano un'estrema moralità, che non sempre si sarebbe mantenuta in seguito: la partitocrazia ... induceva alla corruzione e quindi all'immoralità, che non è caratterizzata solo dallo sperpero del denaro pubblico ma da ingiusti sistemi fiscali, da clientelismo, dall'abuso della propria influenza politica nel ruolo che si occupa nell'esame dei concorsi pubblici o anche nell'assegnazione di appalti".

 L'attualità di don Sturzo, in definitiva, dipende dal transito nella seconda repubblica dei vizi della prima repubblica e dal simultaneo abbandono delle virtù possedute, malgrado tutto, da alcuni banditori di errori, ad esempio da La Pira.  

Piero Vassallo