sabato 24 aprile 2010

Franco Accame, la sapiente radice dell'anticonformismo

Nell'età della trasgressione al potere, l'anticonformismo si rovescia nella figura, tanto silenziosa quanto ribelle, della vita saggia ed equilibrata. Anticonformista nella società dei ribelli a buon mercato è l'impavido equilibrio, che lancia il guanto di sfida al disordine, mentre la tranquillità si avventura nel rischio dei pensieri calmi e sapienti.
La biografia di Franco Accame (1927-2010), infatti, ha rappresentato in modo esemplare quel pericoloso rifiuto della saccenteria imperante nel salotto buono, che una bolsa, consunta retorica definisce chiusura al “nuovo” e insofferenza “piccolo borghese”.
Nella realtà “piccolo borghese” è il tardivo fremito del Sessantotto, alito stanco di una passione capace solamente d'increspare le acque stagnanti nelle periferia – nelle anse - delle cultura un tempo detta rivoluzionaria.
Acque senza vita, sopra le quali galleggia il malumore ultimo delle mafalde, urlante residuo di una contestazione inacidita dall'esercizio del potere circense negli ambulacri della famiglia sgangherata dal laicismo.
Franco Accame, fu invece specchio di quel paradosso di Charles Peguy, che assegna il titolo di eroe moderno al padre di famiglia, vivente figura della pericolosa, odiata tranquillità nell'ordine.
Felicemente condiviso e splendidamente vissuto dalla moglie Dori, l'ordine della famiglia Accame ha emanato per quattro felici decenni il gradevole profumo dell'antica tradizione italiana.
D'altra parte l'esistenza di Franco Accame si può riassumere nell'ossimoro che declina l'avventurosa tranquillità di un resistente alle sirene del caos.
Il suo curriculum di studente in peregrinazione da ingegneria a filosofia, la sua tranquilla, aristocratica rinuncia alla laurea, le sue appassionate ricerche intorno al pensiero magico del Cinquecento e del Seicento, i suoi approfonditi studi sulle scuole indiane e cinesi di metafisica, testimoniano una vita interiore febbrile e inesauribile.
Uomo tranquillamente inquieto, non è mai mancato agli appuntamenti con le occasioni del rischio, occasioni presenti ora nella sede di un partito protetto da fragili cavalli di Frisia, ora nei quadri dirigenti del movimento cattolico fondato da Gianni Baget Bozzo per resistere al sinistrismo promosso dai poteri forti, ora nei raduni della cultura esclusa e sconsigliata, ultimamente nei circoli del centrodestra.
L'alternanza di tranquillità e rischio caratterizza anche la più recente produzione letteraria di Franco Accame, in parte dedicata alla gastronomia metafisica e alle storie delle tipiche trattorie di Liguria, in parte all'affermazione poetica dei princìpi della migliore destra.
Dalle future generazioni, Franco Accame sarà ricordato specialmente come magnifico autore di poesie poeticamente scorrette, quali furono ad esempio le composizioni nostalgiche raccolte nel commovente volume intitolato “Elegia”, opera straordinaria, arricchita dalle puntuali note dello storico Luciano Garibaldi, e pubblicata dal temerario editore Fabio De Fina in Milano. Volume dove è ricordata, senza amarezza e senza ritegni politicamente corretti, la speranza destata e subito delusa dal progetto golpista del principe Junio Valerio Borghese.
Per aver nutrito la fiducia senza fondamento nel progetto insurrezionale concepito dal vecchio, eroico comandante del sommergibile “Barbarigo”, nel 1974, Franco fu costretto a fuggire a Lugano, e a nascondersi nella casa di amici fidati, finché la tempesta giudiziaria non rivelò la schietta natura di bufala. Franco rievocava quell'avventura mescolando i due ingredienti della sua magica scrittura: il timbro umoristico e il struggente rimpianto dell'intravista avventura.
Chi è stato amico di Franco ricorda anche e specialmente la sua nobile e mai uggiosa malinconia, la sua sofferta estraneità alla deriva crepuscolare di una patria incalzata dalla decomposizione di massa, alla religione del niente assoluto, concepita e promossa nei salotti dal radical chic.
La vita terrena di Franco si è conclusa il 18 aprile del 2010, dopo una sofferta e prolungata agonia. Le sue ultime parole, rivolte al sacerdote che lo ungeva con il sacro olio degli infermi declinarono la serenità del cristiano davanti alla morte.
Gli sarà lieve la terra, come fu lieve e cortese il suo cammino sulle strade dell'esilio e della struggente nostalgia.

Piero Vassallo


giovedì 22 aprile 2010

Presentazione a Genova (Sabato 15 Maggio, ore 16,30)

Sindacato libero scrittori italiani

in occasione dell'uscita del saggio di Piero Vassallo

Itinerari della destra cattolica
edizioni Solfanelli - Chieti

sabato 15 maggio alle ore 16,30

nella sala Barabino del Teatro della Gioventù
via Macaggi 82/a rosso - Genova

si svolgerà un dibattito sul tema

Le radici culturali della destra

relatore Emilio Artiglieri

interventi di Mario Bozzi Sentieri, Luciano Garibaldi, Alberto Rosselli, Angelo Ruggiero, Piero Vassallo

moderatore Massimiliano Lussana

venerdì 16 aprile 2010

Non prenderà mai voti nel centrosinistra (la Discussione, 16/04/2010)

PIETRO GIUBILO, EX SINDACO DI ROMA, BOCCIA IL LAICISMO FINIANO

Non prenderà mai voti nel centrosinistra

In un libro di Piero Vassallo le ragioni storiche del percorso del presidente della Camera

di ADOLFO SPEZZAFERRO


Nella galassia della destra esistono più anime, compresa quella cattolica tradizionalista. Ieri, alla presentazione del libro del professor Piero Vassallo, Itinerari della destra cattolica (Solfanelli editore, 2010), abbiamo incontrato alcuni dei protagonisti di questa componente ancora importante all’interno del centrodestra. Tutti accomunati da un giudizio negativo nei confronti del presidente della Camera Gianfranco Fini, con toni più o meno duri. Per Vassallo, per esempio, «Fini non è un uomo di destra, perché la destra nasce cattolica, nella rivoluzione francese. Una destra anticattolica è quindi una contraddizione in termini». Per Augusto Sinagra, docente alla Sapienza di Roma, «Fini non ha un progetto politico, ma esclusivamente mire personali, destinate a fallire». Per Pietro Giubilo, ex democristiano ed ex sindaco di Roma, «la destra cattolica, con il cambiamento politico avvenuto dal 1995 in poi, ha ritrovato un ambito nel quale presentare le proprie tesi. Questo ambito è il centrodestra, dove oltre al Pdl va messa in qualche modo anche la Lega - che sta maturando in questa direzione - e l’Udc. Rispetto a questo spazio, le posizioni che vengono soprattutto all’interno del Pdl dall’elaborazione culturale e politica della fondazione di Fini Farefuturo, sono legittimamente in controtendenza. La linea è quella di un laicismo di destra ». Una Lega Nord come portatrice dei princìpi della destra cattolica, quanto se non più del Pdl, dove comunque è Berlusconi e non Fini a incarnare questa tradizione, è l’altro denominatore comune emerso dalle chiacchierate che abbiamo fatto con i presenti al convegno.
Tornando al Fini pensiero - che non esisterebbe, secondo la destra cattolica - Giubilo sottolinea però che «lo stesso Piero Vassallo - nel suo libro - ha dimostrato che una linea laicista, che non tiene conto della posizione cattolica, della tradizione culturale cattolica e quindi della visione del Vaticano II come in continuità con la tradizione, è in qualche modo presente nella cultura della destra, dall’evolismo ad altri filoni che rifiutano la religiosità nella politica e quindi si professano atei. In questo senso, tali posizioni possono definirsi anticattoliche.
Nel caso dell’operazione Fini, il quale si propone anche a un elettorato laico di destra, la posizione laicista riguarda però soprattutto la cultura e la politica di sinistra. Il territorio comune può essere l’interpretazione del Risorgimento, sul quale Alessandro Campi sta tentando di portare il discorso».
Certo però che l’operazione di Fini, ammesso che sia quella di strizzare l’occhio al centrosinistra è un po’ difficile da compiere. «La posizione laicista e anticattolica - ricorda Giubilo - è appannaggio quasi esclusivo della cultura di sinistra.
Quindi difficilmente si può trovare un elettorato, da quella parte. L’idea di voler fare il Sarkozy dell’Italia non tiene conto delle specificità del nostro Paese, dove c’è una presenza cattolica più importante rispetto alla Francia.
C’è un atteggiamento della Chiesa rispetto all’Italia che è diverso.
In questo senso mi pare un po’ difficile per Fini pensare di avere un grande spazio elettorale puntando soprattutto su questi temi».
A proposito di riforme istituzionali poi, terreno di scontro tra finiani e il resto del Pdl, sempre Giubilo fa presente che non serve importare modelli stranieri, che hanno un senso perché espressione di tradizioni e culture politiche dei Paesi d’origine, perché «abbiamo un modello elettorale, già sperimentato e che ha dato buoni frutti, tutto italiano, che è quello dell’elezione del presidente della Regione. Un sistema tra l’altro proposto da Tatarella, che era una persona molto intelligente.
In sostanza c’è un unico turno, ci sono le preferenze, per non fare un Parlamento di designati, uno spazio di indicazione dei partiti, che è il cosiddetto listino del candidato presidente, sul quale possono confluire personalità di prestigio, specie in una competizione nazionale. Questo sistema inoltre omogeneizzerebbe i sistemi politici, che in Italia sono diversi a ogni competizione elettorale.
C’è una soglia di ingresso che consentirebbe di evitare la frammentazione dei partiti e consente di tornare a scegliere i parlamentari, almeno in parte».


ADOLFO SPEZZAFERRO
la Discussione
Venerdì 16 aprile 2010, p. 5

mercoledì 14 aprile 2010

RECENSIONE: ITINERARI DELLA DESTRA CATTOLICA (a cura di Lino Di Stefano)

DOVE VA LA CHIESA?

Ancora una volta, Piero Vassallo ha colto nel segno con la presente ultima fatica – ‘Itinerari della destra cattolica’(Solfanelli, Chieti, 2010) – nel senso che egli, da insigne studioso cristiano, è riuscito a mettere in evidenza le contraddizioni di un certo cattolicesimo, ivi compreso quello uscito fuori dal Concilio Vaticano II; Concilio che nonostante fosse stato portato a termine dal papa Paolo VI, “tormentò – ammonisce l’Autore genovese – gli ultimi anni del pontificato montiniano.
In altre parole, malgrado i meriti, in seno al Concilio si erano mosse forze che avevano tentato, sulla scorta del gesuita Karl Rahner, di convertire la teologia in antropologia. E, al riguardo, non a caso, il nostro Cornelio Fabro aveva fatto sentire la sua autorevole voce parlando, testualmente, “della confusione che regna ai nostri giorni nella sfera dei problemi che toccano la religione e la morale, non solo nel campo dei nemici del Cristianesimo ma anche da parte di troppi cristiani”.
Da qui, la perentoria asserzione di Piero Vassallo secondo cui “la vita della rinascenza cattolica ‘dopo il moderno’ passa per l’obbedienza, lo sviluppo rigoroso e la convinta adesione alle tesi di Benedetto XVI sull’ermeneutica della continuità”. Proseguendo su questa strada, lo studioso genovese, da una parte, osserva che “è difficile dimenticare il grottesco e devastante delirio teologico dei predicatori” – sostenitori di tesi eterodosse volte a giustificare la sodomia e il suicidio – e, dall’altra, ribadisce che è improponibile fare della gnosi la dominatrice del mondo.
Premesso che il “XIX secolo è un palcoscenico sul quale si esibiscono la confusione inavvertita e il frenetico opportunismo degli intellettuali cattolici in conflitto con la tradizione e il magistero”, l’Autore attacca studiosi quali Benjamin, Bloch, Horkheimer ed altri perché rei di professare l’ateismo, nelle varie forme, e lo gnosticismo, dottrina, com’è noto, volta a rivendicare la conoscenza assoluta della divinità e tesa a consentire la risoluzione delle questioni inerenti al mondo, all’uomo e a Dio.
Una concezione, cioè, in grado, secondo i suoi adepti, di fornire una conoscenza genuinamente intuitiva mercé un’illuminazione repentina, decisiva e dispensatrice di salvezza. Quest’ultima, concessa soltanto agli iniziati; da qui, la squalificazione della fede derivante da motivi ermetici, misterici, giudaici, orientaleggianti ed ellenizzanti. Ora, i rilievi vassalliani si appuntano non solo sulle concezioni del mondo suddette, ma pure su sistemi di pensiero più a noi vicini come l’evolismo, il post-moderno nonché quelli che il nostro studioso definisce “fonti reazionarie della teoria della superiorità antropologica vantata dai progressisti”.
Fonti smascherate dal filosofo cattolico Michele Federico Sciacca – esponente con Armando Carlini ed Augusto Guzzo dello spiritualismo cristiano del Novecento – il quale, a detta sempre di Vassallo, “formulò anche un’esatta previsione del futuro reazionario e oscurantista cui tendeva il progressismo”. Con la fine delle ideologie, prosegue l’Autore, e l’affermazione del relativismo in ogni campo del sapere e del vivere civile, la destra non ha bisogno di rifondazione, ma solamente di una rilettura attenta delle opere degli scrittori anti-moderni i quali, egli aggiunge, “hanno dato lustro alla cultura italiana e senza istituire un confronto tra il loro pensiero e la dottrina sociale della Chiesa”.
Autori che rispondono ai nomi di Giano Accame, Augusto Del Noce, Gianni Baget Bozzo, recentemente scomparso, Primo Siena, Francesco Mercadante e numerosi altri come Nino Tripodi, Francesco Grisi, Fausto Gianfranceschi, Pino Tosca etc. Posto l’accento sull’alienazione antifascista della sinistra democristiana, rivalutata, altresì, la figura di Pio XII e riconfermata, infine, la natura spuria della gnosi, chiamata con bella immagine, “metastasi del paganesimo”, Vassallo condanna anche l’ateismo gnostico della destra.
Quest’ultimo, incarnato dai vari Guénon, Evola e De Benoist, ha cercato non solo di occultare le proprie torbide tendenze moderne, ma si è, inoltre, presentato nelle vesti di banditrice di una religione superiore al Cristianesimo. Il libro in questione, ricchissimo di spunti e di suggestioni, si chiude, per un verso, con la difesa degli autentici esponenti della destra, segnatamente il giurista Giorgio Del Vecchio, e, per l’altro, con il biasimo nei confronti della cosiddetta ‘neo-destra’ rappresentata, per fare un altro esempio, da Marco Tarchi il cui sistema, conclude l’Autore ,non è altro che “un involucro adatto a contenere il bizzarro programma di una destra nominalista, libertaria e progressista”.
Un bel saggio, questo di Vassallo, un libro, in definitiva, che merita di essere letto e meditato anche per effetto della solita vivacità letteraria e la consueta ed efficace ‘vis’ polemica.

Lino Di Stefano