lunedì 22 febbraio 2010

DESTRA ULTRASONICA E CULTURA DI DESTRA

Se la cultura di destra fosse quel concerto di ultrasuoni, che Gianfranco Fini ha lanciato da un fischietto udibile solo dai cani e dai politicanti ammaestrati da Fabio Granata e da Alessandro Campi, avrebbe ragione il dottor Pier Luigi Battista, il quale, in una tagliente pagina del sontuoso “Sole 24 ore” (domenica 17 gennaio 2010) sostiene l'inesistenza di intellettuali ascrivibili a detta area.

Se non che Gianfranco Fini, il duce della latitanza culturale contemplata da Battista, non rappresenta la destra, non proviene dalla cultura di destra, non è neppure un mutante di destra.

Mutante è il ghost writer, l'autore della filastrocca sincretista ultimamente firmata da Fini. Una scuola di pensiero dice che il fantasma è un rautiano, di passaggio da destra a sinistra. Un'altra scuola sostiene che è il cantante ecumenico Jovanotti, in cammino da sinistra a destra.

Sul mutante entrambe le scuola forse sostengono il vero.

Il giudizio è sospeso. Non si tratta di Fini, ad ogni modo. Per rappresentare una mutazione, infatti, occorre che esista un mutante. Il vuoto mentale di un “creato” di donna Assunta, non può cambiare, attesa la sua conclamata appartenenza al nulla.

Nel nulla non si dà cambiamento, dunque non si può trovare l'ombra del cambiante e del cambiato. Intorno al nulla – caso mai – abita il comizio sofistico, la battaglia delle parole senza concetto, la chiacchiera che ieri esaltava Benito Mussolini e oggi scopre Hanna Arendt.

L'ignoto ghost writer di Fini traduce, con dotto eleganza, il non pensiero circolante intorno alla non lettura di Mussolini e della Arendt.

In questa scena comiziale, patetici sono i politicanti che tentano di interpretare il messaggio lanciato dal nulla. E patetici, alla fine, sono anche i giornalisti che confondo la cultura di destra con i pensieri dell'effimero trio Fini-Bocchino-Polverini.

Il dottor Battista sostiene che negli ultimi vent'anni la cultura di destra non ha prodotto niente. Ma cosa intende per cultura di destra? Le interviste televisive di Italo Bocchino? Gli articolini di Adolfo Urso? I fondini della volonterosa Perina? Le esternazioni della Polverini? Le acrobazie post-evoliane e post-rautiane di Fabio Granata?

Il dottor Battista ha mai nutrito il sospetto che a destra ci sia altro da pensiero rasoterra? Stenta ad ammettere che la destra moderna ha avuto inizio in Italia (lo dimostrò Giovanni Gentile) dalle insorgenze antigiacobine? Ha difficoltà a riconoscere che il “moderno”, combattuto dagli insorgenti italiani, è caduto nella polvere nietzschiana e heideggeriana? Legge, su “Repubblica”, gli articoli scritti dall'affranto Scalfari per confessare la catastrofica conversione della modernità al nichilismo? Può seriamente nascondere il radicale ribaltamento della scena contemporanea? Può ignorare la fine ingloriosa delle ideologie progressiste? Se non può (e non si vede a che titolo possa tirarsi indietro) si renderà conto che esiste una destra più profonda e più attiva del Fini-pensiero, del Bocchino-pensiero, del Polverini- pensiero.

Il dottor Battista può fingere d'ignorare l'esistenza di un'agguerrita destra tradizionalista. Può fingere di non aver letto la storia del rinnovamento missino scritta da Giuseppe Parlato. Può sostenere di non saper nulla degli articoli di Francesco Orestano, che (nel biennio 1942-1943) hanno avviato la conversione della cultura ufficiale al c. d. “secondo fascismo”, cioè al tradizionalismo di Niccolò Giani, Guido Pallotta, Balbino Giuliano, Armando Carlini, Nino Tripodi (l'autore di un importante saggio su Vico e la destra italiana).

Addirittura può far credere di non rammentare l'esistenza di Ernesto De Marzio e di Giovanni Volpe, i geniali organizzatori culturali, che promossero il rinnovamento della cultura di destra. Alle loro iniziative aderirono pensatori di alto profilo, quali Cornelio Fabro, Giorgio Del Vecchio, Carlo Costamagna, Gabriel Marcel, Nicola Petruzzellis, Ugo Papi, Augusto Del Noce, Marino Gentile, Francesco Gentile, Ennio Innocenti, Ettore Paratore, Francisco Elias de Tejada, Marcel De Corte ecc.

Infine Battista può raccontare ai suoi lettori che scrittori appartenenti alla cultura cattolica e alla buona destra, quali Gianni Baget Bozzo, Attilio Mordini, Fausto Gianfranceschi, Giano Accame, Fausto Belfiori, Francesco Grisi, Giovanni Torti, Marco Tangheroni, Silvio Vitale, Giulio Alfano, Marcello Veneziani, Primo Siena, Angelo Ruggiero, Roberto De Mattei, Alberto Rosselli, Tommaso Romano, Pietro Giubilo, Pier Franco Bruni ecc. non esistono e se esistono sono insignificanti. Tutto ciò è lecito, nel regime delle parole in libertà. Ma le parole, per sfuggire all'abbraccio della faziosa libertà, volano oltre l'ostacolo e vanno a cadere fuori dal seminato.

Piero Vassallo

http://artrc.blogspot.com/2010/02/destra-ultrasonica-e-cultura-di-destra.html

venerdì 19 febbraio 2010

Un libro pericolosissimo... (di Franco Damiani)

 E’ per me un discorso difficile, perché in quel gruppo ho un grande amico, Giuseppe Manzoni di Chiosca, e un altro grande amico, Siro Mazza, è legato per ragioni biografiche all’esponente di punta del gruppo stesso.
Prima o poi comunque era un discorso che avrei dovuto affrontare.
Oggi mi è arrivato “Itinerari della destra cattolica” di Piero Vassallo (ed. Solfanelli) e ho cominciato a leggerlo. Grande pensatore, stile avvincente, mille suggestioni.
Però.
Già cinque anni fa, al convegno romano “I tradizionalisti cattolici” (26 febbraio 2005, corso Vittorio) mi colpì che venisse usasta questa formula assoluta. Chi erano i “tradizionalisti cattolici”? Vassallo, appunto, Luciano Garibaldi, Piero Giubilo, Giuseppe Manzoni, Tommaso Romano, Massimo Anderson. Insomma un gruppo ben definito, con una propria ideologia precisa. Che però si considera un tutto: “i” tradizionalisti cattolici italiani, “la destra cattolica” come suona il titolo di questo libro. Al di fuori di loro, che ci sarà mai? I leoni, le tenebre esteriori? Eppure, al di fuori di loro c’è tanto: tutto il movimento lefebvriano (oggi dovremmo dire: quel che ne resta), tutto il sedevacantismo…
Ratzingeriani di ferro, Vassallo e compagni: Ratzinger sta compiendo “la liquidazione degli accaniti rimasugli del progressismo cattolico e delle illusioni postconciliari” (p. 11).
Andiamo avanti: “Un rifiuto intransigente, che in alcune contorte affermazioni del magistero vede lintenzione di avviare un processo inteso alla discontinuità teologica. TALE RIFIUTO DIPENDE DA UN PESSIMISMO IN SE’ LECITO, MA NON SEMPRE COMPONIBILE CON LA SPERANZA VIRTU’ TEOLOGALE. Si tratta del pessimismo, che attribuisce valore impegnativo alle espressioni lacunose e oblique del magistero recente, giudicandole dettate dalla segreta intenzione di approvare gli eccessi e le deviazioni ecumeniche della vera fede. Il pessimismo, inoltre, non sa apprezzare nel modo dovuto le dichiarazioni del magistero (ad esempio quelle contenute nella Dominus Jesus) conformi alla dottrina tradizionale” (pp. 13-14).
E già qui ci si potrebbe fermare.
Quei “pessimisti” infatti siamo noi, sedevacantisti o “ecclesiavacantisti” delle varie obbedienze. Il termine ricorda sinistramente i “profeti di sventura”.
Ad essi viene contrapposta “una considerazione fiduciosa, ispirata al sano ottimismo, CHE, INVECE, GIUDICA IMPEGNATIVE SOLTANTO LE AFFERMAZIONI DEL MAGISTERO A SOSTEGNO DELLA DOTTRINA DI SEMPREE GIUDICA NETTAMENTE MA SENZA TRARRE CONCLUSIONI CATASTROFICHE LE FORMULE APPARENTEMENTE CONTRARIE, CHE SI TROVANO SPARSE NEI DOCUMENTI DI CIRCOSTANZA E NEI DOCUMENTI CHE NON IMPEGNANO IL DOGMA. L’ottimismo, pertanto, fa proprie le ragioni dell’”ermeneutica della continuità“, affermate da Benedetto XVI in vista della restaurazione del cattolicesimo”.
Per inciso noto le implicazioni politiche di simile impostazione, di cui filoamericanismo e filosionismo sono solo le più evidenti.
Dal punto di vista teologico e filosofico, balza agli occhi che quelle che il fronte intransigente, antiratzingeriano, rifiuta, non sono “espressioni lacunose e oblique” ma autentiche eresie, come quella del “doppio canale di salvezza” per cristiani e giudei o come quella dello “stesso Dio” per ebrei, cristiani e musulmani.
Duole sinceramente vedere persone di tanta intelligenza e di tanta cultura cadere ingenuamente nella trappola ratzingeriana volendo per forza restare aggrappati a un “magistero” così largamente infettato di errore. Non si chiama questo “wishful thinking”, l’errore capitale, secondo Bossuet, di scambiare ciò che si vorrebbe per la realtà? E la prima regola per ogni cattolico non dovrebbe essere il realismo? Forse che ci si gode a denunciare le incoerenze del presunto successore di Pietro? Non lo ripetiamo sempre che ciò che diciamo lo diciamo con la morte nel cuore?
Non vale, domando a Vassallo, per la Prima Sede la regola che vale per ogni credente, quella per cui “chi nega un solo dogma di fede nega tutta la fede”?’ Non vale il divieto di “communicatio in sacris”? e dove la vede la “continuità” tra la Pascendi e la Dignitatis Humanae?
Altro che pessimismo e ottimismo, qui si tratta di logica e di coerenza: o si sta con la Chiesa di sempre o si sta con quella di Ratzinger (e prima di lui di Wojtyla, di Montini, di Roncalli).
Il guaio è che qui non sitratta di qualche fedele sprovveduto, immemore e incantato dai lustrini del finto conservatorismo (anche se le ragioni appaiono malinconicamente simili a quelle dei fedeli “saggi”, “moderati”, “equilibarti e via discorrendo): qui si tratta di intellettuali di primo piano e quindi credo, scusatemi, che questo sia un libro pericolosissimo.
Da leggere solo come quelli all’Indice: cioè se si è in grado di confutarlo.

Franco Damiani


P.s. e che c’entra poi Fini in copertina?