venerdì 12 novembre 2010

Dalla sinistra ideologica al delirio ambidestro

Figure della metamorfosi moderna

 

Dalla sinistra ideologica al delirio ambidestro

   

     Nel regno della moderna mitologia, ultimamente si vedono solo i moncherini dei pensieri, che occupavano un inebriante e imperioso dizionario. Non segni di concetti, ma suoni confusi, disarticolati, fluttuanti tra l’oscenità, l’amnesia e l’incubo.   
   Il razionalismo illuminista fu. Scrive l'impertinente Raffaele Perrotta: “Il LogoCentrismo non sta più nella pelle, vuole capovolgere altezze e sottostrati della dialettica in ad infinitum: non vuole sentir ragioni, è esso stesso la Ragione del disporsi al Caso alto semantema[1].
   La pelle delle parole moderne, era l'Enciclopedia di Jean Baptiste Le Rond d'Alambert. Che cosa ne è, dunque del volume sommo, che conteneva le magiche parole del LogoCentrismo? E della superiorità del pensiero sull'essere? E dell’imparruccato monsieur Jean-Baptiste Le Rond d’Alambert?
   Braccate da un terremotante delirio, le incipriate parole fuggono dai libri del secolo luminoso. La scolastica degli apostati, ultimamente narra la malinconia sui violini dell’assurdo.
   Geniale e beffardo esploratore della profondità vertiginosa in cui sono cadute le parole della rivoluzione imparruccata, Raffaele Perrotta incalza:  “E la filosofia? Suo distinguersi in altezzosità. Filosofia su quel tratto che va da filia a sofia: e ritornare di parole a parole, parole e corrusche tempestosamente. ¡come è sfilacciato questo tuo volume senza una sosta perché possa riassumersene la lettura![2].

    Le parole del secolo decimottavo si disperdono in disordine, come i soldati del maresciallo Pietro Badoglio. Tutti a casa, in disordine.

   Ma dove si trova la casa delle parole che non hanno né capo né coda?

  L’utopia incipriata e travestita da annuncio messianico, dominava sopra un imponente arco babilonese, esteso dal salotto iniziatico alla sacrestia eterodossa. Oggi è ridotta a vagabondare, inseguita dal  rantolo dei concetti in libera uscita dalla storia.

      Frantumato l’impero ideologico, dove, giusta la magistrale definizione di Augustin Cochin, l’opinione sostituiva l’essere, adesso si ode soltanto la risata sulla fioca filastrocca di Pablo Neruda


Oh, Unione Sovietica, se si potesse raccogliere tutto il sangue che hai dato, come Madre, al mondo, avremmo un nuovo oceano per annegarvi chi ti ha offeso … Madre degli uomini liberi”.

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    Spogliate della splendida corona, che le avvicinava al futuro immaginario, le ammalianti parole dell'enciclopedia illuminata ora scendono nel sottosuolo, dove è al lavoro l’alacre popolo dei confusionari.
  Da destra a sinistra a da sinistra a destra sono schierati intellettuali dediti al nomadismo, signorine umbre emigranti da un'alcova all'altra, energumeni in clargyman, fascistottardi in cerca di autore, pagliette sicule scaraventate sugli schermi delle televisioni nazionali, cinematografari con patente pirandelliana, innovatori sotto la livrea del teppismo, banchieri rampanti, costruttori di motori a scoppio dell'erario, profeti del pensiero unico, romanzieri sgrammaticati, piovigginosi mistici del nulla, pianisti gay ad altissima tariffa, filosofi a gettone, massoni festanti, figuranti politologici in parrucca, agitatori di manette da palcoscenico, comici lacrimosi, presentatrici cocainomani, sindacalisti con l’ermellino, ballerine filosofanti, moralizzatori pederastici, calunniatori effervescenti, Marozie ipercinetiche, giudici riscaldati dal tifo per il boia.
  Sotto i loro denti affilati le parole della lingua ideologica si sbriciolano e diventano chiacchiericcio, gossip, flusso di parole in libertà, rumore. Dopo Kant e Voltaire, Jovanotti, Serena Dandini ed Elisabetta Tulliani. E il curioso Alessandro Campi, raccattapalle ai margini del campo filosofico sul mandato del nichilismo mentale di Gianfranco Fini.

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    Ultimamente, alcuni irriducibili sostenevano che la filosofia di Marx, dopo tutto,  era estranea alla prassi sovietica.  Durante la celebrazione dell’ottantesimo anniversario del partito comunista italiano, il rifondatore Fausto Bertinotti tenne un discorso circolare a due piste, inteso, per un verso, a rivendicare l’eredità della buona filosofia di Marx per quello opposto a rigettare Stalin e la storia delle sue cattive opere.
    Se non che i delitti di Lenin e di Stalin, l’epurazione del 1918, la carestia del 1921 e lo sterminio dei kulaki del 1929, furono commessi da interpreti legittimi, intesi ad attuare la nobile utopia e non a deviare da essa.
   Non è necessario mettere in dubbio la sincerità degli stati d’animo che ha dettato le dichiarazioni d’intenti del segretario rifondazionista, quando san Tommaso ha dimostrato che la phantastica illusio degli erranti, l’ambizione di conseguire  impossibile – quale è, appunto, l’utopia comunista - discende  dalla  sciocca superbia  (oritur  ex  superbia  vel cupiditate) [3].
   D’altra parte non ha importanza sapere se gli irriducibili sono in buona o in cattiva fede, quando è evidente che, posta l’adesione alla filosofia materialista – e nessuno mette in dubbio l’appartenenza di Marx alla scolastica materialista - è impossibile sfuggire a un destino di violenza e di frode.
     Anche se l’intenzione dei marxisti ultimi fosse pacifica e non violenta il tentativo di separare l’utopia di Marx dagli atti dei sanguinari Lenin e Stalin, sarebbe un vuoto e ridicolo esercizio da palcoscenico. La storia della filosofia, quantunque soffocata dal bianchetto dei progressisti, insegna che, dato il pregiudizio materialista, segue necessariamente la scelta metodologica della frode e della violenza - la carota della Nep e il bastone dello sterminio dei kulaki.
   Non si dice cosa nuova rammentando che la filosofia materialista ha origine da Democrito e dal suo scolaro, il sofista Protagora, che le conferì quell’indirizzo soggettivistico e oppressivo, che ha conservato attraversa tutti i mutamenti subiti nel corso della sua  storia plurisecolare.
    Virginia Guazzoni Foà, nella sua “Storia del pensiero occidentale Dalle origini alla chiusura della scuola di Atene”, edita in Milano da Marzorati, ha dimostrato con rigore filologico irrefragabile che, secondo il sofista Protagora, la materia è il fondamento e la ragione di tutti i fenomeni in quanto può essere tutte le cose quali appaiono a noi”.
     Dal suo canto, Michele Federico Sciacca aveva stabilito l’ispirazione sofistica di quella negazione tracotante della verità che ha dominato la scena del “moderno”.
   L’opinione che nei fenomeni contempla la sola apparizione della materia ed esclude la forma, implica, appunto, la conclusione soggettivistica, che Platone ha confutato nel discorso intorno ai sofisti: “Protagora disse che di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che esistono che esistono e di quelle che non esistono che non esistono. … E non viene egli in certo modo a dire questo, che quale ciascuna cosa apparisce a me, tale codesta cosa è per me, quale apparisce a te, tale è per te; e uomini siamo tu ed io?” (Teeteto, 152a).
    Protagora, e dopo di lui ogni materialista coerente, nega che la mente umana sia capace di astrarre gli universali dalle cose e perciò di formulare giudizi oggettivamente validi.
    Dopo Protagora  e fino a Marx, intorno al pregiudizio materialistico si costituisce un circolo vizioso, che attira la verità nel gorgo delle opinioni deliranti.
     Il vizio del pensiero moderno nasce dalla convinzione secondo cui la sede della verità non è più l’oggetto ma il soggetto.
    In obbedienza a una logica paradossale, l’emergenza “totalizzante” del materialismo fa sbiadire l’oggetto trasferendo il colore nell’occhio del soggetto.
     Lo scoloramento dell’oggetto, però, destituisce il giudizio del soggetto, che tenta di colorarlo a suo modo. La conseguenza è che ci sono tante tinte quanti sono i pittori impegnati a dipingere la realtà.
    Risultato del materialismo è l’impero sofistico ambidestro: se esistono tante verità quante sono le opinioni dei soggetti, verità plausibile sarà soltanto quella del soggetto che riesce a far valere (anche a costo d’ingannare o fare violenza) la sua opinione.
     Il materialismo sofistico nega gli universali, che sono il fondamento del dialogo e della ricerca e trasforma la filosofia in un ring riservato agli urlatori, ai cacciatori di potere e alle Marozie.
     Il luogo della verità è occupato da un’opinione labile, che s’impone solo mediante giri di parole, argomenti acrobatici, lavaggi del cervello e all’occorrenza minacce, torture e “concentrazioni rieducative”. In caso di refrattarietà estrema è infine prevista l’eliminazione fisica. Si rammentano al proposito i casi dell'Iran, della Cina, della Corea del Nord, della Birmania e del Sud-Sudan.
   A questo punto è già chiaro il dato che è puntualmente confermato dalla storia di tutti movimenti d’ispirazione materialistica: le opinioni conformi al pregiudizio del materialismo sono sempre associate all’uso della violenza e/o della frode elitaria. Le squallide biografie del comunismo e del nazismo lo confermano puntualmente.
    D’altra parte (e non è per un caso) il materialista coerente Karl Marx intimava ai suoi lettori di non fare domande. E non è per un caso che i suoi interpreti sovietici chiudevano i dissidenti nei manicomi.
    La negazione della verità oggettiva e la consegna della verità all’opinione del più forte o del più abile nasce dal convincimento che gli oggetti del conoscere siano costituiti soltanto dalla materia.
    La neo-sofistica è il motore della juke-box confusionario che suggerisci la declinazione dell'et... et... sulla scena del cabaret postmoderno.   

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    Il pensiero moderno infine è esiliato nei margini umbratili, dove si nutrono i sogni intorno a quella cervellotica e distruttiva economia del dono - il potlach - che la mente alterata del surrealista Georges Bataille ha escogitato ispirandosi ai costumi dei primitivi.
    Il fine perseguito da Bataille era lo scoppio d’una guerra forsennata contro la scienza della produzione e contro la civiltà dell’Occidente cristiano. Una guerra combattuta per deliziare i reduci dell’ideologia, in fuga dalla realtà verso il vuoto mentale e il delirio nietzschiano.
   L’utopia, dopo Marx, si risolve in consumo metafisico, in mortificazione dei beni materiali, attraverso le opposte e convergenti vie tanatofile: l’ascesi dissolutoria (il cui archetipo è l’endura catara) e la dissolutezza ascetica (il cui archetipo è la baldoria marcionita e/o frankista).    
  Consumare, in questa allucinante prospettiva mistica, significa de-creare. Il verbo di Erostrato è usato da Andrea Emo e da Massimo Cacciari per definire l’atto della dottrina nichilista formulata da Simone Weil. 
    La finalità del “consumo” è disgregare l’essere, frantumare la sostanza delle cose per sostituire la immaginaria tirannia del demiurgo  con  il fittizio regno  della libertà assoluta, regno contemplato dalla dottrina degli gnostici, dei manichei, dei bogomili e dei catari [4].
    In “Discesa all’Ade e resurrezione”, Elémire Zolla, il più rigoroso e qualificato fra i seguaci del maestro sessantottino Jacob Taubes, ha sostenuto, con argomenti inconfutabili, che l’ultimo orizzonte della rivoluzione è la devastante teologia di Marcione.
    “L’omosessuale Marcione [5], infatti concepì e fondò “una Chiesa di celibi, che affamano il mondo privandolo del seme. La chiesa di Marcione vuole distruggere il mondo. Il matrimonio come sacramento, ben tardo nella Chiesa di Pietro, qui è impossibile. A Gesù non fu mai rivolta la richiesta più naturale, così insistente nell’Antico Testamento: che la donna possa partorire. Il Padre dell’Antico Testamento era giusto, non fu il padre di Gesù. Marcione proclama che il Vangelo è imparagonabile, non se ne può dire e pensare nulla: proviene dal Dio alieno” [6].
   Il progetto dell’a-teologo Zolla - primattore nella commedia dell'et... et... - nasce dal disperato tentativo di istituire un rapporto tra la teologia di san Paolo e l’insalata di parole rimescolata da Nietzsche (filosofo e maestro avventizio della sinistra francofortese e adelphiana).
   L’insegnamento di Zolla è una pietra miliare nella storia dell’involuzione filosofica del “moderno” e dell’eclissi dell’intellettuale: segna il punto nel quale l’ideologia dei comunisti si è umiliata a supporto dell’insorgenza oltreumana e nichilistica dei fascisti deragliati e dei comunisti in marcia verso il Nulla lucente di cui si parla nel salotto buono.
   La scena della sinistra chic al passo della destra forsennata è conforme al pensiero della retroguardia tenebrosa, che continua la guerra di Marx alla civiltà cristiana nascondendo il fallimento della rivoluzione sotto i panni della solidarietà da palcoscenico e della libertà da postribolo.
   Panni indossati dalla nuova pittoresca fauna progressista: moralisti d'assalto, stilisti, spogliarelliste, calciatori, cocainomani d’alto lignaggio, cantanti, affaristi, fotografi, scialacquatori, giornalisti d'assalto, pederasti gongolanti, neodestri ammaestrati.
    Nella commedia degli inganni, l’insensata dissipazione dei beni concepita da Bataille e messa a tema dal pensatore neognostico Zolla, inverte l’ordine naturale, proponendo il primato temporale della distribuzione sulla produzione, cioè il regresso al delirio politico.
  
Piero Vassallo




[1]     Cfr.: Raffaele Perrotta, “antro immane la parola ricercata λοjanto”, Marco editore, Lungo di Cosenza 2005, pag. 45
[2]     Raffaele Perrotta, op. cit., pag. pag. 59.
[3]     Sum. theol., II-II, q, 11, a. 1.
[4]     Come si è già accennato, Eric Voegelin nel “Il mito del nuovo mondo”, Rusconi, Milano, 1970, ha dimostrato esaurientemente che l’ideologia comunista ha molti punti di contatto con lo gnosticismo antico.
[5]     Marcione (Sinope circa 85 – Roma 165) è l’ispiratore di un vasto movimento di fanatici neopagani intesi a respingere l’Antico Testamento e purificare il Nuovo Testamento eliminando qualunque riferimento al Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe.
[6]     Cfr. “Discesa all’Ade e resurrezione”, Adelphi, Milano 2002, pag. 124.