venerdì 15 marzo 2013

L'uomo qualunque, geniale movimento in un vicolo cieco

Contraddizioni di un liberalismo libertario

L'uomo qualunque, geniale movimento in un vicolo cieco

 Secondo la squalificante/squillante definizione, che si legge nel vocabolario sinistrese, "il qualunquista è un uomo gretto, un egoista che pensa solo al proprio tornaconto, alla difesa dei suoi interessi".
 In realtà il pensiero politico di Guglielmo Giannini, il fondatore del settimanale L'uomo qualunque, discendeva dall'ideologia libertaria professata dal padre, Federico Giannini, uomo di larghe e intrepide vedute ed eccentrico direttore in Napoli del "Giornale del mattino".
 L'attribuzione dell'egoismo borghese al qualunquista è un'assurdità emanata dal tribunale che ripete le sentenze concepite in nome della defunta/funerea mitologia sovietica.
 Autodidatta, brillante giornalista, sapido conversatore, fecondo scrittore di romanzi e di commedie, Guglielmo Giannini covava una familiare ostilità nei confronti dei politicanti e della burocrazia statale, due classi che la sua immaginazione dipingerà come un torchio opprimente e soffocante.
 Nel 1942, quando suo figlio morì in incidente aereo, concepì anche un inestinguibile odio contro lo statalismo fascista. Del figlio Giannini scrisse: "Una meravigliosa creatura d'amore, che cessò di vivere all'età di ventuno anni, undici mesi, ventisette giorni, nel pieno della salute e della bellezza, il 24 aprile 1942. Una versione ufficiale dice che egli cadde nell'adempimento del proprio dovere verso la patria, ma in realtà fu assassinato insieme a milioni di altri innocenti esseri umani da alcuni pazzi criminali che scatenarono la guerra".
 Ora della distanza enorme, che corre tra il pensiero comunista e il generico anarchismo/pacifismo professato da Giannini - autentico motivo del velenoso disprezzo, che la cultura progressista rovescia sul qualunquismo - fu causa la scelta di Giannini di far avanzare lo stato d'animo libertario sul filo del rasoio teso da Benedetto Croce tra il liberalismo (di matrice neo hegeliana) e una fede cattolica attorcigliata intorno al saggio sulle ragioni del "perché non possiamo non dirci cristiani".
 Alla fine del drammatico 1944, risultato di un tale impraticabile percorso fu l'ideologia, il ribellismo emotivo e semplicistico, riversata nel settimanale L'uomo qualunque. Un ircocervo allo sguardo esigente di Croce: la politica antipolitica. Liberal-libertario, a ben vedere, era un ossimoro nascosto da Giannini nelle nebbie sollevate da una vaga assonanza.
 L'equilibrio retorico, su cui si reggeva la scienza politica Giannini ["uno stato che non fosse altro che quel governo del buon ragioniere invocato fin dai primi numeri de "L'Uomo Qualunque"] ebbe la durata dello strepitoso ma effimero successo giornalistico procurato dalla violenta, passionale espressione dell'ostilità al fascismo deteriore, vivente/trionfante nell'antifascismo.
 Il progetto dello stato ragioniere esibì la sua essenza precaria allorché Giannini tentò di rovesciare nella politica italiana il sentimento/risentimento, che animava le pagine catto-liberali (o catto-libertarie) del suo settimanale.
 L'altezzoso Benedetto Croce, maestro venerato, al quale Giannini si rivolse per ottenere un autorevole biglietto d'ingresso nel partito liberale, lo umiliò negandogli la qualunque raccomandazione. Alcide De Gasperi respinse la sua proposta di collaborazione con il partito democristiano. Di qui l'infelice scelta di fondare il partito dell'Uomo qualunque, alternativo ai partiti che respingevano la sua domanda di adesione. Una scelta infelice, a giudizio degli storici Paolo Deotto e Luciano Garibaldi, convincenti autori di una "Vera storia dell'uomo qualunque", pubblicata da Solfanelli, emergente editore in Chieti.
 Deotto e Garibaldi sostengono autorevolmente che Giannini, "di sicuro non era un politico e il suo vero errore fu quello di entrare in un meccanismo che lo stritolò.
 Scritto per confutare i luoghi comuni intorno alla figura di Guglielmo Giannini, implacabile contestatore dello statalismo, i due scrittori apprezzano la genialità del giornalista, mentre riconoscono la debolezza dell'uomo politico.
 L'insuccesso della politica qualunquista fu il risultato dell'assenza di un autentico pensiero: "Un partito deve avere di norma una linea politica e l'estrema vaghezza del messaggio qualunquista fece sì che da subito i vari nuclei sparsi per il Paese esprimessero le posizioni più diverse, ma che tutte comunque potevano trovare un appiglio con quel messaggio di Giannini, che si poteva definire un mix di liberalismo, antifascismo, anticomunismo, antinazionalismo, anarchismo, e altro ancora, il tutto unito dalla comune protesta contro le condizioni generali del Paese e contro la nuova classe politica al potere".
 La conclusione di Deotto e Garibaldi indica con esattezza l'obbligata dipendenza del qualunque partito politico da un chiaro e univoco pensiero.
 Grazie alla pregevcole ricerca condotta da Deotto e Garibaldi, l'infelice esito della polemica giornalistica da Giannini elevata a surrogato del pensiero e del coerente programma, costituisce una lezione che svela le cause del disastro causato dalle chimere destate dalla convinzione che la chiacchiera comiziale, quantunque abile e rumorosa, sostituisca il pensiero politico e il suo coerente programma.

Piero Vassallo

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