sabato 18 maggio 2013

Intervento di Valentino Cecchetti: Un treno nella notte filosofante (Roma, 16 maggio 2013)

Credo che non sia necessario spendere troppe parole per presentare Piero Vassallo. Alcuni lo considerano un implacabile e caustico polemista cattolico italiano. Per molti di noi è uno tra i più importanti intellettuali di questi anni.
Conosciamo sin troppo bene lo scenario in cui Vassallo ha condotto da filosofo la sua “buona battaglia” politica e culturale.
Vassallo non soltanto è stato il primo a smascherare la falsa distinzione culturale tra la destra e la sinistra postmoderne (con particolare disdoro della destra deviante e “spensante”). Ha rivelato l’origine anticristiana della cultura postmoderna, ha denunciato il pericolo della “nuova alleanza” (lo notava Franco Fontana nella prefazione a uno dei libri più belli di Vassallo) tra universi culturali che sembrano molto distanti. E spingono per il ritorno all’antico, agli antichi miti. Verso l’orizzonte “regressivo” che annulla senza scampo il singolo nel magma della natura e della specie.
È la “destra adelphiana”, che Vassallo ha descritto in tempi non sospetti. E che ha magistralmente demistificato in tante opere, molto prima dei celebrati Adelphi di Blondet. Penso a libri come L’ideologia del regresso, a Ritratto di una cultura di morte. Rimando al volumetto bibliografico che raccoglie tutto il percorso di Vassallo, curato se non ricordo male da Sergio Pessot e pubblicato dalla Banda di Genova. Per intravedere lo spalancarsi del precipizio: quello di Cacciari e Dossetti, di Maritain e Gandhi, i protagonisti del millennio regressivo, dell’antichismo che nasce dai fantasmi e dalle distorsioni illuministiche della modernità.
Si tratta di ciò che è stato felicemente definito da Augusto del Noce il “totalitarismo della dissoluzione”, il fenomeno che non ha il volto odioso dei totalitarismi coercitivi del secolo scorso, ma ha il sorriso seducente e sinistro di un nuovo “sistema” (relativismo morale, edonismo consumistico, lassismo istintuale). E mira a distruggere le difese immunitarie dell’essere umano, a consegnarlo, frastornato e disarmato, nelle mani di nuovi carnefici.
Ed è esattamente ciò che si racconta in questo libro (nella seconda parte in particolare). Il deragliamento notturno del pensiero (come non pensare a Céline?) verso l’alba dell’Ultrarivoluzione, l’avvento delle Entità Superiori che vengono a liquidare i resti dell’Occidente cristiano. L’affermazione “imprevedibile e irreale” della comunità di Bataille (la Locanda dell’Armonia degli Opposti), che nelle “pose” onomastiche e negli anagrammi riconoscibili dei suoi animatori, Gamballarghi, Rosati, De Pastera, Ceneretti, offre in rassegna la “ragion pratica” del disastrato e spaventoso neopensiero contemporaneo, quello a colori pastello dell’editore satiro e officiante gnostico Rosati-Calasso.
Ha fatto bene un commentatore, Roberto Dal Bosco, a rilevare che i tempi (tempi di seduzione sinistra si diceva) richiedano per interpretarli, rappresentarli e combatterli strumenti di natura letteraria, oltre che filosofica.
Ma penso che Vassallo voglia con questo libro mostrare in piena luce una continuità. Una questione che qui non si vuole risolvere con l’etichetta un po’ vana, con la solita scorciatoia: ecco un moralista. C’è in Vassallo un legame molto più forte e necessario di quello pur fondamentale che intreccia “etica e biografia”. C’è il legame tra il movente soggettivo e la storia-provvidenza. Un legame che non può essere spezzato e che qui assume la forma dell’apologo, ora sarcastico, ora doloroso, ora elegiaco (il registro più segreto, ma sorprendente di Vassallo) e fa i conti con tutto un percorso esistenziale e intellettuale mostrato nella sola forma cui si possa offrire il senso definitivo della scrittura e della vita: la forma classica dell’itinerarium.
Un treno nella notte filosofante si offre su un registro poco praticato nella letteratura italiana. Un realismo-irrealismo magico e grottesco, beffardo e straniante, che fa pensare al Papini di Gog, al pessimismo di Papini circa il destino “americano” offerto all’umanità dalla civiltà dei consumi. Un registro che avvicina il romanzo di Vassallo a modelli ideologicamente forse molto distanti. Penso al romanzo di conversazione e di idee degli anni Trenta (Huxley). Ma penso soprattutto al tono caustico, brillante, paradossale di Chesterton. Se è vero che la scrittura per essere tale deve sempre avere, come diceva lo stesso Chesterton, dei “moventi morali”, anche se parla di “giardini olandesi e di scacchi”. E anche inevitabilmente ai grandi apologeti. A Tertulliano, troppo spesso indicato (al pari Di Vassallo, mi sia permesso di osservare) come la vittima di un temperamento portato verso l’eccesso, sino ad abbracciare per ragioni “psicologiche” l’eresia. Al contrario esempio di una lucidità in cui il dottore e il polemista brillano contemporaneamente grazie alla forza e alla ricchezza del mezzo espressivo.
Un treno nella notte filosofante si presenta sin dal titolo come un racconto allegorico, un romanzo a chiave. Anche quando, nella prima parte, è più autobiografico e la “lampada della memoria” del protagonista, l’alter ego dell’autore, Simeone, si accende sullo scosceso percorso esistenziale di un “cattolico hyksos” e prende a spingersi lungo una via narrativa sempre più simbolica: da “figlio del sole” evoliano sino alla luce del cardinale Siri-Don Giacomo e alla fuga “cinematografica” dal destino di morte delle ultime pagine.
Vorrei fermarmi per concludere su un personaggio forse minore del racconto (ma i personaggi non hanno gerarchia in questo romanzo davvero corale). Su un sogno retrospettivo del protagonista, il ricordo di un antico coinquilino dell’ “eversore di destra” Simeone. Il ragionier Brambilla, ritratto di un cavaliere della mediocrità, che si offre come lo straordinario esempio di eroismo quotidiano, l’unico possibile, nel senso che Péguy dava all’eroismo contemporaneo: quello del padre di famiglia.
Qui sta forse il senso riposto del romanzo. Che è mosso, come tutta l’opera di Vassallo, dalla volontà di respingere la cultura di morte nella quale l’autore intravede l’essenza di una sorta di anti-Italia. Se è vero che tra le nazioni di Occidente proprio all’Italia, per il suo destino che la lega nella tradizione cristiana, è demandato il compito di traghettare l’intera storia occidentale “oltre il nichilismo”. È soprattutto per ritrovare il senso di questo “primato morale e civile” degli italiani (così ben rappresentato nel protagonista del romanzo e dalla storia di “superatore dei superatori di Cristo” dell’autore), che credo si debba leggere il romanzo di Vassallo.

Valentino Cecchetti

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