martedì 1 ottobre 2013

La storia dell'evo cristiano, tra reale e artificiale

Un intrigante saggio di Tommaso Romano

La storia dell'evo cristiano, tra reale e artificiale

 Qualificato studioso e impavido testimone della tradizione cattolica, il palermitano Tommaso Romano è apprezzato, oltre che per l'eleganza della scrittura, per l'equilibrio delle sue analisi e per l'originalità delle sue proposte.
 La sua più recente fatica, il saggio "La radicale antitesi tra reale e artificiale", pubblicato nel numero 79 (gennaio-agosto 2013) della rivista "Spiritualità e letteratura", ad esempio, solleva contro il pensiero post-moderno obiezioni indenni dalla pretesa, avanzata dai banditori di un ozioso e imparruccato passatismo, "di difendere acriticamente l'intero Ancien Régime" e di nascondere "la mondanizzazione del potere o degli stessi singoli esponenti della Chiesa Cattolica".
 Romano è consapevole che il mondo moderno, il cui inizio era, per astratta convenzione, stabilito nel giorno della scoperta dell'America, è finito nel 1989, sotto le macerie del muro di Berlino.
 Di conseguenza Romano afferma la necessità di riconoscere la svolta epocale e di aggiornare il giudizio sul mondo moderno, che si è intanto ridotto alle ultime e crepuscolari suggestioni, che trasmettono cascami e frattaglie delle ideologie ai fautori della depressione relativista, che colora di grigio l'età contemporanea.
 Dissolta la minaccia delle rivoluzioni concentrazionarie, nel nuovo orizzonte si profila la minaccia delle utopie negative, "miti senza relazione, incapacitanti simboli posti a rappresentare l'astratto e l'irreale, elaborazioni umane con pretesa di assolutezza, filosofica e antropologica, che hanno generato (e non certo soltanto dalla fine del Medio Evo) irreali sogni di potenza, domini antiumani, autoritarismi senza fondamento nell'autorità legittima, anarchia teorica e nichilismo pratico, ateismo diffuso, relativismo, indifferenza".
 Ora non è pensabile affrontare l'emergenza causata dalle utopie negative e dal loro codazzo di sciagure senza un progetto indirizzato a rinnovare le regole dell'indagine sulle cause profonde dell'eversione. 
 Romano, pertanto, propone, quale chiave di la lettura della storia inclinata alla catastrofe post-moderna, un detto del cristiano libertario Valerio Pignatta - "Il Cristianesimo di Gesù non ha niente a che vedere con il cristianesimo della chiesa".
 Secondo Romano la tendenza libertaria a interpretare il Vangelo secondo i personali desideri, inclinazione già presente quando Cristo era nel mondo, "è un fiume carsico che in nome della purezza evangelica, ha rifiutato costantemente il concetto stesso di tradizione, sacralità, autorità, obbedienza e di gerarchia, promuovendo una lunga incubazione che ha prodotto tanto le piccole chiese e comunità religiose medievali, quanto taluni sintomi che hanno poi generato ai grandi scismi della Chiesa Cattolica, a cominciare dall'Ortodossia dopo il primo millennio e con l'affermarsi dei profeti dell'utopia del mondo nuovo e i loro predicatori sempre però connotati dallo spirito rivoluzionario, a volte con caratteristiche spiccatamente politiche, non sempre di matrice gnostica, anche se l'approdo alla logica di capovolgimento della realtà naturale è stato, comunque, convergente".
 Gli storici delle eresia e i compilatori dei tossici effetti dell'errore, pertanto, non devono limitarsi all'elenco delle contaminazioni pagane, che, lo ha dimostrato un discepolo di San Policarpo, Sant'Ireneo da Lione (130-202 d. C.), hanno ispirato i banditori dello gnosticismo, ma indagare seriamente le fantasie ispirate da una lettura ribellistica e anarcoide del Vangelo.
 Quale esempio di interpretazione erronea della Sacra Scrittura, Romano cita due testi di Tertulliano, il De corona e il De idolatria, nei quali si afferma (in aperto contrasto con la sentenza paolina, Non est potestas nisi a Deo) che le leggi civili "sono esclusiva opera degli uomini e che nessun fondamento ha il diritto divino invocato dai governanti".
 E' evidente che, a differenza della suggestione gnostica, il libertarismo, circolante in ambienti clericali antichi e moderni, non ha origine dal pensiero pagano ma dalla incontrollata fantasia dei fedeli. 
 Di qui la puntuale analisi degli errori generati dalla superficialità clericale e l'impietosa denuncia dell'alluvione progressista, che ha avvelenato la stagione del post-concilio.
 La lettura del testo di Romano costringe a riflettere sulla fragilità dei giudizi improvvisati dai fedeli, dai sacerdoti e dai teologi che desiderano piacere al mondo piuttosto che obbedire allo Spirito Santo.
 A conferma della fragilità degli uomini di Chiesa, Paolo Pasqualucci ha rammentato che sono state giudicate eretiche e ritrattate perfino le opinioni personali di alcuni pontefici romani.
 La resistenza all'errore post-moderno, di conseguenza, deve conoscere e contrastare, insieme con le ricorrenti suggestioni gnostiche, anche i cedimenti  autarchici dei pensatori cattolici, laici (ad esempio Jacques Maritain) e clericali (ad esempio Karl Rahner).
 Senza una tale estensione dello sguardo critico il contrasto cattolico all'errore post-moderno arretrerebbe sulle linee di un trionfalismo senza altro fondamento che l'attribuzione dell'infallibilità alla chiacchiera dei teologi di giornata.  


 Piero Vassallo

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