lunedì 8 aprile 2013

Recensione a UN TRENO NELLA NOTTE FILOSOFANTE (di Maria Luisa Bressani Ferrero)

Un treno nella notte filosofante di Piero Vassallo (Solfanelli – Chieti, casa editrice cattolica) è un libro da stroncare? Un fatto più che raro nella cultura del consenso però, prima di leggerlo, mi hanno raggiunto “rumors” sulla degenerazione dei costumi (di cui si parla nel libro), inclusa omosessualità, pederastia, fin sacrifici rituali, roba di cui comunque siamo avvertiti dalla diffusione di sette sataniche. Roba quindi di cui, per prevenzione, si dovrebbe discutere. Né ci sono descrizioni spinte come nei boom editoriali di libri osé, al punto che  per la sua Madame Bovary (1857) Flaubert rispose: “C’est moi”.
C’illuminano queste parole di un personaggio del libro (scritto in forma di romanzo): “Stanno lavorando per ridurre il papato in completa balia del potere laico. L’obiettivo è una chiesa nazionale, ridotta a pittoresca cerimonia e farsa. Ci manca che eleggano vescovi dichiaratamente omosessuali”. Questa discussione (p. 144) segue al ripristino del potere temporale dei Papi, ma include anche “l’umiliazione del cattolicesimo come parte del programma comunista”. Nel romanzo l’accenno è ad una comunità di Entità, preposte alla rieducazione di persone fatte prigoniere durante un viaggio in treno. Ne conseguono alcune considerazioni: “Chi ha messo i comunisti sulle cattedre dei licei e delle università? Palmiro Togliatti ha ricevuto l’investitura in una banca massonica. I giovani, scarpe di gomma, tamburi di latta e testa rombante eseguono a puntino i piani eleborati in alta sede..., la persecuzione alla Chiesa è ignobile ma vantaggiosa. I rivoluzionari si sono arricchiti saccheggiando i beni ecclesiastici.” Fin qui siamo nella storia abbastanza nota, però a questo punto scatta il pensiero controcorrente del filosofo-storico Vassallo. Ci ricorda quanto sia ingannevole il trionfo della Russia sovietica e come sia già cominciata l’ora di un altro seduttore, della Germania. Obietta un personaggio del libro: “Ma la Germania ha perduto la guerra”. Replica: “Quella delle armi. La guerra riprenderà dopo la fine della Germania nazista che avrà bruciato la sua miglior gioventù. Si faranno avanti gli intellettuali, i figli dell’ignavia, quelli che il gergo delle caserme definisce ‘vaselina’. La Germania diventerà capitale della perversione”. Arriva poi questa conclusione: “Gli scrittori gnostici (ontologia negativa che genera il culto di eroi negativi e dei popoli viziosi) hanno esaltato ‘cainiti, sodomiti, egiziani’. Alla luce di questo precedente l’adesione al razzismo germanico rappresenta l’incontro dell’ontologia negativa con l’etica dei distruttori”. Come non bastasse a fine libro un personaggio ricorda Padre Pio che denunciò “il lupanare, vero fomite dei mali presenti”.
Un altro gli ribatte: “Il lupanare o la banca? Vedi una differenza tra le due strutture parallele?”, e siamo nell’attualità che ci preoccupa. Nel romanzo s’insiste, chiedendosi se l’imprenditore d’Arcore, avendo vinto le elezioni, riuscirà a produrre cambiamenti positivi e se si debba far festa. Risposta: “Mezza festa. L’economista ‘ineconomico’ è dietro l’angolo e si chiama Mario Collinari, l’arnese di Giorgio Salernitano”. Una chiave di lettura del libro infatti è seguirne la satira, decifrando nella storpiatura ad arte nomi noti.
C’è anche una parte autobiografica. Si può ipotizzare Vassallo stesso in uno dei due studenti squattrinati  che vanno a conoscere a Roma il barone nero, di cui non è scritto il cognome Evola, ma solo i nomi di battesimo e di cui viene ricordata la propensione  per studi esoterici. (Evola scrisse dal 1920 al ’74 della morte, appellandosi al Tradizionalismo che implicava una società spirituale, aristocratica e gerarchica). Si può ipotizzare che Vassallo, poi docente di Teologia, si identifichi anche con don Sergio (bella figura di sacerdote degli umili) quando da scolaretto delle elementari si appassiona alla fede e alle domande che questa porta con sé. Nel romanzo tanti i nomi dei filosofi, i grandi e i devianti: ci vuole molta cultura per leggere. Vassallo non mette note d’ausilio e, a voler capire bene, si devono consultare libri per ricuperare un po’ di quel sapere che in lui sembra innato ma gli viene da una vita di studio.
Ci si può però abbandonare alla lettura secondo il piacere dell’intelligenza, di battute fulminanti come dello studioso ed amico Francesco Grisi (morto a Todi nel 1999): “Il vino scaccia l’olio santo” (cioè allegria fa rima con malinconia); o come un’altra sul popolo degli sciatori, ormai dediti alle scioline, in quanto il nostro tempo è di “discendenti universali”. In alcune pagine uno spirito di autentica poesia. Poesia anche del paesaggio se questo si configura in luoghi dell’infanzia come la mitica Salita della Rondinella.

Maria Luisa Bressani Ferrero

sabato 6 aprile 2013

VASSALLO ROMANZIERE CATTOLICO? (di Lino Di Stefano)

 La risposta è positiva se pensiamo che con l’ultimo lavoro dello studioso genovese – ‘Un treno nella notte filosofante’ (Solfanelli, Chieti, 2013) – ci troviamo al cospetto di un libro politico-filosofico che, in sostanza, è un romanzo ‘sui generis’, visto che esso, come suona il sottotitolo, discute della ‘Cronaca d’un viaggio tra incubo e teologia’. I fatti narrati si presentano chiari ed inequivocabili poiché, all’improvviso, il protagonista principale, Simeone, sotto mentite spoglie l’Autore, viene a trovarsi coinvolto in una serie di complicate, assurde e dolorose vicende; e ciò, proprio nel momento in cui intraprende un viaggio per un Convegno filosofico a Venezia e, precisamente, quando le vetture vengono, per uno sciopero, instradate su un binario morto.
 Simeone e gli altri viaggiatori hanno la possibilità di dialogare su varie questioni, ivi comprese quelle politiche e speculative – come, ad esempio la ‘res cogitans’ e la ‘res extensa’, o Guénon convertito all’Islàm – intervallate da altre considerazioni di vario genere, mentre entrano in ballo, di volta in volta, i tanti interpreti degli eventi, ad iniziare da Chiara che Vassallo riesce a ben delineare in tutte le sfaccettature caratteriali, umane e spirituali.
 Ad un certo punto della discussione, l’argomento cade sul cosiddetto ‘barone nero’ - al secolo Julius Evola, celebre filosofo, pittore, dadaista ed esperto di problemi filosofico-esoterici – e Chiara chiede a Simeone se conosce l’autore di ‘Introduzione alla magia’ (1971); l’interlocutore risponde non solo di conoscerlo, ma anche di averlo frequentato in tempi lontani, esattamente agli inizi degli anni Cinquanta. Simeone, non si lascia pregare e racconta, per filo e per segno, da una parte, le peripezie, per raggiungere Roma – siamo nel primo dopoguerra – e, dall’altra, i contenuti del colloquio col filosofo abitante, fino alla morte, “in un edificio d’età umbertina”, secondo Vassallo, in Corso Vittorio Emanuele II.
 Anche se personaggio stravagante, il filosofo, insuperabile traduttore, tra l’altro, de ‘Il tramonto dell’Occidente’ di Spengler, accetta il confronto con Simeone e il suo giovane amico, Stefano, discettando di vari temi, citando le proprie pubblicazioni, e non nascondendo, alla fine, la propria avversione per Aristotele. La discussione, aperta ad altri protagonisti, si infiamma e vengono fuori la modernità ‘circense’, il motivo ‘cavalcare la tigre’, ‘la rivolta contro il mondo moderno’, tutti cavalli di battaglia del pensatore dadaista, unitamente al tema della romanità che un professore, che partecipa alla discussione, ascrive solo a S. Tommaso e a Giotto, in netto contrasto con lo spirito germanico privilegiante Lutero, Boheme e Hoelderlin.
 Frattanto, per uno sciopero che inizia a mezzanotte, vengono sospesi, sul convoglio, tutti i servizi offrendo l’opportunità ai passeggeri di affrontare una serie di tematiche sull’esistenza umana come quella, per esempio, di Chiara secondo la quale “alla fine la vita normale ha il sopravvento”. Nel volume sono, spesso felicemente, incastonate, tematiche e riflessioni di particolare significato che lasciano trasparire non solo le posizioni culturali, segnatamente speculative, dell’Autore, ma anche i dati autobiografici ambientati negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale.
 Egli è ancora un ragazzo di dodici-tredici anni, ma ricorda con lucidità i drammatici avvenimenti di quei giorni allorquando, scrive, “gli orfani recenti, quelli che facevano mostra d’insicurezza, erano sospettati di fascismo. Nelle scuole più illuminate, si alzarono le mani per correggere gli orfani ‘indiziati’”. Sintomatico, al riguardo, la testimonianza dello stesso, secondo cui “un mese prima della pace” una “maestra fu lestamente processata per spionaggio, (…) Di lei rimase solo il tenero rimpianto della classe, all’oscuro della eseguita giustizia”.
 Ed eccoci alla seconda parte del romanzo – la più interessante - con l’acerbo risveglio di Simeone nel treno privo di corrente, inchiodato, in piena campagna, su un binario morto, e purtroppo lontanissimo dalla laguna; e, qui, entrano in ballo interpreti come Guido, Ivano ed altri i quali comunicano che si è verificata una svolta storica, un’Ultrarivoluzione, cioè - dato il declino dell’Occidente cristiano – con l’avvento di Entità superiori; tale dottrina è professata e divulgata da Guido il quale sostiene che tali Entità “hanno superato l’ideologia comunista”. Il più restìo ad accettare tale nuova prospettiva ideologica è soprattutto Simeone contrario ovviamente, alla posizione di T. W. Adorno e di Marcione, autentici teorizzatori della gnosi.
 I personaggi che l’Autore fa muovere sul proscenio di queste tempestose vicende rispondono ai nomi di Cerenetti, Antonio, il Dr. Armandi-Brandi, Sigfrido, Maria Teresa, Martina, Lucilla, Martina, il prof. Melotti, l’Editore Rosati e numerosi altri, tutti, in qualche modo, coinvolti in vicende che sanno di irreale e di imprevedibile. Intanto, a Simeone, insieme con altri amici, viene assegnata una baracca visto che siamo al cospetto di un vero e proprio sequestro.
 Al riguardo, Lucilla sentenzia: “l’autorità siamo noi” mentre il prof. Gamballarghi, dal suo canto, chiarisce che “le categorie del razionalismo, le categorie generate dal principio monoteista d’identità e non contraddizione ci hanno fatto entrare nello stato di conflittualità, nel quale la natura rischia l’estinzione”. Durante le laboriose e contrastanti discussioni, Simeone contesta, naturalmente, la validità della saga wagneriana avente come protagonisti Wotan, Siegmund e Brunilde, non peritandosi, addirittura, di proclamare: “io sputo in faccia ai pensatori germanici”.
 Frattanto, iniziano le lezioni per rieducare al nuovo verbo i sequestrati, ma Simeone disgustato da tante eresie, sostenute dai corifei dell’Ultrarivoluzione – come ad esempio, la sofiologia sepolcrale divulgata dal prof. Ceneretti e la teoria delle Erinni, considerati veri angeli, professate da altri – sbotta venendo violentemente colpito, da Ivano, con una bastonata all’arcata sopraccigliare. Chiara gli è vicina e cerca d’aiutarlo anche se il clima in cui vivono si presenta enigmatico ed irreale.
 Ora, entra in scena padre Sergio - sacerdote tradizionale e di sani principi che, osserva Vassallo, “non si è piegato alla riforma neoreligiosa, pur in un’atmosfera di mondanismo – al quale viene dal suo superiore affidata una delicata missione, quella, cioè, di tutelare l’incolumità di una persona affidandola ad una famiglia sicura, dato che i comunisti restano sempre nemici della Chiesa.
 Ma, l’Autore introduce anche una serie di osservazioni di ordine politico-religioso inerenti sia al nazismo e al comunismo, ormai condannati al fallimento, sia alla volontà delle Entità dirette a laicizzare totalmente la curia romana. Lucilla, pronubo l’Editore, sottoposta ad un orrendo orgiastico sacrificio viene uccisa in un clima macabro e cruento mentre Guido, durante una lezione, sostiene che le Entità hanno elaborato un piano atto a liberare l’agricoltura dalla sudditanza alle multinazionali onde riscoprire la sapienza degli antichi lavoratori della terra.
 Ad un certo punto, però, per effetto dei princìpi annunziati dai nuovi oscuri pedagoghi, matura, in alcuni sequestrati, l’idea di una fuga a cui aderiscono Simeone, Maria Teresa, Chiara, l’avvocato e il titubante Guido i quali, nonostante i rigori della montagna e le altre innumerevoli difficoltà logistiche, discutono di varie problematiche e, in particolare, della figura di Rosati definito, di volta in volta, un corruttore, un distruttore, un traditore di giovani e un anarchico; il responsabile, in definitiva, dell’atroce morte di Lucilla.
 Intanto il prof. Melotti e Martina decidono di sposarsi mentre Simeone si abbandona a delle confidenze con uno sconosciuto al quale racconta le disavventure del treno deviato, del sequestro dei passeggeri e della fuga dall’Armonia, non senza un sincero elogio alla pensatrice, allieva di Husserl, Edith Stein, la celebre santa del Carmelo.
 Ma le ultime ed assai commoventi parole di Vassallo sono riservate al ricordo della figura di Francesco Grisi, scrittore cattolico non integrato, poeta, pittore, saggista e uomo di vasti orizzonti culturali, scomparso 14 anni fa a Todi dopo lunga e tormentata malattia da lui efficacemente definita ‘dolce compagna’. Da qui, l’ideale colloquio fra Simeone e Grisi che si confrontano sui temi più scottanti del nostro tempo, come l’economia, la figura di Mussolini, la felicità, il mistero della vita etc.
 Romanzo filosofico-politico complesso questo di Piero Vassallo, non esauribile, naturalmente, nel contesto di una semplice recensione; in esso rinveniamo, difatti, tutta la sua vita e l’intero suo travaglio religioso; travaglio spirituale sorretto da severe idealità cristiano-cattoliche e da inconcussi princìpi che ne fanno uno dei più intransigenti rappresentanti della cultura italiana contemporanea anche quando alcune sue tesi non sono del tutto condivisibili. Ma, a chi sa leggere tra le righe dell’opera in questione, non sfuggiranno i nessi che presiedono all’ideazione e alla traduzione in atto di una visione del mondo così sincera e così sentita.
 Concezione del mondo ancorata ad una salda ed organica impalcatura che fatto della religione rivelata il centro propulsore della vita dell’Autore e che ha contribuito in maniera sostanziale alla sua posizione esistenziale di ‘Homo viator’, direbbe Gabriel Marcel, in “hac lacrimarum valle”.

Lino Di Stefano

giovedì 4 aprile 2013

COMMENTO A “UN TRENO NELLA NOTTE FILOSOFANTE” (di Piero Nicola)

La realtà del tempo presente, il mondo in cui viviamo, ci sta sfuggendo; soprattutto le sue cause sfuggono alla nostra comprensione. Ci sembra di renderci conto dei problemi, e anche delle soluzioni di questa crisi, che ormai si manifesta grossolanamente; ma certi presupposti inamovibili, come il sistema democratico e i concetti di giustizia, di diritti, di solidarietà, accettati per abitudine e non abbastanza approfonditi, impediscono di avere la chiarezza, la soddisfazione, e si resta non solo nel dubbio, si resta nella sensazione di impotenza, nello scetticismo rispetto al ricupero di una vita buona.
 Tuttavia la soluzione possibile esiste. È quella della Fede certa e della vera filosofia in accordo con la Fede, in accordo con questo patrimonio che ci appartiene, e che è aggredito dalla cultura moderna nella quale siamo immersi, nella quale si perde l’orientamento. Sarebbe inutile negarlo. Purtroppo oggi gli uomini della Chiesa, i pastori, sono inefficienti, se non anche fuorvianti. I pastori, che sono sempre necessari. La Chiesa ha cessato di essere il porto sicuro.
 Allora occorre anzitutto confutare, smascherare gli errori, e le trame assai sotterranee che irretiscono e confondono persino i migliori, e così portare alla luce le cause e vedere i rimedi.
 Ci sono diversi modi per mettere le cose in ordine, per rassicurare. Il discorso teologico e quello filosofico, da opporre agli inganni, non sono facili. Inutile farsi illusioni. E tuttavia è necessario approfondire per afferrare gli ostacoli, per smontare le trame in azione. Ma la dimostrazione filosofica, anche in forma divulgativa, spesso riesce ostica, richiede applicazione e stanca il lettore. Già Platone ricorse all’arte del dialogo socratico. Altri composero opere letterarie di carattere filosofico in forma di racconti e di romanzi, che resero accattivanti le loro tesi. Alcuni di questi maestri, per altro, furono cattivi maestri. Per esempio Voltaire, con il suo “Candido”.
 Nel panorama odierno delle lettere il racconto filosofico e veridico è una rarità. Eppure sarebbe quanto mai necessario per schiarire le idee dei benpensanti.
 Piero Vassallo, dopo una vita di studi politici, filosofici e teologici, ci ha dato un’opera di questo genere ed è riuscito nell’intento.
 Simeone, il protagonista, raggiunge la stazione della sua città per prendere un treno della Compagnia dei vagoni letto, e recarsi a un convegno, a Venezia, dove terrà un discorso sul declino della ragione.
 Fin dalla partenza, si presentano le occasioni per fissare il clima della vita attuale in chiave critica e oggettiva. Sul filo delle sue meditazioni si manifesta un’epoca della limitatezza cartesiana, del dispotismo bancario, della farsa liturgica e del nuovo quietismo, ossia dell’acquiescenza verso il disordine, della complicità con la cultura decadente e amorale. Il carpe diem, l’edonismo deve sfociare nel nichilismo, nel nulla mortifero, e invece molti sembrano rassicurati dallo statu quo, quando ormai il collasso è alle porte.
 Che cosa sarebbe l’invito al trattenimento istruttivo, senza uno stile brillante? Merita citare un quadretto degli sciatori della società consumistica, che fremono sul marciapiede ferroviario: “Sotto turbanti di finta pelliccia, alcuni dopolavoristi, camuffati da signori delle nevi, voci rauche, natiche straripanti, cuori agitati dalle promesse dei bollettini meteorologici, affrettavano il passo della loro impellente voglia di discesa”. Essi fanno parte dei “discendenti universali” alla “sciolina”.
 L’architettura e il decoro liberty della stazione precorrono la decadenza postmoderna, la degradazione dei suoi frequentatori. Le considerazioni sono originali, nutrite di mirabili aforismi. E già l’autore coglie spunti per accennare a opere, eventi, personaggi d’ogni tempo, per discernere l’oro dagli orpelli. La storia della cultura così abbozzata è una miniera di notizie invitanti a ulteriori esplorazioni sotto una sicura indicazione.
 Di lì entriamo nelle carrozze lussuose del viaggio. E giungono i dialoghi quasi socratici, inframmezzati da ricordi che cominciano a tracciare il curriculum del protagonista: Simeone. Egli militò nel comparto di un partito della estrema destra. Nonostante la sua strenua ricerca del vero, nonostante le sue qualità, era fatale che non potesse emergere, essendo osteggiato dai dirigenti e anche da qualche compagno di avventura nel Bunker. Il Bunker era la significativa etichetta della sezione del movimento, in cui le belle speranze dovevano essere frustrate.
 Nella vettura ristorante egli incontra un vecchio compagno di battaglie politiche, Giuseppe, ora avvocato. Insieme ricordano le trascorse esperienze, la varia umanità dei vecchi colleghi, i maestri incontrati o frequentati. Con ciò si precisa il loro pensiero. Un professore napoletano, Antonio, un bello spirito assai colto, si unisce alla conversazione e, con lui, Chiara, una giovane donna affascinante, il cui compagno di mensa, industriale farmaceutico, si è allontanato con una scusa, infastidito dal tenore del colloquio. Antonio, salottiero, ha la parte dello scettico, del sofista negatore della forma. La donna rappresenta il buon senso pratico. Il Barone Nero, cioè Evola, e Guenon vengono passati al vaglio come pensatori di una destra che, professando uno spiritualismo gnostico, esoterico, anticattolico, s’incontrerà con la sinistra sia atea e nichilista, sia pseudocristiana modernista. Tutte queste idee fuori dell’ortodossia sono destinate a confluire nella filosofia dell’umanità elevata a divinità, realizzata mediante liberazioni o iniziazioni impossibili, risolte nella peggiore delle corruzioni.
 Sciolta momentaneamente la compagnia, Simeone e Chiara si ritrovano, si intrattengono confidenzialmente e con una certa simpatia, che non dà luogo ad arrivederci. Ma è l’occasione per completare la storia dell’educazione e la storia sentimentale del protagonista, che fu lasciato dall’amata a causa del suo destino di irregolare, coerente nella ricerca della verità e dell’adesione alla verità. Intanto si precisa il vasto quadro dei tempi in evoluzione.
 Al mattino, Simeone si sveglia che il vagone è fermo su un binario morto in una campagna aprica e desolata. Gli si fa incontro un certo Guido, incaricato di raccogliere i viaggiatori e di condurli a un villaggio sperduto del paese di Armonia. Armonia: una denominazione che si rivelerà una beffa. Egli ha perduto il contatto con i suoi compagni, che ritrova in seguito.
 Ed ecco la descrizione della località regredita a una condizione di presunta naturalezza, secondo un’ideologia ecologica accordata con l’ideologia progressista d’avanguardia. Il paese, uno stato nello stato che lo protegge, è governato da dirigenti chiamati Entità. Tramite lezioni collettive, essi operano una sorta di rieducazione dei neofiti, usando mezzi dialettici, psicologici, e la corruzione libertina, la coercizione spacciata per giustizia. Il punto di forza di questo regime è il mito del ritorno ai primordi, il mito di una liberazione dal monoteismo e dell’affidamento agli istinti: una liberazione dalla razionalità, una liberazione che nell’uomo prende la piega del vizio, dell’orgia. Lo sfrenamento conduce al delitto, al sacrificio umano sotto la forma di un rito, che pure è demoniaco. La pur necessaria tesi intellettuale si appoggia sulla mitologia greca, sul paganesimo di Wagner, sulla filosofia moderna, sull’eresia gnostica, sul panteismo, su una gamma di altre eresie che negano Dio vero, il Dio legislatore e di giustizia dell’Antico Testamento. Si travisa Cristo per farlo servire all’antropocentrismo, in cui l’uomo, simile a Dio, può permettersi tutto, anzi deve soddisfare ogni impulso.
 Insomma, l’enclave dove si congiungono i simboli del nazismo e del comunismo, prefigura vivamente l’approdo cui questo nostro mondo appare avviato.
 I nostri eroi riusciranno a uscirne e a godere di una pace fondata sul credo cattolico. Ma non voglio togliere il piacere di scoprire come ciò avvenga. Posso solo anticipare che non manca qualche idillico incontro tra i due sessi della brigata e che, d’altra parte, in una plaga limitrofa, un imprenditore capeggia un movimento controrivoluzionario. Tuttavia egli è ancorato a un costume borghese di dialogo e di compromesso, un costume democristiano che non autorizza illusioni. Il grande paese circostante è dominato da uomini della cattiva specie, in combutta con l’editore Rosati, il capo delle Entità maledette. Nella libidine del loro potere, esse non badano agli esiti distruttivi dell’andamento impresso alla società. Però agli amici giunti in salvo sulla cima di una montagna giunge notizia che il Costruttore di Arcore ha vinto le elezioni. Si affaccia la speranza che possa spezzare lo scellerato governo di Rosati.
 Simeone risente dei postumi di una bastonatura ricevuta per la sua ribelle confutazione delle empie lezioni dottrinali. Ha delle allucinazioni, in cui gli compare l’amico Francesco Grisi, sagace artista e intellettuale. Egli in un’aura surreale gli dice d’aver partecipato all’avventura del treno e del soggiorno nel luogo infernale di Armonia. Nella sua fantastica apparizione, Grisi prevede la rovina delle Entità, che recano in sé il germe della dissoluzione. Egli prospetta una contro-follia, un antidoto sicuro per ogni evenienza, in cui riporre la speranza: la follia cristiana, la follia dei santi. Gli amici si trovano concordi al confine con uno stato mistico, a contatto col regno della certezza ultraterrena. Usciti da ogni solco, sulla vetta del monte isolato, al di là della comprensione si percepisce la gloria di Dio, si comprendono i miracoli dei santi che sconfiggono le Entità e i loro commerci.

Piero Nicola