venerdì 26 marzo 2010

Presentazione: ITINERARI DELLA DESTRA CATTOLICA (Roma, Giovedì 15 aprile 2010, ore 16,30)

SINDACATO LIBERO SCRITTORI ITALIANI

Giovedì 15 aprile 2010, ore 16,30


presentazione dell’opera di

Piero Vassallo

Itinerari della destra cattolica


Solfanelli Editore



RELATORI
Valentino CECCHETTI
Gaetano REBECCHINI
Pietro GIUBILO

INTERVENTI PROGRAMMATI
Giulio ALFANO e Augusto SINAGRA

MODERA
Francesco MERCADANTE

SARANNO PRESENTI AUTORE ED EDITORE

Roma, aula Magna di Palazzo Sora,
Corso Vittorio Emanuele, 217



SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
tel. 06 8558065 - 347 1836042
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lunedì 22 marzo 2010

RECENSIONE: ITINERARI DELLA DESTRA CATTOLICA (a cura di Valentino Cecchetti)

Per spiegare i paradossi della cronaca e i fenomeni in apparenza incomprensibili, le «esternazioni laiciste» di Gianfranco Fini e i flebili lamenti dei «cattolici maturi» arruolati nelle liste Bonino, la cosa migliore è dotarsi del cannocchiale dell’osservazione metapolitica. Lo fa da sempre Piero Vassallo, acuto demistificatore delle «ideologie del regresso», che si applica ad illustrare i molti modi in cui la destra italiana si lascia sottrarre spazio e allontanare dal proprio autentico territorio spirituale.
Si tratta di un esercizio di abilità prospettica e di un minuzioso lavoro di intersezione tra quanto appare remoto ed è invece vicino. E si dispiega, in questo caso, lungo i venti saggi del suo ultimo libro, Itinerari della destra cattolica, Solfanelli, Chieti, 2010, pp. 158, €. 12.00, volume in due parti comunicanti – «Sdoppiamento e prospettive di ricomposizione della politologia cattolica», «Intorno ai problemi della cultura di destra» - in cui il filosofo e polemista genovese si fa accompagnare dalle «diagnosi lungimiranti» di Michele Federico Sciacca, maestro risoluto fino al sacrificio nell’opporsi al «razionalismo spurio» del moderno e della sua «proclamazione fenomenologica di un mondo posto al servizio di un’unica abissale irrazionalità» (Raschini).
È l’analisi delle ragioni di una schizofrenia culturale, in cui prende corpo l’imitazione parodica dell’avversario laico-progressista e il collasso di una destra che non sa riconciliarsi con un’identità naturalmente cattolica. È vero che, per consegna spirituale, al ricordo di Gianni Baget Bozzo corrisponde l’auspicio di un senso ritrovato dell’agire politico («La censurata eredità di Gianni Baget Bozzo»). Come a Giano Accame rimanda l’aggiramento dell’«irrealismo» delle filosofie politiche della neodestra («Giano Accame, o il realismo dell’avanguardia»).
Ma a farsi più urgente è la riflessione sul «mostro», il golem che allunga «verso destra» l’ombra marcionita dei «padri del sessantottismo» (Benjamin, Bloch, Taubès,). Una linea che si afferma in Italia solo nel secondo dopoguerra, egemonizzando una cultura refrattaria fino a quel momento, per gli anticorpi del «secondo fascismo», alle «suggestioni gnostiche», operanti sotto l’intenzione di attualizzare l’ideologia neopagana. È un oscuro precipitato del mondo tardoantico, che filtra nei secoli dall’apostasia dell’imperatore Giuliano e si fa strada nell’interpretazione esoterica del mito romano, prodotta dal «salotto massonico».
E trova, come è noto, la principale fonte di irradiazione nelle opere di Evola, il «pensatore eclettico che coniuga sul versante politico le suggestioni dell’avanguardia surrealista con i miti della rivoluzione conservatrice» e «sul versante esoterico» associa le «elucubrazioni di Guénon» ai «furori superumani di Nietzsche». Nasce l’equivoco del «Marcuse di destra» (secondo l’ironico paradosso di Accame), dei «tradizionalisti a cavallo delle tigri ultramoderne» che, nei «fumi del sincretismo», spezzano i legami con gli ideali della destra classica.
È la storia di un’«umiliante parabola», l’esito francofortese che, al di là di un’epidermica incompatibilità delle «singole scolastiche», si giustifica nello gnosticismo trasversale in viaggio dalla neosinistra alla neodestra e giunge a contaminare le dirigenze e gli intellettuali odierni, lungo il percorso che collega inevitabilmente «Fare futuro» al plesso ateista Almirante-Plebe-De Benoist: «Alcuni osservatori politici attribuiscono le continue, irritanti esternazioni laiciste di Gianfranco Fini e degli intellettuali radunati da Alessandro Campi e Giuseppe Granata sotto la sigla “Fare futuro” ai suggerimenti di un maestro estraneo alla destra.
In realtà il presidente della Camera è portavoce del surrettizio laicismo che circola a destra, dopo che una disgraziata decisione di Almirante (il padre spirituale di Fini) aveva affidato l’ufficio culturale del Msi al radical-chic (e ateo dichiarato) Armando Plebe. A sua volta Plebe aveva introdotto in Italia Alain De Benoist, un giornalista che contrabbandava il politeismo quale rimedio e impedimento alle guerre di religione e di ideologia» («Gnosticismo e cultura di destra», p. 117).
È naturale, perciò, che «chi desidera comprendere i pensieri che ispirano i giri di valzer anticattolici eseguiti da Gianfranco Fini» non possa che tener conto del «precedente neodestro», come non può ignorare che «la neodestra fu approvata da Almirante» (l’«autore delle prime fortune di Fini»). Senz’altro un aspetto del «progetto antitradizionale» dei poteri forti e del tentativo ricorrente di oscurare la memoria dell’autentica tradizione italiana. Ma che incontra un punto di resistenza nel ricordo della «cultura controriformistica fascista» e nell’eredità, misconosciuta anche a destra, oltre che a sinistra, della scuola milanese di «mistica fascista».
La «fronda giovanile» e la «robusta agenzia filosofica» di Arnaldo Mussolini e Ildefonso Schuster che, in contrasto con le correnti neohegeliane, sosteneva i principi della Scienza Nuova, riconoscendo in Vico l’antagonista degli autori «rivoluzionari».
Un frammento vitale del Novecento italiano, sottratto alla «rovina vandalica» da studiosi come Luigi Gagliardi e Fausto Belfiori e un utile strumento per contrastare il moto perpetuo di un ghibellinismo oscillante di continuo tra i poli opposti dello schieramento politico-culturale. È, quella neoghibellina, la scia su cui si pongono gli epigoni e i portavoce dell’immarcescibile Scuola di Bologna (Bindi, Turco, Binetti), magari sull’onda della revisione storiografica (il caso della biografia di Matilde di Canossa di Paolo Golinelli), che echeggia certe vecchie opere della destra anticlericale, come il Barbarossa di Rudolph Wahl.
Un libro quanto mai «sincrono», uscito in Italia il 25 aprile del ‘45, proprio mentre gli eserciti tedeschi lasciavano il Nord, quasi un segnale di una qualche implicita continuità culturale.


http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=134:itinerari-della-destra-cattolica&catid=66:libri-e-riviste&Itemid=125

sabato 13 marzo 2010

Destra cattolica: Tutte le colpe di Bindi e Fini (il Giornale, Genova, 14/03/2010)

Itinerari della Destra Cattolica di Piero Vassallo, tempestivamente edito da Solfanelli a ridosso delle Regionali, dall'analisi delle radici storiche della dottrina cristiana alle derive attuali, ci aiuta ad orientarci al voto che sarà bussola per le Politiche.
In quarta di copertina il motivo del libro. Le disavventure di due partiti attratti a diventare il proprio contrario: la Dc di Maritain e il Msi di Evola. Il cattolicesimo politico insegue il laico-progressista, il movimento postfascista rinnega le proprie radici spirituali. Perciò: «Rosy Bindi e Gianfranco Fini, interpreti di due scelte antipatiche, si ritrovano nella reciproca simpatia per assenza di un disegno politico».
L'analisi storica scandaglia globalizzazione, battaglie laiche per i cosiddetti «diritti» individuali (aborto, eutanasia), i due primati di Stato e Chiesa, la storia del fascismo e postfascismo da riscrivere, il Concilio Vaticano II e le tonache dei preti svolazzanti a Trento e a Genova, il ’68 dai padri Benjamin Bloch Taubes ai postumi distruttivi. Risale alle radici di cosmopolitismo ed ecumenismo, quando l'universale solidarietà fu portata in Occidente dai Persiani, mentre ora «i pastori dell'arretratezza avversano l'economia globale con intento di colpire l'Occidente colpevole di aver sconfitto l'ideologia comunista...». Oggi imperano «tuttologi diplomati alla scuola di Maria De Filippi e filosofi di risulta marciano sulla strada del regresso». Il lettore assapora proprio questi «flash» parapolitici.
Un assaggio: «Se il bene può sbocciare dall'abisso di malignità (il riferimento è al massacro giacobino di Compiègne e alla santità delle carmelitane martirizzate), per i cattocomunisti esiste un metafisico cavatappi ad estrarre sante azioni di governo dai valori contrari degli alleati di Prodi e Franceschini: aborto facile, festosa eutanasia, droga libera, matrimonio pederastico...». Lo stesso per il pensiero «bicamerale» di Dossetti concentrato nella scuola di Bologna, poi intorno a «Il Mulino»; i cattolici «del magistero a due teste» Rosy Bindi, Livia Turco, la pia equilibrista Binetti in privato obbediscono al Vangelo, ma pubblicamente allo stato laico della (pseudo) legge sull'aborto.
Il libro ha un interesse umano quando racconta i maestri filosofi, l'eredità di un dolente Baget Bozzo, il grande Sciacca vittima della persecuzione sessantottina quando gli studenti erano per lui al primo posto nella scala delle relazioni umane, Evola nel '74 portato morente al Policlinico di Roma cui infermieri sindacalizzati rifiutano assistenza.
Vassallo ricorda volentieri Giano Accame, un maestro che non stimava il giovane segretario di partito Fini, oggi dedito «a continue irritanti esternazioni laiciste con appiattimento della dirigenza di An e degli intellettuali di Fare Futuro».
Un passo importante riguarda, a seguito della visita di Fini ad Israele nel novembre 2003, la smentita dello storico Yehoshua Porat sul «fascismo male assoluto». Testimoniò che il fascismo salvò migliaia di Ebrei nelle regioni conquistate dal proprio esercito: sud-est di Francia, Croazia.
Nel libro frasi fulminanti come il termine «patriottismo costituzionale» o «la canna a gas del gossip». Questo è detto a proposito di un episodio storico: quando Paolo Golinelli, studioso revisionista di storia della Chiesa, prende le distanze dalle «chiacchiere calunniose dello scomunicato Benzone d'Alba» sul rapporto tra Gregorio VII e Matilde di Canossa. Quando il papa nell'inverno 1077 indugiò nei di lei possedimenti fu «un affetto umano di due persone sole...», forse «i momenti più felici per entrambi».

La colpa di Gregorio VII per certi cattolici moderni è aver voluto una Chiesa potente, lontana dall'originario pauperismo? Nell'ultima pagina c'è tutta la poesia dell'Italia com'è forgiata dal cristianesimo: le nostre città storiche sono gemme di un'Italia cristiana, in contrapposizione alla massificante edilizia comunista testimoniano «operosità sapiente che è l'autentica somiglianza divina dell'umanità».




giovedì 11 marzo 2010

Segni dei tempi: Gli ebrei messianici

     Fu Marx autore del paradosso secondo cui solamente l’apostasia dal monoteismo, cioè la soppressione dell’identità religiosa, poteva garantire agli ebrei della diaspora la pacifica convivenza e l’integrazione con gli alti popoli.
   Freud, avanzando nella direzione indicata da Marx e anticipando Simone Weil, arrivò al punto di affermare che il monoteismo ebbe origine dall’intrusione della teologia professata dall’egiziano Mosé nell’universo di un popolo di consolidata tradizione politeista.
    Al seguito di Freud, alcuni esponenti della più rovente eterodossia ebraica, Walter Benjamin, Ernst Bloch, Simone Weil, Herbert Marcuse, Jacob Taubes, facendosi interpreti dell’avanguardia ultracomunista e precursori dell’anarchismo sessantottino, proposero addirittura il rovesciamento della teologia monoteista in un politeismo conforme al pensiero di Nietzsche (il filosofo nel quale Freud riconosceva il proprio ispiratore).
     La nuova ateologia contemplava l’avversione alla divinità onnipotente e malvagia (identificata con il Dio dell’alienante religione di Mosé) e nutriva la speranza (vaga) nell’idea della bontà del ribelle (ora identificato con il Gesù immoralista delle eresie gnostiche ora con il Dioniso nietzschiano, simbolo della trasgressione coribantica).
    L’avversione di Benjamin, Bloch, Weil, Marcuse, Adorno e Taubes alla tradizione monoteista non vacillò neppure davanti alla conclamata uguaglianza della loro teologia con i princìpi del cristianesimo tedesco, quel furente delirio che i neopagani di Germania usavano al fine di giustificare la persecuzione e lo sterminio degli ebrei.
    La radice politeista del neopaganesimo tedesco è un’ovvia verità. D’altra parte è accertato che, alla luce di un chiuso ed esasperato monoteismo, la fede nel Dio uno e trino dei cristiani fu giudicata politeista. 
    Probabilmente gli autori dell’apostasia ebraica s’illudevano di disarmare l’antisemitismo di radice politeista appropriandosi degli argomenti ultimamente lanciati dai nazisti contro il monoteismo.
    Sennonché, dopo la sconfitta del persecutore nazista, agli ebrei si oppose un imprevedibile nemico: l’alleanza islamica, che professava un’intransigente fede monoteista.
     In Palestina, infatti, gli ebrei furono coinvolti nella guerra inedita che fu avviata, nel 1948, da antisemiti monoteisti. Guerra assolutamente anomala e imprevedibile: perfino l’accorto Ben Gurion nutriva un’idea sbagliata intorno agli arabi di fede musulmana, un giudizio che nascondeva la radice fanatica della loro incombente ostilità e alimentava una disarmata fiducia nella buona disposizione del presunto sangue fraterno (cfr. “Perché Stalin creò Israele”, prefazione di Luciano Canfora, introduzione di Enrico Mentana, Sandro Teti editore, Roma 2008). 
     La guerra islamica per un verso smentiva gli argomenti di Marx, di Freud e dei loro continuatori postmoderni sull’ispirazione politeista dell’antisemitismo, per l’altro verso poneva il problema di una nuova e diversa riflessione “sull’identità ebraica legata alla non accettazione di Gesù come il Messia di Israele”.
    Ora la nuova situazione del problema ebraico è oggetto di un avvincente saggio, Gli Ebrei messianici Un segno dei tempi, edito in Verona dall’animosa Casa editrice Fede k Cultura scritto dal gesuita Carlo Colonna per rivelare l’orizzonte cristiano dell’ebraismo e la radice ebraica della cristianità. Infine per promuovere il vero ecumenismo.
     Il ritorno degli ebrei nella patria assegnata a Mosé, infatti, impone di continuare la riflessione (avviata nel 1967 dal cardinale Giuseppe Siri) sulla profezia del Vangelo di San Luca, che annuncia la fine delle persecuzioni e dell’esilio: “Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti”  (Lc. 21, 24). 
      Non per caso, proprio alla fine della guerra conclusa con il ritorno degli ebrei a Gerusalemme, i fratelli Ruben e Benjamin Berger, fondarono la comunità di ebrei messianici, che professano la fede in Gesù Cristo e celebrano l’Eucarestia dichiarando di credere nella presenza reale del Signore.
     E’ lecito affermare pertanto che gli ebrei messianici “sentono che sta per venire il tempo in cui si sanerà la prima e più fondamentale divisione della Chiesa di Cristo, quella avvenuta fin dall’inizio della predicazione del Vangelo, quando ebrei increduli e cristiani credenti in Gesù si scomunicarono a vicenda”.
    Padre Colonna, che segue con passione illuminata dalla fede il cammino degli ebrei cristiani, afferma che la loro splendida avventura, oltre che a facilitare la comprensione della radice ebraica della fede cattolica, incoraggia  “a pensare gli attuali ebrei che credono in Gesù, come i continuatori dei primi giudei credenti in Gesù e quindi nostri veri fratelli nella fede non li fa confluire nelle Chiese tradizionali d’Occidente e d’Oriente, ma viene vissuta in comunità, che praticano le osservanze ebraiche tradizionali”.
   Il nuovo resto d’Israele, costituito per manifestare la fede in Gesù vero Dio e vero uomo, diffonde la luce necessaria a lacerare la cortina fumosa sollevata dalla considerazione pessimistica del successo planetario ottenuto dagli ebrei sessantottini, che hanno interpretato la gnosi spuria, abbandonando la fede di Mosé.  


mercoledì 3 marzo 2010

Fare futuro, il passato di un abbaglio

Preambolo delle avventurose rivoluzioni culturali a destra fu il fulminante abbaglio sessantottino, che si abbatté sugli scolari di Evola, già sconcertati dalle teorie deprimenti e confusionarie esposte in “Cavalcare la tigre” .
Infatuati da un tradizionalismo ateo e vulnerabile a sinistra [1], gli evoliani travisarono il senso di una paradossale battuta di Giano Accame, che paragonava Evola a Marcuse, e di conseguenza credettero che le espressioni del pensiero ultramoderno (il nichilismo francofortese e il libertinismo californiano) fossero manifestazioni di un antagonismo sano e riconducibile alla rivolta della vera destra contro il mondo moderno.
La superficiale conoscenza e la disgraziata infatuazione per le idee diffuse da Marcuse, superato un cordone sanitario labile, diedero inizio all’indiavolato movimento dei tradizionalisti a cavallo di tigri ultramoderne, e all'inseguimento dell'imperdibile tram della storia che era passato attraverso la caciara anarcoide di Valle Giulia.
Movimento binario e confusionario, il tradizional-sinistrismo diede un importante contributo alla trasformazione della destra tradizionale, nell'orchestra babelica che ultimamente ha il nome di “Fare futuro”.
Franz Maria D’Asaro ha descritto puntualmente il malinteso che eccitava i mutanti: “Quei ragazzi non sapevano ... che erano dei profeti, addirittura degli anticipatori della nuova sinistra. Con qualche azzardato confronto: quelli, i nazionalsociali, con Evola e Guénon, gli altri, i cinesi, con Adorno e Marcuse, ma tutti in disperata polemica contro la società dei consumi, il primato dei banchieri, l’egemonia del cinico utilitarismo. Gli uni e gli altri in dissenso anche nei confronti dei rispettivi partiti di riferimento partitici, quasi intercambiabili fra Evola e Marcuse, fra Che Guevara e Mishima” [2].
Nell’animo dei tigrotti, la miscela di temi controrivoluzionari e temi anarchici originò durature confusioni, entusiasmi immotivati ed indomabili propensioni alla fuga vero la violenza gratuita (negli anni di piombo puntualmente esercitata dai tigrotti mentalmente vulnerabili).
Quando Alain De Benoist, evocato da Armando Plebe, scese in Italia per suscitare emozioni e consensi intorno allo slogan et destra et sinistra, gli immaturi apprendisti festanti nella scolastica evoliana erano già pronti a procedere, con una sola marcia, su due divergenti percorsi, et quello della contestazione globale et quello dell'estenuazione reazionaria.
Malauguratamente al paradosso che avvicinava Evola e Guénon a Benjamin, Adorno, e Marcuse, era soggiacente una verità allora nascosta: al di sotto delle ragioni estetiche e in fondo soggettive delle reciproche incompatibilità, concomitanti riferimenti a tradizioni (cabale) eterodosse e a filosofemi crepuscolari, giustificavano l’accordo sotterraneo tra le due diverse e concorrenti scuole postmoderne d'irreligione.
Dagli opposti capiscuola, infatti, era condivisa la stima per la dottrina di un antico precursore dei maestri del sospetto, l'eresiarca Marcione Pontico.
Quasi obbedendo alle regole della concordia discors, i teorici della contestazione globale e i banditori del tradizionalismo rivoluzionario, avevano dedotto dalla dottrina di Marcione la propensione all’immoralismo e la fanatica ostilità verso la teodicea e la rivelazione biblica.
La fonte comune dei pensieri convergenti da sinistra a destra e da destra a sinistra, infatti, era quel “cristianesimo tedesco”, che aveva attualizzato Marcione trasferendolo dai ponderosi e astratti volumi di Hegel, Schelling e von Harnack ai tumultuosi stati d’animo di Arthur Rosemberg e degli iniziati in camicia bruna, vedi caso quelli che Evola frequentava negli anni Trenta.
Religione ad uso delle masse fanatizzate, il cristianesimo tedesco contemplava una divinità straniera e remota, che avrebbe rivelato la dottrina libertaria, opposta per diametrum alla legge dettata a Mosé e a Israele.
Di qui l’ingresso sull'agitata scena europea, di una teologia antisemita, contemplante il cristianesimo nemico mortale della tradizione veterotestamentaria e del popolo d’Israele.
Marcione, in definitiva, ha insegnato ai nazisti la ricetta di un antisemitismo travestito da fede cristiana e ai francofortesi la via che dalla destra pseudo-mistica e razzista conduce all'ateismo e alla sovversione ultracomunista.
Fatto singolare, finora non considerato con la dovuta attenzione dai politologi, è il giro tortuoso della fede in Marcione dai circoli del nazismo profondo alle agenzie culturali che ispirano la sinistra postmoderna.
Per giustificare l'acrobatico passaggio, Jacob Taubes, il principale interprete del sessantottismo europeo, approvò l'avversione dei nazisti alla teologia veterotestamentaria, sostenendo che prima di Mosé, la spiritualità ebraica aveva un indirizzo anarchico e immoralistico. Dunque che la Germania nazista era l'involontaria levatrice della vera coscienza ebraica.
Ulteriore elemento di confusione a destra fu la strana rilettura di Nietzsche, che negli scritti dell'ultimo Evola era esaltato quale portatore di un “nichilismo attivo”, inteso alla negazione globale dell’esistente.
Trascinato dall'illusione di diventare attuale, Evola giunse al punto di credere seriamente che, predicando la “negazione di tutto l’esistente” (cioè la contestazione globale) si attuasse “una severa disciplina [tradizionalista!] portata fino agli estremi”.

* * *

Le condivisibili critiche dell'on. Bondi hanno il solo difetto di non contemplare lo spaventoso delirio evoliano a monte del Granata-pensiero. Bondi non conosce la vicenda della cultura di destra, non sa che il tentativo rautiano di suicidare la destra era dettato dall'equazione Evola=Marcuse. Non si rende conto che Fini è vittima di una sindrome di Stoccolma che lo ha consegnato ai distruttori usciti dalla scuola rautiana. Quando aprirà gli occhi si renderà conto che il più alto guadagno del centrodestra sarà lasciare per strada Gianfranco Fini e i suoi farneticanti consiglieri.
Piero Vassallo

[1] Sull'ateismo di Evola cfr.: Piero Vassallo, “Itinerari della destra cattolica”, Solfanelli, Chieti 2010.
[2] Cfr.: “Evola: profeta del futuro”, ISSPE, Palermo 2000.